Comincia da Venezia l’Europa in movimento

Cronaca della prima giornata del convegno. Dall’Est all’Euromediterraneo: incontri senza confini.

24 / 5 / 2013

È cominciato come doveva cominciare. Con un grande e commosso applauso in memoria di don Gallo. “Un uomo che è e che sempre rimarrà nei cuori di chiunque lotti per cambiare il mondo”, come lo ha ricordato in apertura Vilma Mazza. È cominciato così la “due giorni” di incontri sul tema "L’Europa oltre l’Europa organizzata da Global Project e European Alternatives". Il freddo quasi autunnale e la ventilata minaccia dell’acqua alta, sottoposta ai capricci di un imprevedibile vento di scirocco, non hanno compromesso la partecipazione di un folto pubblico che ha affollato la sala messa a disposizione dallo Iuav. Questo primo appuntamento, coordinato da Vilma Mazza direttore di Global Project e da Lorenzo Marsili European Alternatives, è stata dedicata ai movimenti internazionali. 

“Non perdiamoci a descrivere cose che già sappiamo - ha invitato Vilma Mazza - come le politiche di austerity o le repressioni, ma cerchiamo piuttosto di utilizzare questo incontro per costruire un ragionamento comune. Ragionamento che è tutt’altro che scontato. Nessuno di noi vuole tornare indietro nell’orologio della storia. Fermarsi a sostenere che l’Europa ci opprime rischia di sfociare in derive nazionalistiche. Piuttosto troviamo una strada comune per abbattere questa idea di Europa e costruirne una con una geografia politica diversa capace di guardare verso l’Euromediterraneo”.

Sulla stessa lunghezza d’onda anche Lorenzo Marsili che osserva come ogni ragionamento sull’Europa è soggetto a due poli di attrazione: quello dello status quo e dell’austerità sostenuto da politiche socialdemocratiche sempre più blande, e quello del nazionalismo xenofobo di chiara impronta fascista. 

Tema al quale si riaggancia il primo ospite: il giornalista greco Argiris Panagoupoulus. “Ultimamente ho viaggiato parecchio per il sud dell’Europa - spiega - e ho visto dappertutto la stessa rabbia. Ma come si fa a costruire una Europa democratica partendo da un Paese come la Grecia che democratico non può più definirsi?” Argiris racconta episodi di precettazioni forzate e di un diritto fondamentale, come quello dello sciopero, che non esiste più. “Che diritti ci rimangono allora? Quello di andare a votare ogni quattro anni dopo un violento bombardamento di menzogne televisive?” Quindi esamina il caso greco di Syriza. “Mettere insieme le tante anime della sinistra greca è stato un rischio... nucleare! Eppure lo abbiamo fatto perché avevamo qualcosa di dire alla gente. “

Parola alla Spagna e al redattore di Diagonal pablo Elorduy. Impossibile che il discorso non cada sugli indignados. “In Spagna la situazione è diversa. La sinistra tradizionale, quella che affondava le sue radici nel comunismo, e non la destra, è violentemente antieuropea. Il governo socialista ha seguito una politica ugale a quella dei conservatori e che si limita a predicare austerità e tagli al welfare. Abbiamo assistito ad un processo di svuotamento dello Stato cui sono rimasti solo i compiti di controllo sociale e di spoliazione dei beni comuni. Contro tutto questo è nato il movimento degli indignados, che ha messo in luce la carenza di democrazia e la crisi della rappresentanza. Cosa ne è ora di questo movimento? Si è verificato un ritorno al territorio e una attenzione alle battaglie locali”. Ammettendo che, rispetto ad un ragionamento europea gli indignados sono in forte ritardo, Pablo conclude con un parallelo musicale, invitando tutti i movimenti locali a “suonare la stessa musica”. 

