Come propaganda e populismo penale minano le basi del nostro Stato di Diritto

Decreto Legge Bonafede “Acchiappa-mafiosi” in G.U.

14 / 5 / 2020

Il contesto carcerario

A fine febbraio 2020 i numeri dei detenuti negli istituti di pena italiani si aggiravano intorno ai 61.230, non grandemente discostanti dunque da quei 63.000 che ci valsero la condanna nel 2013 per sovraffollamento carcerario da parte della Corte Europea dei Diritti Umani (Sentenza Torreggiani).

A marzo 2020, a seguito degli interventi finalizzati a ridurre la popolazione carceraria, si è approdati ad una riduzione di 7000 unità. Questi provvedimenti hanno sfatato senza alcun dubbio il pericolo di focolai all’interno delle carceri, come avvenuto al contrario nelle Rsa, dato che l’affollamento carcerario non consente il distanziamento fisico per evitare il contagio. Il numero dei detenuti si è pertanto assestato a 53.174 (un assesto dovuto anche alla mancanza di nuove entrate, data la riduzione di reati in periodo lockdown) che, tuttavia, checché se ne dica su ipotetici “facilonerie nelle scarcerazioni” è ancora in esubero rispetto ai 47.000 posti effettivi disponibili.

Le polemiche dell’ultimo mese

Svariati giornali, capitaneggiati da La Repubblica, hanno pubblicato in titoli cubitali la notizia di 376 detenuti che sottoposti a regime di carcere duro ex art. 41 bis o.p. avevano “sfruttato” la manleva dell’emergenza Covid-19 per beneficiare della sostituzione della pena detentiva con la detenzione domiciliare.

Ad onor del vero di quei 376 detenuti solo 3 persone sono “catalogate” come articolo 41bis, e quindi appartenenti alla grande criminalità mafiosa, una sola invece appartenente alla categoria "alta sicurezza 1", le altre 372 persone classificate infine come "alta sicurezza 3". È utile specificare però che queste persone, se hanno potuto usufruire della detenzione domiciliare è solo per via di un residuo di pena pari al massimo di 18 mesi. Inoltre, poiché il provvedimento datato 18 marzo non si applicava ai reati di mafia (come da preclusione dei benefici ex art. 4 bis ordinamento penitenziario) vuol dire che già avevano scontato per intero la parte di pena riguardante l'appartenenza alla criminalità organizzata. Di questi ultimi 372, peraltro, ben 195 erano persone non condannate con sentenza definitiva, e dunque se ancora “valevole” l’art. 27 co.2 della Costituzione, tutti sotto l’egida della presunzione di non colpevolezza.

Le sussunzioni semplicistiche spiegano la ratio del decreto “Acchiappa-Mafiosi”

Il decreto, nato dopo estenuanti dibattiti da talk-show, è frutto di una mera esigenza propagandistica dell’Esecutivo, tant’è che è riconosciuto ai più con l’appellativo ‘acchiappa-mafiosi’: ecco come si impone il populismo penale dall’estetica ‘muscolare’.

Il D.L. infatti è nato solo ed esclusivamente per porre riparo a quel polverone mediatico di cui sopra, cavalcando elevazioni indignate di “manettari” e cultori dell’antimafia molto distanti dal concetto di giustizia che è saldamente legato al rispetto dei diritti costituzionali.

La ratio del decreto è evidente: bisognava subito porre al riparo ‘riacciuffando’ l’esodo mafioso verso la libertà (?), anche se sottoforma di detenzione domiciliare (concetto che si sperava fosse comprensibile ai più dopo 50 giorni di quarantena forzata).

Il testo del decreto dimostra come l’Esecutivo non abbia alcuna fiducia e rispetto nei confronti della Magistratura – autonoma e indipendente - di Sorveglianza, che per ogni scarcerazione eseguita ha inserito motivazioni fondanti su solidi basi.

