Caso Abu Omar. La Corte condanna i vertici del Sismi

L’imam era stato rapito a Milano da agenti della Cia e torturato. Dieci anni all’ex direttore Nicolò Pollari, nove al suo vice.

13 / 2 / 2013

Profondo sconcerto per la decisione dei giudici e grande rammarico per non essersi potuto difendere in aula “a causa del segreto di Stato che prova la mia innocenza, non la mia colpevolezza”. Così l’ex direttore del Sismi Nicolò Pollari commenta la sentenza “bis” della IV sezione della Corte d'appello del tribunale di Milano che lo ha condannato a dieci anni di reclusione per il sequestro dell’allora imam di Milano Abu Omar, avvenuto il 17 febbraio del 2003. Rispondendo alle domande dei giornalisti, Pollari si paragona ad Enzo Tortora, “oggi è stata condannata una persona che tutti in Italia sanno essere innocente”, e non trascura di lanciare accuse e avvertimenti, più o meno velati, agli alti piani della politica (tutti quegli anni al Sismi, gli avranno pur insegnato qualcosa): “In questo processo io non sono mai stato messo in condizione di difendermi. 

Perché? È una domanda alla quale non so rispondere e che dovreste fare ad altri”. E continua: “I governi Prodi, Berlusconi e Monti (che hanno coperto l’operazione con il segreto di Stato.ndr) sono stati dunque i miei complici? E se lo sono stati perché nessuno li interpella?” Le linea difensiva di Pollari è quella del “buon soldato” che obbedisce agli ordini dei generali per amor di patria e che alla fine paga per tutti. “Lo stesso Governo - afferma l’ex capo del Sismi - ha messo per iscritto che le mie attività sono istituzionali e quindi sono lecite”. E conclude con il più classico degli “Ahi, serva Italia”: “Io sono un uomo abituato a rispettare la legge. Ma questo è un Paese di falsi moralisti in cui conviene essere scorretti e infingardi”.

Comunque la si pensi, è innegabile che il potere politico abbia giocato tutte le sue carte per impedire che si giungesse a questa sentenza di condanna. Proprio durante il dibattimento, anche il governo Monti, così come prima aveva fatto quello di centrodestra (Berlusconi) e quello di centrosinistra (Prodi), aveva esplicitamente ribadito la piena copertura del segreto di Stato sull’intera vicenda. Inoltre, a pochi giorni dalla sentenza, la presidenza del Consiglio dei Ministri ha sollevato un conflitto di attribuzione tra i poteri dello Stato nel tentativo di invalidare la sentenza della Cassazione che ha chiesto alla corte d’Appello di procedere con questo processo “bis” nei confronti di Pollari e dei suoi sottoposti.

Una mossa che non ha ottenuto gli effetti sperati, tanto è vero che la Corte si è ben guardata dal sospendere il dibattimento in attesa della decisione della Consulta ed anzi ha proceduto con la sentenza, accogliendo le richieste dell’accusa.  Pollari è stato giudicato colpevole e condannato a 10 anni (il sostituto procuratore generale Piero De Petris ne aveva chiesto 12), 9 anni per Marco Mancini, all’epoca numero due del Sismi, e 6 anni gli agenti Raffaele Di Troia, Giuseppe Ciorra, e Luciano Di Gregori. 

Vicenda chiusa? Non ancora. Gli avvocati della difesa hanno già annunciato il ricorso alla Cassazione. Il legale di Marco Mancini, Luigi Panella, ha sollevato dubbi sulla legittimità della sentenza sostenendo che in questo processo "sono stati utilizzati atti coperti da segreto". Il che, va detto, contraddice quanto afferma Pollari, secondo cui i giudici non avrebbero utilizzato il segreto di Stato in quanto questo proverebbe l’innocenza degli imputati. 

L’ex capo del Sismi comunque è assai esplicito nel ribadire la sua fiducia nella Cassazione. “È una questione di civiltà giuridica - afferma - A cosa serve parlare di rapporti leali tra poteri dello Stato se poi sono soltanto mere enunciazioni di principio? La democrazia si esercita con i fatti e con la sincerità”.

Democrazia, appunto. Questa è la parola con la quale Nicolò Pollari giustifica il sequestro e le torture inflitte, prima nella base di Aviano e poi in Egitto, ad un cittadino egiziano perseguitato dal Governo di Mubarak ed al quale il nostro Paese aveva concesso l’asilo politico. Una persona sulla quale gravavano solo dei “sospetti”, peraltro mai confermati, di essere in contatto con cellule terroriste. Il “caso Abu Omar” non è stato altro che un rapimento in piena regola autorizzato dal governo Bush a pochi giorni dall’invasione dell’Iraq e compiuto da un commando di agenti della Cia - tutti condannati in via definitiva dalla corte di Cassazione - nel nostro territorio. Uno schiaffo alla nostra dignità democratica e alla nostra sovranità nazionale. Uno schiaffo al quale ben tre Governi non hanno saputo rispondere in altro modo che apponendo il segreto di Stato.