Anno zero anche in Romania, come spiega Iulia Popovici di CritcAtac. A Bucarest le proteste contro la casta politica e contro l’austerity hanno ottenuto solo di affobdare un governo di destra per lasciare spazio ad una coalizione socialista e liberalista in cui i più liberisti sono proprio i socialisti. “I nostri governanti sono proni ai comandi di Bruxelles e più pronti ad andare contro al loro stesso popolo che ai comandi della troika. Da anni stanno privatizzando tutto il privatizzabile e anche qualcosa di più”. Addirittura, racconta Iulia, anche il sistema di ambulanze di prima emergenza è in mano ai privati. Per quanto riguarda l’Europa, in Romania non ci sono Euroscettici. “L’Europa viene vista come un mercato aperto del lavoro. Ricordiamoci che nel mioPaese la migrazione è un cardine sociale e culturale”.

Claudio Gnesutta di Sbilanciamoci riprendo in mano la dicotomiia tra democrazia e capitalismo, osservando come questi due termini non si sposino bene assieme. “Siamo di fronte ad una rivoluzione dall’alto che significa che le regole sociali le sta riscrivendo l’alta finanza. Sino ad oggi c’è sempre stato un compromesso tra il sociale e l’economia. Adesso non c’è più bisogno di questo compromesso. L’economia ordina come deve organizzarsi la società. La finanza comanda perché può decidere come e dove devono spostarsi i capitali a livello globale. Si è assunta il diritto di decidere priorità, meriti e metodi, forte di una forte classe dirigente e di una forte egemonia culturale”. Gnesutta osserva come anche tanta sinistra abbia digerito il principio che l’economia è dominante in una società. Dove sta l’alternativa allora? “Riportando al centro il lavoro e i suoi diritti, ponendo la questione sociale sopra quella economica. Il problema non è euro sì o euro no, ma come cambiare le politiche economiche dell’Europa”.

Di rivoluzione dall’alto parla anche Francesco Raparelli di Dinamopress. “Ma piuttosto che usare questo termine preferssco quello di costituente neoliberale, preferisco parlare di saccheggio più che di economia. I salari, il welfare sono il primo bersaglio di questa costituente che tenta di trasformare la crisi in opportunità. Non è un caso che la grande finanza ha ripreso ad investire nei titoli di Paesi in bancarotta come la Grecia”. Quella che a parere di Raparelli ci attende è una stagione di grandi turbolenze sociali. “Non possiamo liquidare il problema come la supremazia dell’economia sulla politica. Il, problema è che si governo solo a sostegno del mercato. Non c’è un vuoto di politiche ma nuove politiche”. Impossibile pensare a rifondare questa Europa dal basso senza fare i conti con l’euro che, secondo Raparelli, è la quintessenza dell’Europa e un caposaldo di questo processo. Eppure sulla questione “euro sì o euro no” i movimenti non hanno ancora preso una posizione forte. “Grillo sta per lanciare il referendum contro l’euro. Noi cosa gli opponiamo?” domanda. Raparelli non si nasconde di non avere la soluzione in tasca e offre alla platea due possibilità: la moneta comune oppure “far uscire la Germania dall’euro. Intendo, istituendo zone di moneta diversificate nell’Europa. Cose fuori dal mondo? Può darsi. Di sicuro c’è solo che così come è, l’euro non può essere preso per buono”. 

Il giurista austriaco Leo Specht descrive come stiamo vivendo la fine del compromesso sociale su cui si era fondata la nostra società ed in cui anche alle classi deboli veniva concesso l’accesso alla ricchezza sociale. “Il welfare di cui abbiamo goduto sino ad ora era organizzato su base nazionale ma l’attacco è venuto dall’Europa e non c’è stata difesa”. Specht propone di rovesciare la logica europea puntando su economie locali. “Le politiche europee si basano sul binomia economia e mercato ma ci sono tante forme di mercato, anche di creative e di sperimentali in grado di creare vere alternative”. 

