Buona scuola: a che gioco giuocano?

Note a margine del flop della Buona Scuola renziana.

2 / 1 / 2015

Dopo aver strombazzato la ‘Buona Scuola’, ovvero la riforma strutturale della scuola pubblica, come la svolta epocale sulla quale il governo Renzi ci metteva il cuore e il portafoglio per mostrare al Paese il senso del cambio di passo che sia andava a compiere, con un colpo di spugna il tutto viene rinviato, almeno di due mesi. Se ne riparlerà a febbraio 2015.

Cos’è successo per indurre il buon Matteo a compiere questo vistoso pit-stop nella sua corsa contro il tempo per varare una ‘riforma’ su cui si è dichiaratamente, non richiesto, giocato la faccia?

Sono stati lo stillicidio, iniziato da settembre, degli scioperi quasi sempre scollegati fra loro del personale della scuola, la mobilitazione studentesca, le critiche dei soloni ben pensanti o la forza dirompente della proposta alternativa della rigenerata LIP?

Purtroppo non pensiamo siano queste le cause, ben ce lo rammenta la determinazione del percorso del Jobs Act.

Alcuni segnali si potevano cogliere nelle sparate, ora demagogiche ora securitarie di Faraone, ex responsabile scuola del Pd ora sottosegretario al MIUR.

La buona occasione è stata fornita dall’esito sottotono del sondaggio on-line promosso per saggiare le adesioni alla proposta governativa. Infatti, nonostante la griglia pilotata delle domande e in barba alla blindatura del percorso propedeutico alla riforma annunciata, dalle rigide maglie delle statistiche è emersa una bocciatura dell’impianto che avrebbe dovuto sorreggere la riforma stessa: la meritocrazia nelle carriere degli insegnanti e la premialità nella gestione degli istituti.

Il ministro Giannini – contraddicendo goffamente Renzi, che ha pubblicamente ammesso il fallimento dell’operazione rimandando di due mesi la realizzazione del piano e citando le 200 delibere dei collegi dei docenti che hanno rappresentato in maniera chiara lo scarso gradimento della proposta governativa – ha cercato di rilanciare ed ha affermato che la consultazione “è stata un grande successo”. E’ una bugia che probabilmente segna il tramonto del suo ministero.

La grande stampa nazionale, in particolare l’ex Corrierone, ha sparato ad alzo zero contro la proposta del premier, enfatizzando i risultati critici emersi tra le righe e dando voce a coloro che hanno raccolto migliaia di firme contro la riforma, ai sindacati confederali. Altra bugia. Le firme raccolte nelle scuole erano contro il blocco contrattuale e degli scatti di anzianità. Ma quando occorre, si usa dar lustro agli stessi personaggi che si mettono sulla forca mediatica per la riforma del lavoro.

E in questi giorni, sempre il Corrierone,  ha pubblicato l’illuminante intervento diAndrea Gavosto, direttore dellaFondazione Giovanni Agnelli, fondazione che, in combine con  TreElle, è stata il genius loci per le riforme della Moratti e della Gelmini: “La Buona Scuola del governo Renzi vuole premiare il merito degli insegnanti. Il principio è in sé del tutto condivisibile, seppur nuovo per il nostro Paese, dove conta unicamente l’anzianità di servizio. Il problema della Buona Scuola è che traduce un giusto principio in una soluzione sbagliata. La proposta nella sua formulazione originaria è (o, forse, era) di dare aumenti ai due terzi dei docenti in ciascuna scuola ogni tre anni. Un’idea sbagliata per almeno due ragioni. In primo luogo, perché, invece di indurre i docenti a migliorarsi nella propria scuola, spinge esplicitamente coloro che non sono stati premiati a trasferirsi in una scuola dove vi sono insegnanti più scarsi, così da garantirsi il premio al giro successivo. Si dice loro, in altre parole: trovatevi una scuola più modesta, dove potrete eccellere. Non certo il modo migliore per far crescere la qualità complessiva dell’insegnamento. In secondo luogo, nell’ipotesi del governo il premio retributivo appare di fatto sganciato da una prospettiva di progressione di carriera.”

Concetti che non si discostano da quelli diffusi in più occasioni dal ministro in pectore Faraone e che possiamo ritrovare ampiamente riprodotti nella proposta di legge Aprea-Ghizzoni che ha, in più, il pregio di essere ben incardinata nei lavori parlamentari, invece di rimanere, come la Buona Scuola di Renzi, una semplice ipotesi di lavoro da rielaborare.

Questo è il segnale da cogliere, la scuola rimane un settore da bonificare con gli strumenti del mercato, dove meglio si opera quando tutti gli operatori sono in difficoltà economica e, meglio ancora, quando sono anche spiazzati dal mutamento degli scenari di volta in volta proposti.

Rimangono però distintamente sulla scena alcuni dati inconfutabili per la scuola, quali il suo precipitare all’ultimo posto tra i paesi europei del rapporto tra spesa per l’istruzione e PIL, il nostro avere uno dei maggiori tassi di dispersione scolastica ed elusione dall’obbligo scolastico, abbinato ad uno dei più bassi indici di laureati per numero di abitanti e ad uno dei maggiori indici di edifici scolastici non in regola con la normativa sulla sicurezza.

Rimangono gli stipendi bloccati fino al 2019, gli scatti di anzianità che vanno e vengono, le supplenze brevi che non vengono pagate, i precari che vivono di illusioni, il personale ata sempre più penalizzato, gli organici all’osso, gli studenti in libertà vigilata e costantemente monitorati, gli autoritari presidi e/o presuntuosi manager …

Abbastanza per incazzarsi per davvero.

Buon 2015.


Beppi Zambon & Carlo Salmaso

Cobas scuola del Veneto