Coalizziamoci dal basso e lottiamo per il comune.

Riflessioni dei centri sociali del Nord-Est sul dibattito allo Sherwood Festival dedicato al tema delle coalizioni. Tra gli ospiti di quella serata, Maurizio Landini

8 / 7 / 2015

“La coalizione non nasce per esigenze di carattere politico generale, ma strettamente di carattere sindacale”. Maurizio Landini

Lo dice chiaramente e con molta onestà il segretario generale della F.I.O.M. durante il dibattito “Confederare territori, coalizzarsi per il comune”, organizzato allo Sherwood Festival. Tutto questo è ben distante da qualsiasi idea di spazio di ricomposizione complessiva che alcuni avevano prospettato in quest'ultimo periodo.

L’obiettivo della “ricostruzione dell’unità nel mondo del lavoro di fronte ad una situazione inedita sul piano delle tutele e dello sfruttamento”, sebbene sia doverosa e corretta nelle intenzioni, crediamo non colga a fondo un cambio di paradigma che si è pienamente affermato nel capitalismo contemporaneo, ossia il passaggio dalla relazione tra capitale e lavoro a quella tra capitale e vita. Non si tratta solamente di una questione terminologica, ma di una questione che viviamo ogni giorno sulla nostra pelle. I nostri affetti, le relazioni, la nostra capacità di cooperare vengono costantemente sussunti dal capitale e messi a valore. Inoltre nelle nuove forme di sfruttamento gratuità e volontarietà diventano elementi costitutivi di una nuova relazione produttiva, nella quale viene completamente meno il rapporto valore-lavoro come strumento di misura di un’attività sociale.

Se il concetto tradizionale di salario è già stato disgregato dal post-fordismo, oggi è l'intero principio di retribuzione, anche nelle sue forme più precarie e disarticolate, che viene messo in discussione su larga scala. Ha senso allora parlare, ancora, di “mondo del lavoro” come fosse un unicum omogeneo? Non avrebbe forse più senso puntare a ricomporre la moltitudine degli sfruttati partendo immediatamente da un terreno di riconquista di diritti, tutele e soprattutto della ricchezza?

In questo contesto la questione del reddito diventa centrale. L’idea di reddito minimo come nuovo ammortizzatore sociale è insufficiente perché legata ancora ad un elemento di garanzia nell’intermittenza di lavoro. Il reddito deve diventare la base di un nuovo patto sociale, che sottragga milioni di persone in questo paese al ricatto delle nuove forme di sfruttamento e che sia strumento di reale redistribuzione della ricchezza. Un reddito di cittadinanza, senza se e senza ma.

Come non riconoscere nelle lotte per il reddito un modo per ristrutturare il debito, dunque l’intera gestione delle risorse economiche e le relazioni di potere della governance europea? In questo senso, fare “pratica di coalizione” significa innanzitutto creare nuove relazioni sociali immanenti, costruire senso politico oltre l’individualismo, la xenofobia e il razzismo che l’astensione ci consegna: vuol dire trasformare quella che Gramsci avrebbe chiamato la “volontà generale” senza presupporre che questa ci sia, ma non trovi rappresentazione in questo momento.

Il tema del reddito viene sempre trattato con una certa difficoltà da Landini e non a caso appare timidamente sia nei documenti di convocazione che in quelli finali dell’assemblea che ha dato vita alla Coalizione Sociale, avvenuta lo scorso 6 e 7 giugno a Roma. Il problema non è certamente il segretario della Fiom in sé, a cui va riconosciuto uno sforzo notevole di superare quella cultura lavorista che ancora schiaccia gran parte dei sindacati in questo Paese, con poche eccezioni anche nel sindacalismo di base. Il problema vero è che ci sono ancora alcune questioni irrisolte che emergono ogni qual volta un sindacato prova ad intrecciare percorsi con soggetti, politici e sociali, differenti.

Lo avevamo già visto durante “Uniti contro la crisi”, con la differenza che quell’esperienza nasceva dalla volontà di una ricomposizione di lotte più che di soggetti e soprattutto si collocava dentro una fase di mobilitazione sociale che investiva il Paese nella sua complessità.

