Carcere e droghe, si prepara un’estate di mobilitazione

DIRITTI. Da Trieste a Schio, fino a Monfalcone si moltiplicano gli episodi di repressione. In arrivo iniziative contro la legge Fini-Giovanardi.

31 / 3 / 2010

Una mobilitazione davanti alle carceri italiane per denunciare le condizioni di detenzione e per chiedere la depenalizzazione dei comportamenti connessi al consumo di sostanze. Molto probabilmente a Padova, prima dell’inizio dell’estate. Ma la tappa veneta sarà solo la più eclatante di una serie di iniziative che dall’inizio di febbraio si stanno già susseguendo in tutto il Nordest.
 

A partire da Trieste, dove la commemorazione dei trent’anni dalla morte di Franco Basaglia, il celebre psichiatra che fece chiudere i manicomi, ha sollecitato la rimessa in discussione del ruolo che il potere attribuisce al sistema del welfare. Tutto è nato proprio all’interno nel vecchio manicomio di Trieste, lo stesso di cui Basaglia distrusse i muri facendo approvare la legge 180 di riforma psichiatrica. Dal 9 al 13 febbraio scorso, all’interno di quegli spazi liberati, operatori sociali, medici e psichiatri, giornalisti e studenti si riuniscono per chiedersi come sia possibile, ora, attualizzare la libertà terapeutica proposta da Basaglia liberando dalle strategie di controllo e contenimento coloro che vengono considerati i “devianti” di oggi.
 
Ne esce una piattaforma di lavoro, denominata la “Carta di Trieste”, che propone di organizzare una giornata nazionale sul carcere e una sul tema delle sostanze. Ma tra l’appuntamento di Trieste e quello che verrà organizzato a Padova prima dell’estate ci sono una serie di passaggi che coinvolgono anche le città di Monfalcone e di Schio, nelle province di Gorizia e di Vicenza.
 
A Monfalcone sono due gli episodi recenti che riportano alla ribalta delle cronache le contraddizioni connesse a una criminalizzazione sempre più spinta dei consumatori di sostanze e a un’applicazione sempre più invasiva di strategie di controllo sociale. Il 7 febbraio scorso, una maxi – retata sottopone una trentina di giovanissimi a perquisizioni: tra loro alcuni minorenni che, nel cuore della notte, vengono prelevati da casa e trasportati in pronto soccorso per “urgenti” esami delle urine. In tutto si trova una manciata di “fumo”, ma la vasta operazione viene resa pubblica in nome della ricerca di una presunta attività di spaccio di sostanze stupefacenti.
 
L’operazione smuove perfino gli avvocati della Camera penale di Gorizia, che inviano una delibera ai ministeri dell’Interno, della Salute, della Gioventù, oltre che all’Azienda sanitaria, alla questura e ai politici locali.
 
«I davvero esigui esiti dell’operazione – si legge nel documento -, sempre per come riportati dalla stampa (sequestro di quantità del tutto irrilevanti di sostanze, a prima vista riconducibili a consumo personale, non già a traffico di stupefacenti), insieme alla vasta eco che gli operanti hanno deciso di dare alla stessa, lasciano presumere, salve successive emergenze allo stato non note, che l’operazione sia stata concepita e condotta con il fine principale di colpire giovani consumatori delle cosiddette “droghe leggere”, non già personaggi di rilevante spessore criminale». La Camera penale di Gorizia, poi, sottolinea che, per legge, gli accertamenti sanitari devono essere volontari, che il consumo e il possesso di stupefacenti per uso personale non costituiscono reato e che gli aspetti connessi a forme di disagio sociale giovanile devono trovare giusto supporto in interventi di natura educativa e assistenziale e non in operazioni di polizia.
 
L’altro episodio risale invece al 16 marzo e si riferisce a una vicenda molto simile che si era svolta, sempre a Monfalcone, un anno fa, quando diversi attivisti dello spazio autogestito “Officina sociale” furono incarcerati con l’accusa di spaccio.
 
Anche in quel caso non si trovarono altro che esigue quantità di hashish, tant’è che il Tribunale del Riesame di Trieste li scarcerò dopo due settimane, smontando il metodo di indagine condotto dagli inquirenti. Di lì a poco, ad essere allontanati dal loro posto di lavoro (con un caso di arresto), furono proprio alcuni degli stessi inquirenti.
 
Il 16 marzo scorso, al Tribunale di Gorizia si svolge l’udienza preliminare. All’esterno del palazzo i militanti degli Spazi sociali del Nordest inscenano un presidio: «Da un lato – spiegano - si attaccano in maniera deliberata, cosciente e smodata le vite private degli studenti, delle famiglie e di normali cittadini, dall’altro viene pubblicamente sancita la non volontà del potere giudiziario di affrontare le vere e tragiche emergenze che questo territorio soffre, come, un esempio su tutti, i processi per le morti d’amianto che ancora non hanno trovato giustizia». 
 
Passano poche ore e viene definitivamente archiviata l’imputazione che accusava diversi attivisti di aver adibito lo spazio autogestito e le loro case al consumo e al traffico di sostanze stupefacenti. Ma il processo vero e proprio aprirà comunque il 16 luglio.
 
Passiamo a Schio, in provincia di Vicenza. É il 5 marzo quando le forze dell’ordine entrano in due scuole superiori con cani al seguito per perquisire alcuni ragazzi accusati di spaccio. «L’operazione – spiega il portavoce del coordinamento studentesco, Stefano Segalla - provoca reazioni tra gli studenti che decidono di aprire un dibattito sul territorio, aperto anche a presidi, genitori e operatori sociali». A una settimana di distanza si organizza un’assemblea pubblica, che fa il pieno nella sala comunale del quartiere di Santa Croce».
 

E intanto a Padova, prima della mobilitazione estiva davanti al carcere, l’appuntamento è per dopodomani, giovedì 1° aprile, al Centro sociale occupato Pedro di via Ticino, alle ore 21. «L’assemblea - spiega il portavoce, Max Gallob - è il tentativo di coinvolgere tutti quei soggetti lavorano nel campo delle dipendenze. Si vuole aprire una campagna condivisa legata alla depenalizzazione dell’uso delle sostanze stupefacenti e alla denuncia delle condizioni di vita all’interno delle carceri italiane»

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