Le responsabilità di Coca-Cola nello schiavismo a Rosarno e in Calabria nella raccolta delle arance e relativa produzione e utilizzo del prodotto lavorato
Ci serviva un’inchiesta di una rivista ecologista inglese “The Ecologist” poi ripresa dall’Indipendent per svelare chi si arricchisce, oltre alla malavita, dietro il lavoro schiavistico e al violento caporalato nella raccolta delle arance in Calabria.
Un’inchiesta che ha il pregio di svelare per l’ennesima volta quel
meccanismo perverso della finanziarizzazione dell’economia tipica della policy delle multinazionali
come Coca-Cola che non solo rappresentano una delle cause
dell’attuale crisi del sistema capitalistico ma anche coloro che a vari
livelli economici, politici, sociali (Marchionne e Fiat insegnano da
questo punto di vista) agiscono per sfruttare questa fase con
l’obiettivo di ridefinire un nuovo modello di società, a salvaguardia da
una lato della speculazione e del vampirismo finanziario nonché dei
profitti per pochi e, dall’altro, ad attuare una conseguente
cancellazione dei diritti nel mondo del lavoro e della vita con
conseguenze brutali e inaspettate anche per la ricca Europa e per i
cittadini autoctoni.
I migranti oramai è un decennio che sperimentano sulla loro pelle questa arbitrarietà e sfruttamento sul bios: “volevate braccia sono arrivati uomini”.
Le forme di schiavitù, di servaggio, di violenza arbitraria imposte a
migliaia di migranti nel nostro territorio e che abbiamo conosciuto in
questi ultimi anni grazie ai percorsi di soggettivizzazione delle e
degli sfruttati, ci raccontano -infatti- di un caporalato e di uno
schiavismo che in Italia si è caratterizzato per varie forme e declinazioni,
saldandosi certamente con la malavita organizzata ma anche con quelle
economie cosiddette legali (vocate sempre e comunque al profitto
privatistico e all’evasione fiscale) che impongono politiche del lavoro
anticostituzionali e al di fuori di qualsiasi CCNL.
Ora, grazie alla crisi, alle politiche di austerity e all’imposizione
del pareggio di bilancio nella carte costituzionali dei vari Paesi
aderenti all’UE, quelle forme di nuova schiavitù stanno divenendo
pratiche diffuse e agite in tutti i settori lavorativi e su tutta la
forza lavoro autoctona e non. Qualcosa, allora, che non riguarda più e solo gli altri da noi, africani, asiatici, latinos, ma qualcosa che riguarda tutti e tutte noi.
Allora questa inchiesta dell’Ecologist ha un grandissimo merito perché ci da l’occasione per riprendere una riflessione a 360° che guarda alla centralità della ricomposizione della forza lavoro e della lotta antirazzista
come nuovo orizzonte per le vertenze a venire, per cercare di
sperimentare ed individuare insieme nuove pratiche e alternative di
uscita dalla crisi e dal lavoro gravemente sfruttato e schiavistico, che
è lo scenario in cui siamo tutti e tutte immersi.
La tanto sentita, ripetuta, abusata litania sulla quale si è costruita la propaganda leghista e non solo – incarnata in un decennio di barbarie legislativa che ha il suo manifesto nella Bossi/Fini – per cui i migranti dovrebbero andarsene a casa loro, “perché ci rubano il lavoro”, “perché si fanno pagare di meno” non regge più in questa fase.
La litania razzista non regge più dal momento che le politiche sui
costi dei salari, della merce, del prodotto e sulla contrattazione
collettiva non sono i lavoratori e le lavoratrici migranti o comunitari
ad imporla e nemmeno i sindacati, ma i diktat della finanza e
delle grosse multinazionali come Coca-cola che cercando di darsi una
parvenza di eticità - rispetto alle accuse mosse da Ecologist - tenta di
giustificarsi sostenendo che la loro organizzazione e talmente grande
che i livelli intermedi che dovrebbero controllare le aziende
produttrici di materia prima (come il succo di arancia calabrese) a
volte possono sfuggire. Certo senza ricordarsi però che sono proprio le
multinazionali delle bevande analcoliche ad imporre al mercato - come
sostiene lo stesso presidente di Coldiretti Calabria, Pietro Molinaro -
un abbassamento dei costi del prodotto puro (arance) e lavorato (succo).
Qualcosa di analogo a quello che accade nella raccolta dei pomodori e alle aziende che lavorano il prodotto in Puglia, come ben documentato dalla vertenza di Nardò della scorsa estate.
E intanto Coca-Cola cosa fa?!
Come ogni “buona multinazionale che si rispetti”
e che – naturalmente tiene più alla sua immagine e ai profitti che non
ai diritti - disdice i contratti con le aziende calabresi che producono
il succo di arancia, alla ricerca non solo di nuovi sfruttati meno mediatizzati (perché quelli di Rosarno come ci ricordano le cronache del gennaio 2010
non si sono solo indignati, ma si sono organizzati in una rivolta
spontanea che ha fatto il giro del mondo), ma anche di una soluzione
immediata per evitare una nuova campagna di boicottaggio, questa volta
contro la Fanta, che farebbe diminuire i già mastodontici profitti della
multinazionale.
Le persone prima dei profitti, people before profits!
Questo
slogan risuona nelle piazze di tutto il mondo e in tutte le lingue del
mondo, facciamolo divenire il nostro monito quotidiano, perché lo
sfruttamento e lo schiavismo cesseranno solo se vi saranno diritti per
tutti e tutte su questo pianeta terra.
Per approfondire:
"The hard labour behind soft drinks. Coca-Cola is being urged to help end exploitation in Italian orange groves" - The Indipendent
Accuse alla Coca-cola per le arance Calabresi dal Corriere.it
"Orange harvest: the hidden cost of Italy’s soft drinks trade" - The Ecologist