Una mobilitazione davanti alle carceri italiane per denunciare le
condizioni di detenzione e per chiedere la depenalizzazione dei
comportamenti connessi al consumo di sostanze. Molto probabilmente a
Padova, prima dell’inizio dell’estate. Ma la tappa veneta sarà solo la
più eclatante di una serie di iniziative che dall’inizio di febbraio si
stanno già susseguendo in tutto il Nordest.
A partire da Trieste, dove la commemorazione dei trent’anni dalla
morte di Franco Basaglia, il celebre psichiatra che fece chiudere i
manicomi, ha sollecitato la rimessa in discussione del ruolo che il
potere attribuisce al sistema del welfare. Tutto è nato proprio
all’interno nel vecchio manicomio di Trieste, lo stesso di cui Basaglia
distrusse i muri facendo approvare la legge 180 di riforma psichiatrica.
Dal 9 al 13 febbraio scorso, all’interno di quegli spazi liberati,
operatori sociali, medici e psichiatri, giornalisti e studenti si
riuniscono per chiedersi come sia possibile, ora, attualizzare la
libertà terapeutica proposta da Basaglia liberando dalle strategie di
controllo e contenimento coloro che vengono considerati i “devianti” di
oggi.
Ne esce una piattaforma di lavoro, denominata la “Carta di Trieste”, che
propone di organizzare una giornata nazionale sul carcere e una sul
tema delle sostanze. Ma tra l’appuntamento di Trieste e quello che verrà
organizzato a Padova prima dell’estate ci sono una serie di passaggi
che coinvolgono anche le città di Monfalcone e di Schio, nelle province
di Gorizia e di Vicenza.
A Monfalcone sono due gli episodi recenti che riportano alla ribalta
delle cronache le contraddizioni connesse a una criminalizzazione sempre
più spinta dei consumatori di sostanze e a un’applicazione sempre più
invasiva di strategie di controllo sociale. Il 7 febbraio scorso, una
maxi – retata sottopone una trentina di giovanissimi a perquisizioni:
tra loro alcuni minorenni che, nel cuore della notte, vengono prelevati
da casa e trasportati in pronto soccorso per “urgenti” esami delle
urine. In tutto si trova una manciata di “fumo”, ma la vasta operazione
viene resa pubblica in nome della ricerca di una presunta attività di
spaccio di sostanze stupefacenti.
L’operazione smuove perfino gli avvocati della Camera penale di Gorizia,
che inviano una delibera ai ministeri dell’Interno, della Salute, della
Gioventù, oltre che all’Azienda sanitaria, alla questura e ai politici
locali.
«I davvero esigui esiti dell’operazione – si legge nel documento -,
sempre per come riportati dalla stampa (sequestro di quantità del tutto
irrilevanti di sostanze, a prima vista riconducibili a consumo
personale, non già a traffico di stupefacenti), insieme alla vasta eco
che gli operanti hanno deciso di dare alla stessa, lasciano presumere,
salve successive emergenze allo stato non note, che l’operazione sia
stata concepita e condotta con il fine principale di colpire giovani
consumatori delle cosiddette “droghe leggere”, non già personaggi di
rilevante spessore criminale». La Camera penale di Gorizia, poi,
sottolinea che, per legge, gli accertamenti sanitari devono essere
volontari, che il consumo e il possesso di stupefacenti per uso
personale non costituiscono reato e che gli aspetti connessi a forme di
disagio sociale giovanile devono trovare giusto supporto in interventi
di natura educativa e assistenziale e non in operazioni di polizia.
L’altro episodio risale invece al 16 marzo e si riferisce a una vicenda
molto simile che si era svolta, sempre a Monfalcone, un anno fa, quando
diversi attivisti dello spazio autogestito “Officina sociale” furono
incarcerati con l’accusa di spaccio.
Anche in quel caso non si trovarono altro che esigue quantità di
hashish, tant’è che il Tribunale del Riesame di Trieste li scarcerò dopo
due settimane, smontando il metodo di indagine condotto dagli
inquirenti. Di lì a poco, ad essere allontanati dal loro posto di lavoro
(con un caso di arresto), furono proprio alcuni degli stessi
inquirenti.
Il 16 marzo scorso, al Tribunale di Gorizia si svolge l’udienza
preliminare. All’esterno del palazzo i militanti degli Spazi sociali del
Nordest inscenano un presidio: «Da un lato – spiegano - si attaccano in
maniera deliberata, cosciente e smodata le vite private degli studenti,
delle famiglie e di normali cittadini, dall’altro viene pubblicamente
sancita la non volontà del potere giudiziario di affrontare le vere e
tragiche emergenze che questo territorio soffre, come, un esempio su
tutti, i processi per le morti d’amianto che ancora non hanno trovato
giustizia».
Passano poche ore e viene definitivamente archiviata l’imputazione che
accusava diversi attivisti di aver adibito lo spazio autogestito e le
loro case al consumo e al traffico di sostanze stupefacenti. Ma il
processo vero e proprio aprirà comunque il 16 luglio.
Passiamo a Schio, in provincia di Vicenza. É il 5 marzo quando le forze
dell’ordine entrano in due scuole superiori con cani al seguito per
perquisire alcuni ragazzi accusati di spaccio. «L’operazione – spiega il
portavoce del coordinamento studentesco, Stefano Segalla - provoca
reazioni tra gli studenti che decidono di aprire un dibattito sul
territorio, aperto anche a presidi, genitori e operatori sociali». A una
settimana di distanza si organizza un’assemblea pubblica, che fa il
pieno nella sala comunale del quartiere di Santa Croce».
E intanto a Padova, prima della mobilitazione estiva davanti al carcere, l’appuntamento è per dopodomani, giovedì 1° aprile, al Centro sociale occupato Pedro di via Ticino, alle ore 21. «L’assemblea - spiega il portavoce, Max Gallob - è il tentativo di coinvolgere tutti quei soggetti lavorano nel campo delle dipendenze. Si vuole aprire una campagna condivisa legata alla depenalizzazione dell’uso delle sostanze stupefacenti e alla denuncia delle condizioni di vita all’interno delle carceri italiane»
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