Compagni a venire

Ricordi sparsi e un saluto/omaggio a Nanni Balestrini

20 / 5 / 2019

«È possibile pensare che un lungo periodo

di distruzione delle coscienze collettive

cominci a volgere al termine e nelle metropoli

stia emergendo una nuova percezione del presente»

Io nelle metropoli dei primi anni '90 ci andavo, ma poi tornavo al paese e alla mia piccola città. Qui lavoravo come “ultimo mohicano” in una fabbrica tessile (cosa che peraltro faccio ancora), militavo nel mio piccolo centro sociale ed è qui che mi sono imbattuto in un numero zero di una rivista che mi cambiò la percezione del presente. Si trattava di Derive Approdi, diventata negli anni tra le più importanti case editrici indipendenti italiane.

Il testo era di Nanni Balestrini e narrava di una sconfitta, anche se lui stesso diceva che «non esiste vittoria e sconfitta, esiste la vita». Sconfitta che mi aveva colto di striscio nell'adolescenza, ma io ero  veramente convinto - e gli anni '80 me lo avevano già chiarito - che c’è veramente chi «loda il letamaio».

Ora, a distanza di molto tempo, voglio ripensare ai sui libri, al «vogliamo tutto!» che narrava le rivolte operaie e la mia frustrazione che si riversava nel voler liberare gli anni '70 per poi scoprire che eravamo noi a volerci liberare da quegli anni. Ripenso a Gli invisibili, che racconta quanto sia stato duro quel passaggio per i nostri “fratelli maggiori”, a L’editore, che parlava di un editore morto di fianco a un traliccio e io pensavo a un altro che poi sarebbe diventato un mio splendido “cattivo maestro”.

Ripenso anche a libri difficili come La violenza illustrata, che non capivo e che mi sforzavo a comprendere e poi L’orda d’oro, che non era nelle steppe e nella taiga, ma nelle metropoli e nelle città  di provincia del nostro fottuto Paese. Poi fu anche grazie a lui che incrociai il libraio che se ne stava in Ticinese a Milano e che, ogni volta che incrociavo, mi consigliava qualcosa da leggere mentre io contraccambiavo con i racconti del mio vivere in provincia.

E poi I lama stanno in Tibet, che se ne parli ora con un ragazzo giovane ti scambiano per matto mentre noi, ai tempi, ridevamo come matti. A dire la verità l’ultima cosa non era proprio sua, ma Nanni era anche un grande narratore, non solo un romanziere e un poeta.

A dire la verità Nanni l’ho conosciuto poco personalmente, proprio perché non abitavo in quelle metropoli che lui ha narrato e vissuto; ricordo un pranzo conviviale a casa di un editore e pochi altri fugaci incroci.

Quattro anni fa mi trovai a una sua mostra in un museo di Bolzano, balzato alle cronache locali per aver tolto il wi-fi a chi stazionava nelle vicinanze (immaginate il pigmento delle persone in oggetto). Me la sono guardata attentamente questa mostra, ma ho subito pensato a Nanni impossibile da "musealizzare", a una persona viva che con il pubblico della cultura - «che è furbo di tre cotte» - ci poteva anche scherzare e non prendersi troppo sul serio. Una persona che ci ha insegnato soprattutto a leggere le contraddizioni come qualcosa che ci fa crescere, che ci abitua a risolverle non per auto-conviverci, ma per superarle.

«Questo è tutto per ora  

in questo momento è come se fossimo già 

invece siamo appena

e ciò che è più  strano è

che uno non se  lo immagina bene

dove può arrivare la grande traversata»