La differenza maggiore, tuttavia, si dà sulla questione ambientale. Come si fa ad ignorare (o relegare tra due parentesi del discorso) il nodo della crisi climatica? Non occorre certo scomodare i rapporti della Banca Mondiale per assumere, anche teoricamente, che la crisi climatica in corso non possa più essere considerata come una “contraddizione seconda”, un rumore di fondo rispetto alla “contraddizione primaria” tra capitale e lavoro. Un pianeta la cui temperatura sale costantemente e sempre più rapidamente verso la soglia dei 2, 4 o addirittura 6 gradi (a seconda delle stime) è un pianeta in cui è messa in discussione la possibilità di riproduzione della vita stessa (oltre che delle garanzie contrattuali di fabbrica). Coalizzarsi in termini generali, lottare e costruire altra società in un pianeta a rischio significa in primis assumere la crisi climatica come cornice generale di pratica e di discorso. Significa rimettere in discussione un modello produttivo ed energetico basato sui combustibili fossili, a cominciare dalla produzione industriale pesante, “metalmeccanica”. Affrontare la crisi climatica come “frame” generale significa ad un tempo combattere i trattati internazionali neoliberisti e lottare contro grandi opere nei territori, rimettere al centro della cultura politica la democrazia, il comune, il collettivo, sconfiggendo l'ideologia individualista neoliberale che pone l'uomo (bianco e ricco) come padrone assoluto dell'ambiente che lo circonda.

Non è certo sufficiente evocare una vaga riconversione ecologica se non viene messo in discussione l’intero paradigma produttivo e di consumo.

Maurizio Landini ha ragione quando dice che “nessuno può bastarsi”. C’è urgenza di ricomposizione sociale, politica, di lotte. C’è urgenza di ricostruire un piano complessivo che affronti di petto il tema dell’alternativa sistemica. Ma questa urgenza non può essere sopperita da operazioni “in vitro”, che rischiano di tradursi in coalizioni di sigle più che vere coalizioni sociali. Al momento, senza una progettualità ed una processualità che si intravedono, la Coalizione Sociale non sembra discostarsi dall’immagine di un contenitore privo di qualsiasi legame con il corpo sociale vivo di questo Paese.

Inoltre l’alternativa sistemica si dà su una pluralità di livelli che definiscono un quadro di complessità all’interno del quale la separatezza tra lotta economica e lotta politica rimane puro artificio. Questo piano di complessità ha nel conflitto la sua variabile di attivazione e di emancipazione da qualsiasi prospetto di un nuovo mondo che rimanga sulla carta. Non è possibile parlare di alternativa senza mettere il conflitto al centro del piano di discorso e di azione. Ed è su questo terreno che ancora riscontriamo delle distanze con chi ha promosso la Coalizione Sociale. E’ impossibile pensare al cambiamento delle “leggi ingiuste” solamente dentro le forme e gli istituti della democrazia rappresentativa, soprattutto in una fase storica di post-democrazia che stiamo vivendo già da alcuni anni.

Allo stesso tempo è insufficiente ridurre la lotta politica ad un ambito di compatibilità con la rappresentanza istituzionale tout court, a quella “buona politica che sappia difendere la società ed i lavoratori”. L’alternativa sistemica passa attraverso una dialettica tra pratiche destituenti e processi costituenti ed allo stesso tempo deve avere come macro-obiettivo la creazione di istituzioni del comune e non la ristrutturazione, in chiave democratica, delle istituzioni neoliberali esautorate dal capitale stesso. Ed è questo il punto su cui dobbiamo continuare ad interrogarci ed assumere su un piano avanzato lo stimolo di Landini a non sentirsi ed essere autosufficienti.

In definitiva il dibattito di lunedì 29 giugno allo Sherwood Festival mette in luce numerose criticità, sia nel confronto diretto con Maurizio Landini sia in generale sulla Coalizione Sociale. Crediamo che queste criticità vadano immesse nella processualità che la Coalizione Sociale saprà darsi nei prossimi mesi e non usati come parametri di giudizio stantii.

Il dibattito ci conferma anche che la pratica della coalizione, laddove si afferma attraverso un legame vero tra realtà di base e singolarità, può realmente produrre una  nuova prassi dell’organizzazione. Può rompere quella frammentazione sociale e creare una nuova modalità dell’agire politico. Il territorio, all’interno del quale i processi di finanziarizzazione della vita e lo sfruttamento contemporaneo emergono in maniera più nitida, rappresenta lo spazio dove queste pratiche di coalizione vengono sperimentate e si radicano. Forse allora dovremmo immaginarci come confederare queste esperienze e valorizzarle in un progetto di società alternativo all'esistente.