Un esempio per tutti è la scarcerazione di un detenuto dal cognome imponente, Pasquale Zagaria, mente del clan Casalesi e fratello del boss Michele. Tutti i giornali hanno completamente ridotto all’osso la notizia, titolando “Ennesimo boss al 41 bis ai domiciliari grazie al Covid-19”, riscuotendo timori dalla società civile e austeri grida di “Al fuoco!”.

Onde prevenire sussunzioni semplicistiche, i medesimi titoli e i susseguenti dibattiti politici scaturiti avrebbero dovuto specificare che il Zagaria era impossibilitato a svolgere i cicli chemioterapici obbligatori per via della patologia tumorale di cui soffre. L’ospedale del circondario di Sassari, infatti, in quel frangente di emergenza aveva sospeso i cicli per essere divenuto centro Covid-19. Il magistrato di Sorveglianza, dopo svariate richieste al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria ed alla Regione per individuare un istituto dove poter far svolgere le cure a tal detenuto, facendo prevalere l’interesse alla salute dello stesso, sostituiva la pena con la detenzione domiciliare dato che nel luogo di domicilio avrebbe potuto ottenere le cure di cui aveva bisogno.

Suona sicuramente diverso ora, no?

Il contenuto del decreto

Il decreto legge 10 maggio 2020 n.29 inserito in G.U. a seguito della firma del Presidente della Repubblica, disciplina una nuova modalità in materia di detenzione domiciliare o differimento dell’esecuzione della pena, nonché in materia di sostituzione della custodia cautelare in carcere con la misura degli arresti domiciliari, per motivi connessi all’emergenza sanitaria da COVID-19.

Da oggi, quando i condannati e gli internati per i delitti a sfondo mafiosoi sono ammessi alla detenzione domiciliare o usufruiscono del differimento della pena per motivi connessi all’emergenza sanitaria da COVID-19, il magistrato di sorveglianza o il tribunale di sorveglianza che ha adottato il provvedimento, deve acquisire il parere del Procuratore distrettuale antimafia del luogo in cui è stato commesso il reato e del Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo per i condannati ed internati già sottoposti al regime di cui al predetto articolo 41 -bis. Una volta acquisito il parere dovrà ri-valutare la permanenza dei motivi legati all’emergenza sanitaria entro il termine di quindici giorni dall’adozione del provvedimento e, successivamente, con cadenza mensile.

Il secondo caso invece riguarda invece gli imputati per i medesimi delitti per i quali è stata disposta la sostituzione della custodia cautelare in carcere con la misura degli arresti domiciliari sempre per motivi connessi all’emergenza sanitaria da COVID-19. Per tale categoria si impone la figura del pubblico ministero che dovrà verificare la permanenza dei predetti motivi entro il termine di quindici giorni dalla data di adozione della misura degli arresti domiciliari e, successivamente, con cadenza mensile.

Il decreto contiene delle gravissime criticità e si atteggia del tutto anti-costituzionale.

In primis, si inserisce un insensato obbligo di rivalutazione legato ad improbabili criteri cronologici dei motivi a corredo della modifica dell’esecuzione della pena o della misura cautelare, stralciati da ogni criterio di immediatezza e celerità che normalmente sono volti a preservare la salute del detenuto.

Inoltre, affida un parere agli Uffici della Pubblica Accusa, esautorando di fatto il Giudice che a differenza dei PM, è terzo ed imparziale.

Infine, non si fa alcun riferimento alla figura della difesa, creando notevoli distorsioni al principio del giusto processo che, da Costituzione, si svolge nel contradditorio tra le parti (accusa-difesa) in condizioni di parità dinanzi ad un giudice terzo e imparziale.

Le camere penali, dal canto loro, hanno pubblicato un duro comunicato, addivenendo a specificare come tale decreto sia “una vergogna, degna della incultura del diritto e della infedeltà alla Costituzione che avvelena il Paese.”, parole che condividiamo per filo e per segno.