"Contro l'ISIS più che una guerra serve una rivoluzione"

18 / 11 / 2015

Il 22 luglio 2015 il quotidiano «La Repubblica» diede notizia di un blitz antiterrorismo della polizia italiana presso Brescia che aveva portato all’arresto di due simpatizzanti dell’ISIS. Tra i materiali loro sequestrati vi era un opuscolo di alcune decine di pagine scritto in inglese e intitolato How to survive in the West. Un vero e proprio manuale per la formazione del perfetto terrorista facilmente reperibile sul web.

L’opuscolo contiene una serie di indicazioni pratiche: come mimetizzarsi nella società occidentale, come procurarsi denaro, come addestrarsi al corpo a corpo o all’uso di armi da fuoco, come fabbricare bombe artigianali, ecc.. Ma la cosa più interessante era probabilmente la prospettiva politica e l’ideologia espresse nelle pagine di questo opuscolo. Già nell’introduzione si esprimeva chiaramente il fatto che l’ISIS affida le sue speranze di vittoria proprio agli islamofobi occidentali:

«A real war is heating up in the heart of Europe. Many Muslims are putting a lot of effort into showing the world that we are peaceful citizens, we're spending thousands of Euros to do Da'wah (invitation to Islam) campaigns to show how good we are in society, but we're miserably failing. The leaders of disbelief repeatedly lie in the media and say that we Muslims are all terrorists, while we denied it and wanted to be peaceful citizens. But they have cornered us and forced us into becoming radicalised, and that will be the cause of their defeat and be the cause for the conquest of Rome».

Ovvero: sappiamo benissimo che molti mussulmani in Europa fanno tutto il possibile per dimostrare di essere bravi cittadini «integrati» e pacifici. Ma i loro sforzi sono destinati al fallimento perché i leader «degli infedeli» accuseranno tutti i mussulmani di essere terroristi e così li metteranno con le spalle al muro costringendoli a radicalizzarsi, «e questo sarà la causa della loro [degli infedeli] sconfitta e la causa della conquista di Roma».

Il testo passa poi ai «consigli pratici» rivolti agli adepti dell’ISIS che vogliano prepararsi a compiere attentati da soli o in piccoli gruppi, un vero e proprio corso teorico di autoformazione al terrorismo finalizzato a creare «eserciti di una persona»: «You are now your own one man army! Say Alhamdulillah, and thank Allah He has taught you what you did not know yesterday».

Ma L’ISIS vuole fermarsi all’azione di questi cani sciolti? No, la speranza è quella che gli attentati inneschino una violenta reazione che comporti la persecuzione delle comunità islamiche in Europa da parte dei neonazisti (con la complicità delle forze di polizia). La violenza contro i mussulmani consentirà agli aderenti all’ISIS di presentarsi alle comunità islamiche (ma anche agli antifascisti!) come gli unici in grado di difenderle e vendicarle grazie alla propria formazione e preparazione. L’obiettivo degli attentati è quello di scatenare in sostanza una guerra razziale e di religione nelle nostre città, con quartieri presidiati da milizie armate, attentati quotidiani e rappresaglie incrociate.

