Ci stringeremo le mani e serreremo i pugni

24 / 3 / 2020

Dopo tutto questo il mondo non sarà più lo stesso, non si tornerà indietro non verranno restaurati sistemi e modelli precedenti. Il nostro mondo, la distribuzione del potere, le strutture istituzionali, ciò che resta degli equilibri geopolitici, soprattutto il mercato non saranno più uguali a prima. Il sistema globale si sta ristrutturando, si muovono grandi aggregazioni di potere, si ridisegna il ruolo delle componenti della società. Non ci troveremo di fronte allo stesso sistema sociale, ci sono tendenze in atto da anni che si stanno rafforzando ed altre che invece spariranno, ci sono processi che si muovono l’uno nella pelle dell’altro. Ci sono processi che come sempre stritolano i più deboli e mirano a sfruttare tutto.

È facile perdersi nelle pieghe di una grande trasformazione storica, soprattutto se si viene travolti dall’emergenza planetaria, dalla nuova forma con cui la paura si è diffusa capillarmente ed è diventata nostra compagna fidata, presente in tutto ciò che facciamo. Anche chi vive nelle aree privilegiate del pianeta adesso convive con la paura, in un sistema compiuto di gestione dell’emergenza che non ha precedenti nella storia umana, perché non c’è mai stato un momento in cui tutte le società del pianeta hanno subito contemporaneamente uno stato di emergenza, forse in modo asimmetrico durante i trent’anni di conflitti mondiali dello scorso secolo. Ci si perde, perché forse non ci aspettavamo di vedere il grande mutamento dall’interno delle nostre case, certo quando è possibile, quando abbiamo una casa o non siamo in luoghi di lavoro, nell’isolamento di forme estreme che il controllo sociale può assumere in un sistema ormai al collasso.

1. La peste, la paura, l’accumulazione

Bisogna ripensare la pandemia come una grande crisi di accumulazione, animata dalla consueta violenza, interna ad una tragedia planetaria in cui emerge il darwinismo sociale su cui è stato costruito il sistema, specialmente nella sua fase neoliberale. Viviamo una fase storica in cui esplodono tutti i conflitti interni ad un sistema che non può avere vie d’uscita, non ha mai potuto permettersi alternative allo sfruttamento più puro del vivente e adesso come sempre, cerca di scaricare sulla collettività le conseguenze di una crisi creata dalla spasmodica imposizione dei processi di valorizzazione.

La consapevolezza che dopo tutto questo il nostro mondo non sarà più lo stesso, è però sempre più forte ed inizia ad essere condivisa da molte analisi. Non stiamo vivendo una semplice fase transitoria né un evento da cui si possa tornare indietro. Tutte le crisi nella modernità capitalista sono state crisi di accumulazione, qualunque processo le abbia innescate, ogni fase di crisi del sistema ha anche aperto la strada alle sperimentazioni sul controllo sociale. Durante le crisi si acuiscono però anche le contraddizioni interne e la pandemia è un evento del tutto interno alle contraddizioni del nostro sistema. La storia del pianeta negli ultimi secoli è stata determinata dalle crisi prodotte dal sistema capitalista e dal modo in cui ne è uscito. Crisi in cui riesplodono sempre con forza le contraddizioni che lo hanno tenuto in piedi, così adesso quella fondamentale tra capitale e vivente è diventata il fulcro di tutto il processo ed è destinata a rimanerlo definitivamente.

2. Dove siamo in questi giorni?

La propaganda segue una sua storia classica, prima ci verrà chiesto dove eravamo, cosa facevamo, ci verrà chiesto quando la macchina della repressione verrà presentata come la risposta salvifica, cancellando le centinaia di migliaia di persone che prestano il proprio lavoro per salvare gli altri. Il tutto per sostenere uno sconvolgimento senza precedenti dei ritmi di vita e dei già deboli principi di libertà che sostenevano il modello delle democrazie occidentali. A salvare le vite umane, non sono i fucili puntati, fotografati in modo imbarazzante sui giornali come se bisognasse sparare ai virus, non ci sarebbe bisogno di dirlo fuori dalla disperata e ormai imbarazzante propaganda.

Bene, va ripetuto: ci siamo e siamo dentro questa crisi. Siamo on-line ovunque, parliamo e ci contiamo in continuazione, lanciamo proposte, cerchiamo di confermare un dato di fatto, cioè che ci siamo e non siamo l’ultimo nodo della catena di controllo, non siamo i nostri telefoni tracciati, i nostri software controllati, le nostre porte chiuse e le finestre da cui arrivano i deprimenti inni nazionali, gli elicotteri che girano sulle nostre teste e i proclami di sicurezza che provengono dagli altoparlanti. Siamo ancora l’argine di fronte ai danni di un sistema sociale al collasso, che non ha saputo fare altro che proporre un disperato tentativo di tenere in vita le sue miserie e saremo ancora lì dopo, per costruire ciò che questo sistema distrugge sistematicamente da sempre, lo faremo con la gioia e con la consapevolezza di essere più forti.

