Contro i tagli «facciamo come a Londra»

23 / 1 / 2011

Il movimento della conoscenza è in crescita ed è giunto ad un giro di boa. Negli oltre settanta interventi tenuti ieri nel workshop della sala hangar del Rivolta è emersa la consapevolezza che l'opposizione sociale non può semplicemente schierarsi contro un governo.

 «Non siamo il popolo viola - ha detto qualcuno - che è stato il momento più basso del populismo italiano». «Bisogna rompere un patto sociale - ha affermato Francesco Raparelli di Uniriot - costruito sulla dismisura tra le competenze acquisite nella formazione e il blocco della mobilità sociale. È finita l'utopia del capitalismo cognitivo, da due anni i movimenti si ribellano alla precarietà, al declassamento e alla povertà generata dalla crisi».

 Il suddetto patto sociale è andato in pezzi e i suoi frammenti sono stati malamente ricomposti in una nuova retorica, quella che ha accompagnato la politica dei tagli del ministro dell'Economia Tremonti. Cultura e formazione sono irrilevanti dal momento che la prospettiva è quella di trasformare l'Italia nel primo paese tra quelli in via di sviluppo e non il settimo tra le potenze industriali. Sul fronte degli atenei è stata formulata la proposta dei referendum studenteschi attraverso i quali approvare gli statuti definiti dalla commissioni la cui composizione verrà ultimata entro gennaio (Roberto Iovino di Link-Uds).

«Potrebbe essere questo il primo momento costituente per portare la democrazia negli organi accademici», ha aggiunto Elena Monticelli studentessa di Link. Quella della democrazia è un'esigenza diffusa anche tra i ricercatori. «Nell'università italiana non è ancora arrivata la rivoluzione francese - ha detto Francesca Coin della rete 29 aprile - e viene imposta una riforma che aumenta le gerarchie. É necessario tirare fuori la conoscenza dall'università. Facciamo come a Londra. Visto che le banche vogliono entrare nelle università, allora iniziamo a tenere lezioni nelle banche». Ma l'università, e la lotta contro la riforma Gelmini e i suoi 47 decreti attuativi, non è l'unico scenario sul quale il movimento del lavoro cognitivo intende agire.
Sullo sfondo di questi discorsi è tornata la richiesta di riformare il welfare partendo dai diritti fondamentali dell'individuo, senza per questo abbandonare quelli dei lavoratori fissi. La crisi ha legato in un destino comune garantiti e non garantiti e l'adesione del movimento della conoscenza alla sciopero del 28 della Fiom lo conferma. «Bisogna però puntare più in alto - ha sostenuto Ilenia Caleo - di Zeropuntotre, il movimento romano dei lavoratori dello spettacolo che ha occupato il cinema Metropolitan - costruiamo un movimento autonomo dei lavoratori della conoscenza, condividendo pratiche e lotte a partire dalla battaglia contro i tagli alla cultura e alla formazione».

A dire la verità questo obiettivo si è ripresentato all'orizzonte dei movimenti sociali negli ultimi dieci anni, ma con pochi risultati. Nel primo anno del decennio dell'austerità europea, questo progetto conosce tuttavia nuove possibilità di realizzazione. «È avvenuto uno scarto - dice Francesco Sinopoli della Flc-Cgil - lavoriamo insieme per costruire una coalizione sociale tra soggetti diversi che metta al centro la conoscenza come motore della cittadinanza». Si è discusso a lungo sugli strumenti di lotta a disposizione di questa «coalizione».


Da sempre si sa che per chi lavora ad intermittenza da professionista, precario o al nero è difficile immaginare uno sciopero sul modello del lavoro fisso. «Blocchiamo allora le dirette televisive, i telegiornali regionali, la mobilità metropolitana, insomma tutto ciò che si muove nell'economia dei flussi» ha proposto la ricercatrice precaria Eleonora Forenza. Un altro modo per coniugare radicalità e consenso, una delle caratteristiche più innovative di questo movimento.