«When Muslims and Mosques will be attacked by neo-Nazis' in protests, Muslims will do counter-protests alongside with anti-fascist groups. This is when your role as a secret Agent will be activated. You will be able to use the money, and weapons you have collected over the years and transport them securely to the Muslim neighborhood who is in need of your help. You might even meet other secret agent Muslims like yourself there. Muslims will do counter-protests alongside with anti-fascist groups. As violence erupts between neo-Nazis͛ and Muslims; Muslims and their allies will wear masks and bandanas, add attack with the skill set and arms they have collected. The huge crowds in the protests and instability will make it difficult for police to know who is doing the attacks, and the Muslim attackers can blend in the crowd for safety. They can even pass on weapons to their allies. This is how the future Jihad in Europe will begin.Both sides will do revenge attacks. This is when your expertise on bombs is important, because you can set off bombs in their Head Quarters, and they will in Muslim ones. This will alienate many Muslims, so they too will ally with you because they seek protection and revenge. You can now train them in private, share weapons you had stored in safehouses. Your money can be used to win over more skilled young Muslims onto your side. Protect your neighborhood, and you will get more funds from fellow Muslims who are happy you are offering them protection. Men, weapons and trucks will be what you will use to take over more strategic streets and locations in your neighborhoods. The police will side with the neo-Nazis͛, so you will destroy the police station and capture its weapons. If these violent protests and battles happen at a national level – there will be too less police to control the populations in every town and a war will happen between Muslims and their neo-Nazis enemies. People in between will be caught in crossfire and will have to pick sides. It might be that more Muslim Sleeper cells activate during this time period, you will work with them and make alliances with other non Muslims who are friendly towards you to fight common enemy gangs».

Fondamentale appare la frase «People in between will be caught in crossfire and will have to pick sides». Ovvero: la gente nel mezzo [tra le due parti in lotta] sarà presa nel fuoco incrociato e dovrà scegliere da che parte stare. L’obiettivo è dunque quello di distruggere la convivenza tra fedi e culture diverse costringendo, attraverso atti di violenza commessi da pochissimi fanatici, la popolazione a schierarsi con uno dei due fascismi, «occidentale» o «islamico», in lotta tra loro. Può essere interessante notare come questa strategia sia stata già teorizzata dall’estrema destra razzista statunitense a partire dalla fine degli anni ’70. Nel 1978 infatti il neonazista William Pierce pubblicò il romanzo The Turner Diaries in cui si immaginava una guerra razziale negli USA (con tanto di uso massiccio di armi atomiche) innescata da una serie di attentati condotti da una organizzazione neonazista «The Order», basata su piccole cellule indipendenti le une dalle altre. L’azione di queste cellule avrebbe dovuto provocare un caos tale da far divampare lo scontro inter-razziale addirittura su scala globale.

I razzisti, così come gli islamisti o una qualunque delle varie specie di fascisti che popolano il pianeta sono convinti che una società «complessa», cioè non omogenea dal punto di vista ideologico, religioso o razziale sia di per sé votata al fallimento. Per provare questa loro convinzione decidono di mettere le società multirazziali, multiculturali e multi-religiose «sotto stress» attraverso la violenza al fine di farle implodere. A tal scopo è fondamentale riuscire a suscitare una violenza eguale e contraria alla propria, cosicché la gente sarà presa nel fuoco incrociato e dovrà scegliere di appoggiare una delle due forme di fascismo, alimentandole entrambe. Esattamente come si sono fin’ora alimentati l’un l’altro l’estremismo sunnita e quello sciita, il cui conflitto, iniziato negli anni, costituisce oggi l’aspetto principale della guerra in Siria ed Iraq. Gli stessi attentati contro obiettivi occidentali altro non sono che conseguenze di questo conflitto interno all’Islam.

Dunque i migliori alleati dell’ISIS sono proprio gli islamofobi che intendono ridurre i diritti dei mussulmani, segregarli o perseguitarli. Lo scopo dei seguaci del califfo nero è quello di tutti i fascismi: la distruzione della complessità. Tutto ciò non è certo una novità. Il nazifascismo di 70 anni fa agiva e ragionava allo stesso modo. Come afferma un opuscolo di propaganda nazista del 1941: «La rivoluzione nazional-socialista fu un cambiamento, una trasformazione, dalla non-chiara, confusa e quasi malata complessità ad un semplice ma chiaro e vero modo di pensare e di agire per il popolo tedesco».

