A quasi un
anno dalla strage di Castelvolturno, il 18 settembre dello scorso anno, sembra
quasi sorprendente che oggi sia possibile stilare un bilancio
"positivo", dopo il rinvio a giudizio del capo della “fazione
stragista” del clan dei casalesi, Giuseppe Setola.
Le richieste dei magistrati della Direzione Distrettuale Antimafia, accolte dal
GUP di Napoli, introducono alcune novità nelle aggravanti dell’eccidio che, se
confermate al termine del processo che inizierà il 12 novembre a Santa Maria
Capua Vetere, rappresentano una novità storica nella giurisprudenza italiana
antimafia: l’accusa di strage aggravata dall’odio razziale e dalle finalità
terroristiche.
Il rinvio a giudizio di Setola, con queste motivazioni, rende già giustizia
agli immigrati innocenti che furono uccisi due volte lo scorso anno, prima
dalla camorra e poi dai media che accreditarono inizialmente l’ipotesi di un
regolamento di conti nell’ambito del controllo del mercato della droga e della
prostituzione, gestito dalla “mafia nigeriana” per conto dei casalesi.
Tale ipotesi, è stata smentita dalle indagini giudiziarie, le quali hanno
accertato l'estraneità delle vittime africane dai traffici illeciti, nessuna
delle quali di nazionalità nigeriana, anche se si volesse dare credito all'idea
che tutti i nigeriani che vivono a Castelvolturno siano dediti ad attività
criminali .
La celebrazione del processo a Setola ed ai membri della sua “banda”, con la
loro eventuale condanna, sembrerebbe quasi il preludio di una favola a lieto
fine, se aggiungiamo che nell’ultimo anno le forze dell’ordine hanno inferto un
colpo durissimo al clan camorristico più potente della Campania, con un
dispiegamento di uomini e mezzi che non si era mai visto in provincia di
Caserta che ha portato all’arresto di centinaia di affiliati ai clan della
camorra.
Persino il comune di Castelvolturno ha voluto fare la sua parte,
costituitendosi parte civile, consentendoci così di dimenticare l’infelicissima
uscita sulla stampa nazionale del sindaco Luigi Nuzzo, pochi giorni dopo la
strage, quando disse che senza gli immigrati «Castelvolturno potrebbe essere un
luogo stupendo. Potrebbe diventare una località turistica formidabile: la
Malibù d'Italia».
Sarebbe un grave errore però ritenere che questa vicenda si possa chiudere ed
archiviare semplicemente con un “giustizia è fatta” , quando (e se) verrà fatta
giustizia.
Per anni
abbandonato a sé stesso, terra di latitanti, militari americani e traffici
di vario tipo, il litorale domizio è diventato negli ultimi anni una delle
tappe della migrazione di gran parte dei ghanesi e dei nigeriani che fanno
ingresso in Italia, passando dal nord Africa. Castelvolturno, anzi “Destra
Volturno”, il ghetto dove vivono gran parte degli almeno 13.000 africani che
abitano lungo il tratto che va da Baia Verde a Castelvolturno, è il luogo
ideale per trovare ospitalità presso amici o parenti, per avere accesso al
credito informale, trovare qualche lavoro da fare nelle campagne; prima di
proseguire il proprio progetto migratorio verso il nord. Molti immigrati, nel
corso di questi anni, hanno aperto delle attività imprenditoriali, contribuendo
a far rivivere una zona che aveva la presunzione di essere una città di
villeggiatura. L’abusivismo, l’inquinamento del Volturno e la camorra,
nel giro di pochi anni, fecero fuggire via quelle famiglie
(principalmente napoletane) che avevano investito negli anni ’60 i loro
risparmi per l’acquisto della seconda casa in uno dei tanti villini della
costa. Negli anni ’80, con la realizzazione dell’asse mediano che tagliava
Castelvolturno fuori dalle arterie stradali verso il mare, e dopo che
anche i soldati della NATO se ne andarono via, tutto il territorio diventò una
terra di nessuno, chi aveva una casa trovò più conveniente fittarla agli
immigrati, gli unici che potevano sostenere gli elevati costi di fitto, per
tutto l’anno solare, anche se a costo di condividere la casa con altri
immigrati, in condizioni di sovraffollamento.
