Cloe Bianco: froc3 e pover3

27 / 6 / 2022

La decisone di Cloe Bianco è stata oggetto di congetture e strumentalizzazioni, su cosa l’abbia spinta a togliersi la vita, quali siano le cause, chi siano i colpevoli. La verità è che le andrebbe lasciata almeno la libertà di questa scelta, senza renderla un simbolo o una vittima per sempre.

Non possiamo sapere cosa abbia spinto Cloe Bianco ad uccidersi ma possiamo partire dalla sua morte per fare una riflessione sul perché la percentuale di suicidi tra le persone transgender sia così alta, o sul perché Bianco, insegnante abilitata, non esercitasse più la sua professione.

In una triste mail che un genitore scrisse alla assessora Donazzan (FdI) per “denunciare” il coming out della Professoressa Bianco vengono riportate le sue parole alla classe: “lo desideravo da quando avevo 5 anni, l’ho fatto adesso perché sono diventata finalmente di ruolo”.

Dopo l’episodio, che l'assessora alla Pubblica Istruzione del Veneto definì “carnevalata”, la docente venne sospesa e successivamente destinata ad altre mansioni non a contatto con lɜ  studentɜ.  Demansionata e umiliata fino a spingerla ad abbandonare la scuola, il suo lavoro.

È una storia di transfobia? Sicuramente. Il punto è che è anche una storia di precariato e ricattabilità. Il fatto che una persona per fare coming out aspetti di essere di ruolo vuol dire solo una cosa, essere precariə è una condizione talmente repressiva che porta moltissime persone a nascondere la propria identità di genere, il proprio orientamento pur di non perdere il lavoro. E se pensiamo che anche dopo, da docente di ruolo, la professoressa Bianco non è riuscita ad insegnare in una scuola pubblica ma è stata emarginata e allontanata dalle sue classi, allora il problema assume altre sfaccettature.

Nel caso di Cloe Bianco la persecuzione transfobica è venuta da alcuni genitori, alcuni docenti e dalle stesse istituzioni che avrebbero dovuta tutelarla. Basti pensare che l’assessora Donazzan, che nel 2015 l’ha condannata ad una gogna pubblica e mediatica, non solo è ancora al suo posto ma continua a rivolgersi alla docente usando pronomi maschili. Chi è a scuola ogni giorno sa che l’ultimo problema sono lɜ ragazzɜ (gen z ma anche alpha) che fortunatamente appartengono ad una generazione che ha sdoganato il binarismo di genere e i suoi ruoli.

Bianco dunque, dopo una persecuzione personale e politica che avrebbe stroncato chiunque, ha anche perso il suo lavoro. Una dipendente pubblica sotto ricatto da precaria e anche dopo, vittima di un sistema che non tutela lɜ lavoratorɜ , che dà sempre più potere ai dirigenti scolastici, ormai manager di strutture competitive e performanti con meccanismi disciplinari pesantissimi che limitano la libertà di espressione del corpo docente e del corpo studentesco.

L’eterno ricatto del capitale, che ti pone sempre di fronte a delle scelte limitanti pur di non perdere il lavoro. Se sommiamo a questa situazione di estrema ricattabilità e precarietà il fatto di essere una persona queer o trans il rischio di essere emarginatə e poverə cresce esponenzialmente. Le persone LGBTQA+ hanno molte più probabilità di rimanere senza tetto a causa del poco sostegno familiare o del fatto che sia molto più difficile essere assunte. Per non parlare della segregazione occupazionale che spinge molte persone a non accettare certi tipi di lavoro per paura dello stigma sociale.

La storia di Cloe Bianco è quindi anche una storia di lotta di classe necessaria; dimostra come sia imprescindibile leggere ciò che accade con la lente dei diritti civili inestricabile dalla lente dei diritti sociali. Non c’è una contrapposizione tra i due perché non c’è lotta individuale se non c’è una lotta collettiva che tenda a migliorare le condizioni materiali di tuttə. E che si può essere froce o povere ma sicuramente è più probabile essere froce e povere. Da qui partiamo, ed è l’unico modo per ricordare Cloe Bianco sperando che nessunə si senta mai più cosi solə.