Come sei giovane, Roberto Saviano!

3 / 10 / 2014

Dopo la giornata di ieri ci si aspetterebbero alcune cose.

Che, ad esempio, la società civile ad orologeria del nostro bel paese chiedesse conto alla stampa delle fandonie scritte nelle ultime due settimane. Articoli fiume che parlavano di black-bloc, di anarcoinsurrezionalisti, dinamitardi e attentatori di vario genere. È pensabile che nel nostro paese si possa scrivere di tutto, vaticinando le più inimmaginabili nefandezze da parte di chiunque provi ad esprimere dissenso, e poi restare impuniti?

La giornata di ieri ha dato torto a tutti: a chi ci voleva incapaci di comunicare, a chi voleva la cittadinanza napoletana terrorizzata dalla protesta, a chi voleva disegnare l’attivismo come devianza criminale, slegata dal corpo sociale vero dei territori in cui si muove.

Ma il torto non è dei profeti e i loro tic sono più veloci della capacità di riconsiderare i propri giudizi.

È così che Saviano, piuttosto che provare ad interrogare le ragioni e i linguaggi di una giornata riuscita nonostante tutto (nonostante le narrazioni tossiche dei media e la violenza cieca ed immotivata delle forze dell’ordine), sente il bisogno di buttare giù una filippica sulla “sinistra napoletana”. E poco di male ci sarebbe, se non fosse che non ci capisce niente.

Se non fosse che, sotto gli automatismi di una penna troppo abituata a scrivere per fermarsi a chiedere, si nascondono tutte le banalità che da sempre si accumulano sulla sinistra autorganizzata: la vecchiezza degli slogan, la connivenza con la camorra, l’uso di marijuana. Un elenco della spesa senza contesto che meriterebbe il silenzio, non fosse che Saviano pretende di essere letto da qualche migliaio di persone, cui pure qualcosa si dovrà rispondere.

Ignora, Saviano, che da vent’anni la sinistra radicale (come la chiama lui) campana si batte contro lo sfruttamento e il saccheggio dei territori agito di concerto dalla camorra e dallo stato? Ignora che, nel 2010, è grazie agli attivisti di centri sociali e comitati che sono stati interrotti gli sversamenti nella discarica di Chiaiano? Quegli sversamenti protetti dalle leggi speciali e perpetrati dall’imprenditoria criminale?

La lotta contro il biocidio, che da vent’anni scrive una delle pagine di resistenza più importanti del nostro paese, è lotta alla camorra ed è patrimonio di pratiche e di saperi della “sinistra radicale”. Quella sinistra radicale che subisce cariche, processi ed arresti ogni volta che si oppone ad un impianto di avvelenamento, salvo poi scoprire – anni dopo – di aver avuto sempre ragione.

La lotta al proibizionismo – i consultori, i presidi sanitari autogestiti, i momenti di autoformazione, le sfilate – è lotta alla camorra ed è patrimonio esclusivo della sinitra radicale, che solleva una contraddizione sulla quale dormono placidamente i consumatori di cocaina dell’alta imprenditoria napoletana, le cui feste sono troppo glamour e troppo costose per meritare le critiche che si riservano invece a chi ascolta un po’ di musica in un centro sociale (gli unici spazi in città in cui esiste una forma di socialità non mediata dalla moneta, in cui con un paio d’euro si può bere una birra, chiacchierare, suonare, ballare).

La lotta alla precarietà – in un paese in cui il centrosinistra, bontà sua, si è spellato le mani per la riforma Fornero e marcia senza sosta dal primo al secondo atto del Jobs Act – è lotta alla camorra e patrimonio esclusivo della sinistra radicale. È lotta alla camorra perché, caro Saviano, la camorra non è cosa che interessi la psicopatologia criminale (o il sociologismo d’accatto). È invece sistema imprenditoriale complesso, capacità di drenare risorse pubbliche e di recintare beni comuni. Capacità di attecchire nella povertà e nel degrado, nell’abbandono mortifero di uno stato che in certi quartieri compare solo per sparare al cuore a un sedicenne.

Reazionario e miope è chi pensa che il crisma della legalità esaurisca le valutazioni politiche. Reazionario e miope è chi non legge la camorra come forma eminente dello sfruttamento capitalistico a sud, come vicenda intrecciata con gli apparati dello stato e le forze dell’ordine.

Saviano ci accusa di dire le stesse cose dal 2001. Questo esercizio noi lo chiamiamo coerenza. Nel 2001 dicevamo che un certo tipo di globalizzazione avrebbe prodotto povertà diffusa e precarietà cronica. Avevamo ragione. Nel 2001 dicevamo che la guerra e lo sterminio sono strumenti imprescindibili della governance capitalistica. Avevamo ragione. Nel 2001 dicevamo che non si esce dal disastro ambientale se non ripensando il modello di sviluppo complessivo nel quale esso si diffonde. Avevamo ragione.

E, credici Saviano, vorremmo aver torto. Vorremmo avere la tua capacità di credere al mito renziano (e non importa cosa pensi, nella fattispecie, di Renzi, importa un certo spirito, una certa propensione a liquidare il passato e sguazzare nelle utopie di un presente pacificato, lontano dalle contrapposizioni di classe, fieramente corporativo). Vorremmo vivere in un mondo in cui le cose che diciamo da decenni sono cambiate.

Non è così. È, invece, la stessa merda di sempre: quella con milioni di persone sfruttate, sottopagate, intossicate, ridotte alla fame e pochissime persone che si godono le cene di gala in una reggia.

Finché sarà così ci saranno i nostri cori, i nostri colori, le nostre scale, i nostri visi, le nostre parole, la nostra rabbia.

Ma quanto sei giovane, Saviano. Con il tuo disincanto, il tuo nuovismo, il tuo ecumenismo, la tua democristiana fiducia nella pacificazione. Il tuo disprezzo del presente, la tua fiducia nel nuovo fiammante. Che, poi, è la cosa più vecchia del mondo.