Srecko Horvat organizzatore del festival croato Subversive cerca di dare una risposta alla fondamentale domanda “Che fare?” e risponde raccontando un aneddoto riguardante Ho Chi Min al quale una delegazione di comunisti italiani aveva chiesto come poteva fare per sostenere la sua battaglia. Il leader vietnamita rispose “Quando tornate in Italia fate la rivoluzione che abbiamo bisogno di alleati”. “Magari non la rivoluzione - scherza Srecko, cui va dato l’innegabile merito di aver risvegliato la platea raccontando qualche episodio divertente - ma è innegabile che in tutta l’Europa qualcosa si muove. Il rischio è quello del Gattopardo, che cambi tutto per non cambiare niente”.

La parola passa al giornalista del Manifesto Marco Bascetta che ha denunciato il pericolo che le critiche all’Europa provengano solo da basi nazionaliste grazie anche alla nostra incapacità di pensare all’Europa in termini politici. Attenzione alla Germania, afferma, “in cui si sta affermando un nazionalismo basato su criteri di competitività”. L’evidente fallimento delle politiche di austerity, conclude, non ha comportato un retromarcia “perché sono sempre state giustificate sostenendo che non erano state applicate bene o in maniera completa”. 

Per Raffaella Bolini dell’Arci, i pezzi di un processo alternativo ci sono e sono sparpagliati per tutta l’‘Europa. Il problema è che sono nascosti da una cappa di egemonia culturale liberista che non lasci spazi. “Ora ci cullano con il miraggio di una imminente crescita ma sono solo escamotage elettorali. L’unica crescita sarà per gli speculatori che riescono pure a passare per salvatori dell’economia”. Raffaella Bolini racconta di come il Governo greco abbia invitato i gruppi finanziari francesi a gestire le risorse idriche privatizzate del loro Paese per “aiutare” il popolo greco. “In queste condizioni, come si fa a far capire alla gente che il futuro è nella cooperazione e non nella competività?” si chiede. E conclude ottimisticamente: “Se c’è una cosa in cui noi italiani siamo sempre stati bravi è la cooperazione. Abbiamo costruito reti, associazioni, raccolte di firme e quant’altro per la Palestina, il Chiapas... Adesso è il momento di sostenere quelle realtà europee che resistono, nonostante se ne parli poco. In Grecia ci sono gruppi di mutuo soccorso di gente che non ha niente e aiuta chi non ha niente, in Romania interi paesi sono sulle barricate contro le privatizzazioni. Sosteniamoli come abbiamo sostenuto altre battaglie. Forse non riusciremo ad aiutare loro, ma certo aiuteremo noi a capire quale europa vogliamo”. 

Conclude questo primo appuntamento Beppe Caccia che comincia con una citazione di buon auspicio di Nietzsche “Solo chi ha dentro il caos può partorire una stella”. Per Caccia, l’eterogeneità che caratterizza i movimenti più che una risorsa può essere un rischio. “Per rendere costituente e produttiva questa eterogeneità bisogna partire da punti fermi. Siamo alla preistoria di un discorso politico europeo e dobbiamo rendercene conto. le forza in campo sono enormemente sproporzionate perché l’accumulazione capitalistica ha ristretto gli spazi che prima erano di competenza del lavoro. Per rovesciare questo quadro è indispensabile uscire da vecchie e comode certezze del passato. A monte della crisi c’è una trasformazione epocale del lavoro. Quello citato nel primo articolo della Costituzione non esiste più e più tornerà”. Caccia nota che che la parola “cittadini” presente nel sottotitolo del convegno, “per un patto costituente tra cittadine e cittadini”, è equivoco. “Perché questo termine, nelle politiche europee è stato usato in maniera escludente. L’Europa che vogliamo è una Europa dai confini più ampi, che guarda verso l’est  e verso il Mediterraneo. Abbiamo bisogno di allargare i confini di questa Europa oltre le vecchie barriere. Abbiamo bisogno di cittadini insorgenti, perché senza conflitto non potremo mai aprire una fase costituente dal basso”.

L'Europa oltre l'Europa