Dunque l’essenza di ogni la lotta antifascista è la lotta in difesa della complessità della vita contro la barbarie che vorrebbe imporre una cimiteriale ed oppressiva «semplicità» totalitaria.Come condurre oggi questa lotta? Purtroppo dire «noi vogliamo la pace» non ci servirà a nulla. Quando il sangue scorre per le strade la gente si rivolge a chi sa come mettere fine a conflitto, non a chi espone buoni sentimenti. Occorre mettere in chiaro che noi vogliamo l’annientamento dell’ISIS e che ci impegniamo attivamente per questo obiettivo, ma che questo non significa affatto mettersi sull’attenti ed esser pronti a marciare agli ordini delle oligarchie (occidentali o russe) che dicono di essere alla testa della lotta contro il califfato. Anzi dobbiamo mettere in chiaro che è la nostra strategia di lotta al’ISIS ad essere vincente, mentre quella delle oligarchie è fatalmente perdente (oltre che reazionaria e quasi sempre disumana).

Occorre per prima cosa rimarcare il fatto che le elite capitaliste non possono guidare una guerra vittoriosa contro L’ISIS. Non lo possono fare perché essi combattono un conflitto «totale» (militare, ideologico, economico e sociale) come se fosse un semplice conflitto tra eserciti, affidandone la risoluzione solo a «professionisti» (militari, poliziotti, servizi di intelligence), così da mantenere invariato il quadro economico e sociale, sia nei paesi mussulmani che in quelli occidentali. In tal modo la risposta al terrorismo diviene unicamente militare e pertanto incapace di estirparlo alla radice perché non ne intacca le radici sociali, economiche e culturali; non ne fa venir meno la base sociale e pertanto il bacino di reclutamento. Occorre invece che l’ISIS sia combattuto ed annientato sulla base di un’agenda progressiva che lo estirpi alla radice eliminando le condizioni che ne hanno consentito la nascita e lo sviluppo.I capi di stato delle grandi potenze ossessionati dalla «stabilità» non intendono mettere in discussione il loro appoggio a regimi militari autoritari (come quello egiziano) o peggio ad una teocrazia che propugna di fatto la stessa ideologia dell’ISIS (l’Arabia Saudita) e ad un governo che sta trasformando un paese laico in un regime clerico-fascista islamico (la Turchia). Non intendono smettere di fare affari con quei ricchi esponenti della finanza islamica che finanziano il terrorismo, lo sostengono e lo giustificano. Non intendono farlo anche perché non possono farlo, non senza cambiare radicalmente le proprie politiche energetiche, finanziarie e geostrategiche. Sono inoltre state proprio mosse sconsiderate quali gli interventi armati in Iraq e Libia, nonché la continua tensione tra i configgenti imperialismi occidentale e russo a creare le condizioni ideali per la crescita dell’ISIS. Mentre è stato decisivo il ruolo delle petromonarchie per schiacciare le primavere arabe spegnendo le speranze di milioni di giovani mussulmani ed aprendo così la strada agli agenti reclutatori del califfato. I fascismi compaiono infatti quasi sempre dopo il fallimento di un processo rivoluzionario abortito.Le elite europee dal canto loro si dimostrano incapaci persino di gestire il «fronte interno» nei loro rispettivi paesi, le loro politiche austeritarie consegnano le periferie delle città europee alla miseria, all’ignoranza e al razzismo mentre la loro incapacità di abbandonare l’ideologia dello stato-nazione rende impossibile la creazione di società realmente solidali e coese.Come ha affermato il sociologo Michel Kokoreff«Dopo gli attacchi di gennaio le risposte del governo si sono basate soprattutto sulla sicurezza. Ma il lavoro di intelligence mostra dei limiti: identificare le persone potenzialmente rischiose non è facile e anche prevenire la radicalizzazione è complicato. Ancora una volta bisogna agire sulle cause profonde, dalla mancanza di una rappresentazione politica adeguata alla discriminazione religiosa nei processi di assunzione», analizza il sociologo. Dichiarare lo stato d’emergenza, insomma, «non basta: bisogna rilanciare le politiche di inclusione dei figli degli immigrati. Se ne parla dalla crisi delle periferie francesi del 2005. Ma, dieci anni dopo, c’è davvero una misura-chiave che possiamo citare?».