Nel corso degli anni gli hotel gestiti dalla camorra cominciarono poi fiutare
l’affare della presenza degli immigrati diventando principalmente luoghi dove
si consumavano i rapporti sessuali con le centinaia di prostitute immigrate,
dell’Africa, ma anche dell’Est Europa.
L’importanza degli immigrati nell’economia della camorra era già diventata
evidente nell’aprile 1990, con la strage di Pescopagano, nel comune di
Mondragone, nella quale morirono cinque persone, di cui tre stranieri, in
una mattanza ordinata dal boss Antonio Bardellino per il controllo della
vendita di droga nella zona nell’ambito del conflitto tra i La Torre ed i
casalesi.
La vicenda fu seguita da innumerevoli episodi di razzismo, con colpi di fucile
esplosi contro gli immigrati dalle auto in corsa, con il rogo del ghetto di
Villa Literno nel 1994, quando la camorra decise di gestire i flussi migratori
nel casertano dirottandoli lungo la costa, fino alla strage dello scorso 18
settembre, che chiude quasi un ventennio di silenzi sulle drammatiche condizioni
di vita degli immigrati sul litorale domizio e su una finta tolleranza degli
italiani residenti, basata quasi esclusivamente su rapporti di tipo
utilitaristico con gli stranieri. E' sotto questo profilo che la Strage di
Castelvolturno rappresenta un vero e proprio salto di qualità.
Se il processo contro gli scissionisti del clan dei casalesi dovesse confermare la lettura che Roberto Saviano diede della strage, e cioè come un messaggio che la camorra ha voluto dare alle comunità immigrate africane, in vista dei progetti di riqualificazione del litorale domizio, un affare da diverse decine di milioni di euro, nel tentativo di creare le condizioni per pilotare investimenti volti a far diventare Castelvolturno un'area turistica, significherebbe che dietro la strage, al di là della strage, si nasconderebbe una volontà di fare una specie di pulizia etnica della zona, cacciare completamente gli immigrati che non vogliono scendere a patti e che non sono controllabili.
Dopo appena un paio di mesi dalla strage, e dopo la manifestazione di Caserta del 6 ottobre 2008, i riflettori dei media erano completamente spenti quando i carabinieri fecero irruzione nell'American Palace, un condominio che si chiama così perchè fino a venti anni fa ospitava i militari americani ed oggi invece è abitato da centinaia di immigrati africani, con una operazione in grande stile perchè “a seguito di attività investigativa, si aveva fondato motivo per ritenere che negli alloggi dell’edificio si potrebbero occultare armi, munizioni o esplosivi”. Invece non fu trovato niente, nemmeno un grammo di droga, il che è anche statisticamente rilevante, considerata la quantità di persone sottoposte a perquisizione; si pensi solo a cosa si può trovare in una perquisizione in un qualsiasi condominio di una periferia come Napoli, Palermo, ma anche Milano e Roma. Furono però devastate porte, finestre e suppellettili, sottratti i soldi che gli immigrati avevano lasciato nelle loro borse. L'operazione si concluse con il fermo e la deportazione di 39 immigrat nel C.I.E. di Ponte Galeria.
L'indegna rappresaglia del 21 novembre all'American Palace non ha avuto però un seguito altrettanto spettacolare solo grazie al movimento antirazzista che, con la partecipatissima manifestazione di Castelvolturno del 18 aprile 2009, ha riproposto le ragioni della sfida di un futuro diverso per Castelvolturno. Un futuro che non può prescidere dalla solidarietà e dalla convivenza tra italiani ed immigrati, fuori da qualasiasi ipotesi di "redistribuzione delle presenze" dei migranti sul territorio, sopratutto se si vuole combattere la mentalità camorristica.
Gli immigrati che vivono a Castelvolturno non sono
controllabili dalla camorra, e l’hanno dimostrato con una lezione di civiltà,
anche questa trasformata vergognosamente dai media nazionali, travisata in
una “rivolta” irrazionale e incontrollata. I giornalisti non ebbero il coraggio
di riconoscere invece che gli immigrati si erano ribellati in massa alla
violenza camorristica, con dignità, mettendo in piazza la prima rivolta
popolare contro la mafia (o camorra, n'drangheta) mai vista nella storia
d'Italia.