Intanto siamo soprattutto con le brigate volontarie, con gli spazi sociali, con le organizzazioni di lavoratori, siamo con tutte le realtà politiche che si sono mosse lungo il percorso segnato chiaramente negli ultimi due secoli di storia del capitalismo: nella contrapposizione tra i modelli solidaristici e la violenza brutale del profitto. Esattamente negli stessi giorni in cui il micragnoso capitalismo italiano ha imposto a migliaia di lavoratori di continuare a muoversi dentro la zona di maggior contagio del pianeta, per qualche piccolo punto percentuale di differenza (mantenendo peraltro in piedi un contagio localizzato che ha messo in crisi tutti i modelli predittivi e che gli varrà perdite colossali). In quegli stessi giorni, in tutte le città italiane le realtà organizzate che provengono dai movimenti sociali si sono mobilitate, come sempre in tutte le crisi, hanno organizzato gruppi, hanno sostenuto situazioni di difficoltà e contemporaneamente dimostrato concretamente cosa significa un modello sociale in cui non si può restare indietro, in cui non ci si può perdere nell’isolamento. Una rete di relazioni sociali è la sola possibile risposta alla parcellizzazione, alla riduzione a piccoli isolati nodi della paura globale.

Combattere la paura e costruire socialità differente è sempre stato il punto di partenza delle forme politiche di opposizione. Non ci sarebbe bisogno di spiegarlo, ma potremo farlo lo stesso, quando servirà, parleremo di chi porta spesa e medicinali, di chi ha imparato in due giorni come muoversi in una zona di contagio, delle azioni materiali e delle riflessioni su cosa avverrà dopo, su cosa sarà l’economia di guerra in cui ci hanno catapultato con una narrazione di isolamento ed egoismo che non corrisponde alla realtà. Dovremo anche comprendere quanto ci sia di serio e profondo impegno nella costruzione di un mondo differente da parte chi sta rischiando in prima persona in questi giorni per partecipare a queste forme di lotta.

La lista è lunga perché in tutto il paese chi poteva ha agito e sta continuando. Al momento, da una rapida e molto parziale ricerca di informazioni emerge che in tutta la Lombardia, nel centro mondiale del contagio, si muovono le brigate di solidarietà, così come a Parma e Firenze, mentre a Padova, Venezia, Mestre, Vicenza, Treviso, Schio, Trento, Napoli, Bologna sono stati gli spazi sociali e i laboratori politici ad organizzarsi, mentre molte delle organizzazioni storiche sono attive nelle principali città. Nel frattempo, dopo i blocchi e gli scioperi, continuano le assemblee virtuali per il reddito di quarantena, quelle della rete di ecologia politica, le assemblee radiofoniche, le trasmissioni radio e il dibattito su tutti i siti di informazione e di analisi politica, continuano a funzionare i centri antiviolenza. Dappertutto si discute seriamente della questione più importante: cosa faremo dopo.

3. La contraddizione capitale-vivente

Bisogna discuterne, perché si è mostrato lo spirito più puro del capitalismo, nella sua più misera e immediata visione locale, ma c’è anche la visione di ampio respiro, quella del vero scontro di potere mondiale, le aree che entrano in crisi in tempi differenti, gli investimenti in Cina che riprendono mentre quelli negli USA entrano nel pieno della quarantena, il capitale fossile che prova ad approfittare della situazione, il nuovo sistema di distribuzione che cambia le regole del mercato e il telelavoro. Bisogna discuterne perché il capitalismo non è mai stato una forza rivoluzionaria, è sempre stato il frutto di una cupa ed egoistica visione reazionaria, ma ha saputo usare tutti gli elementi di innovazione provenienti dai gruppi sociali di opposizione. Stiamo resistendo e lo facciamo davvero in un momento storico che non ha precedenti. Un momento che produrrà un enorme sconvolgimento politico sociale, da cui potrebbe nascere in ogni caso uno spazio nuovo in cui ormai le istituzioni della modernità non hanno più senso, dovranno reinventarsi o scomparire. Dovremo lottare per non far assorbire l’alternativa che proponiamo, dovremo rendere ancora più visibile il fatto che esistono proposte concrete e che sono attuabili.

Nel frattempo gli altri animali si riprendono qualche spazio, sperando magari che resteremo chiusi, almeno per un po’, per recuperare il disastro e godersi ciò che ci è stato sottratto negli ultimi secoli, l’aria pura, le acque, il nostro mondo. Ci sarà un tempo successivo, le proiezioni sono ancora chiare e drammatiche, i dati sono molto precisi, ci sarà il momento in cui bisognerà rispondere al desiderio di socialità e in cui bisognerà davvero decidere cosa fare. E ci sono i nostri simboli storici, quelli usati da tutte le realtà in lotta, le mani strette, i pugni serrati, l’abbraccio che ci ha tenuti fuori dall’abisso. È vero siamo anche la vita che resiste e che ricostruirà dopo, abbiamo delle proposte e adesso più che mai vanno rilanciate, adesso più che mai sono concrete.