Considerazioni simili le fa anche Domenico Quirico su «La Stampa», partendo dalle rivolte nelle periferie francesi di dieci anni fa, paragonandole alle primavere arabe:«Sì, quella di dieci anni fa fu davvero l’occasione perduta. Una generazione musulmana chiese, disperatamente, che ci si accorgesse di lei, urlò la propria emarginazione, il dispetto e la voglia di sfidare quello Stato onnipotente che la ignorava. Come i loro coetanei musulmani dall’altra parte del mare, le primavere arabe, altre rabbie, le stesse illusioni. Anche loro sono diventati islamisti, per rabbia, soldati in Siria e in Iraq, lo stesso destino.   Demolita l’integrazione nei quartieri di periferia si è diffuso il radicalismo basato sulla religione. Nel 2006 erano poche decine i francesi partiti per l’Iraq e la guerriglia contro gli americani. Ora sono centinaia. E tornano». Le classi dirigenti europee, russe e statunitensi si mostrano incapaci di combattere efficacemente l’ISIS. Pertanto sta a chi si batte contro il capitalismo e l’imperialismo proporre una strategia alternativa. Una strategia basata sulla consapevolezza che il califfato non lo si sconfigge con la guerra, ma con la rivoluzione. Con un radicale cambiamento economico, sociale e culturale su entrambe le sponde del mediterraneo. Operare concretamente per questo cambiamento significa battersi, sui territori, nei quartieri, nelle scuole e nei luoghi di lavoro contro ogni forma di razzismo e di discriminazione religiosa; significa impegnarsi per l’accoglienza ai migranti al fine di stringere legami di solidarietà dal basso in grado da togliere ogni possibilità di presa ai fascismi di ogni tipo, isolando sia il razzismo che il fondamentalismo islamista; significa sostenere la resistenza del Rojava e di tutto il Kurdistan contro l’ISIS e contro il suo complice Erdogan; significa far conoscere all’opinione pubblica come i governi sedicenti «amici dell’occidente» siano in realtà regimi oppressivi sostenitori del califfato nero e come siano invece i combattenti del PKK (che USA e UE bollano come «terroristi») i nostri veri alleati; significa denunciare le complicità con il fanatismo islamista dei ricchi finanzieri di Arabia Saudita e altre petromonarchie, magari chiedendo l’immediata confisca dei loro beni presenti in occidente; significa costringere i governi di USA, UE, Iran e Russia ad una reale trattativa di pace in Siria al fine di arrivare ad un cessate il fuoco che consenta di isolare e distruggere l’ISIS ed al contempo di allontanare Assad dal potere; significa perseguire una politica di pace che eviti il riaccendersi delle tensioni inter-imperialistiche tra le grandi potenze; significa battersi per la fine delle politiche di austerità nei nostri paesi, per un economia basata sulla ridistribuzione delle ricchezze accumulate dalle oligarchie, sul rispetto dell’ambiente e sulla dignità dei lavoratori.

Questa agenda progressiva può essere perseguita solo seguendo l’esempio dei partigiani del Rojava, ovvero solo in un quadro azione concreta, al di fuori da qualunque logica settaria e di «purezza» ideologica. Occorre avere la forza di farsi carico dell’interesse della stragrande maggioranza della società e quindi di riuscire a parlare a questa stragrande maggioranza per costruire tutti insieme la resistenza alla barbarie. Per poterlo fare occorre mettere bene in chiaro che siamo proprio noi antifascisti e anticapitalisti gli unici coerenti e realmente determinati nemici del califfato nero, perché solo noi abbiamo compreso che per configgerlo occorre modificare radicalmente le condizioni sociali ed economiche che ne hanno permesso la nascita e lo sviluppo, e che occorre farlo mettendosi collettivamente in gioco dal basso, senza aspettarsi nulla dalle attuali classi dirigenti.