Bulletti e bulloni

di Antonio Musella *

21 / 5 / 2009

”Nelle pratiche dei movimenti si consuma il trionfo dell'individuo sulla società, o piuttosto la rottura dei fili che nel passato avevano avvinto gli uomini al tessuto sociale. Il tessuto sociale infatti non era formato soltanto dalle effettive relazioni fra esseri umani e dalle loro forme organizzative, ma anche dai modelli generali di tali relazioni che dovevano regolare i comportamenti reciproci, i cui ruoli erano gia’ prescritti”
E.J.Hobsbawn “Il secolo breve”

Ciò che e’ accaduto alla manifestazione nazionale degli operai Fiat a Mirafiori segna senza dubbio un passaggio importante rispetto ai conflitti sociali che interessano il nostro paese davanti alla crisi.
La faccia di Gianni Rinaldini buttato giù dal palco, senza dubbio racconta tanto di quella che e’ la crisi che il mondo sindacale sta attraversando. Lo e’, allo stesso modo, la faccia dell’operaio dello Slai Cobas di Pomigliano d’Arco che faceva volteggiare la cinta sulla sua testa pronto ad assaltare “il nemico di classe”.
Due concezioni residuali delle dinamiche di conflitto nel nostro paese hanno inscenato cio’ che e’ accaduto davanti a Mirafiori.
Uno scontro le cui ragioni non vanno cercate, come qualcuno sostiene, in uno scontro generazionale tra operai, ne’ tantomeno in un problema di rappresentanza sindacale. La crisi della forma sindacato evidentemente racchiude nella sua complessità diverse ragioni.
Innanzitutto la crisi stessa del sindacato. Anni ed anni di concertazione non riescono in nessun modo a tenere il passo con la logica di un governo che in tempo di crisi declina un concetto di sovranità assolutamente nuovo per il nostro paese, così come altrettanto nuova e’ la dimensione dello governance dello scontro sociale fondata sul restringimento sempre crescente dello spazio del dissenso, che non viene affatto gestito, ma bensì gli si scarica addosso il massimo dell’esplicitazione del monopolio della forza.

La dimensione confederale fatta di compartecipazione alle politiche di governance, esercizio di lobbing nel mondo del lavoro, consociativismo con il centro sinistra tanto da diventare in alcuni casi parte integrante dell'istituzione (i casi di Campania, Toscana ed Emilia Romagna sono emblematici in questo) sono tra le cause della crisi del primo sindacato italiano. Di conseguenza la rottura dell'unità sindacale, in questa ottica, risulta essere necessaria per un sindacato, la Cgil, che non si e’ mai saputa immaginare al di fuori dello schema sopra descritto. Il ritorno ad una radicalita’ solo ed esclusivamente annunciata da parte della Cgil rappresenta la sola scelta che Epifani riesce ad immaginare. Ma ovviamente la crisi del sindacato la si legge nella sua stessa incapacita’ di adeguarsi ad un mondo del lavoro profondamente cambiato rispetto agli anni '60 – '70, la nuova composizione del mercato del lavoro, la trasformazione delle tipologie contrattuali, la mancanza di diritti sindacali per milioni di lavoratori, mettono in crisi la forma sindacato stessa. Le May Day già qualche anno fa hanno segnalato questo tipo di crisi e di trasformazione allo stesso tempo. Ma una Cgil che non e' capace di leggere questo non e' ovviamente nemmeno capace di comprendere come negli anni la sua subalternità non ha fatto altro che portare il sindacato di Cofferati ed Epifani ad appoggiare tutto il piano normativo che oggi mettono un sindacato di 4 milioni di iscritti ed essere buttato giù dal palco davanti a Mirafiori. La Fiom in questi anni ha rappresentato la cinghia di trasmissione tra il carrozzone confederale e subalterno della Cgil ed il mondo delle lotte sociali indipendenti. Un ruolo che li ha piazzati su un crinale ad alta quota. Quello di vedere il baratro, rendersi conto della crisi di organizzazione, ma essere incapaci al tempo stesso di cambiare direzione. Senza dubbio risulta ingeneroso il lancio del "Rinaldini dal palco" davanti ad una storia recente della Fiom che li ha visti rappresentare sempre una struttura capace di stare nei movimenti e di marcare la differenza di linea politica rispetto alla casa madre. Ma e’ l'errore di lettura di fase che porta oggi la Fiom ad assaggiare con mano l'effetto della crisi di organizzazione della forma sindacato. Su Pomigliano, a differenza di quello che ha sostenuto Giorgio Cremaschi, la lettura della Fiom continua ad essere assolutamente incapace di vedere la portata della crisi. Il piano vertenziale impostato con la Fiat rispetto alla necessità di un piano industriale che rilanci gli stabilimenti di Pomigliano e Termini Imerese con l’avvio di una nuova vettura, non fa per nulla i conti con un paese dove il rapporto tra capitale e rendita rischia di sgretolarsi sotto i colpi della crisi.
L'insostenibilità di un nuovo piano industriale e’ sostanzialmente legata all’impossibilità di immaginarsi il tessuto produttivo di questo paese legato ancora ed esclusivamente al settore manifatturiero che campa con i fondi statali e non comprende la necessità di una sua radicale trasformazione. La Fiom ha pienamente avallato invece una lettura vecchia del ciclo produttivo di questo paese che non regge più. E proprio su Pomigliano si sta mettendo in campo il piu’ grande esperimento di ammortizzatore sociale territoriale che al momento si sperimenta in questo paese. Si chiama Agenzia Pubblica per il Territorio, e riguarda l’assorbimento dei cassintegrati Fiat, di diverse migliaia di disoccupati in formazione come quelli del progetto Isola (Inserimento Socio Lavorativo), ed altre figure di precari. Lavori di pubblica utilità con fondi pubblici della Regione Campania e del Governo che riguarda circa 50.000 tra cassintegrati e disoccupati. Proprio davanti alla mancanza di volontà del governo di finanziare l'operazione della Regione Campania a Napoli, in questi giorni, si consumano giorni di rabbia e lotta.

Per questo ciò che e' accaduto a Mirafiori ha origini più complicate di quelle che sembrano.
Dall'altro lato a tirare giù Rinaldini dal palco una forma di sindacato stalinista da primo dopoguerra. Un sindacato che non riesce nemmeno a trovare dei canali di comunicazioni con il resto dei sindacati di base, che davanti ad una composizione del mondo del lavoro sempre più moltitudinaria non riesce in nessun modo a comprendere che la fase e’ cambiata... ma da alcuni decenni....
Uno strumento residuale che non è in grado in nessun modo di contribuire alla necessità di garantire continuità di reddito agli operai di Pomigliano. Una manifestazione, quella sul palco di Mirafiori, che potrebbe essere tranquillamente annoverata anche come l'esasperazione di chi non riesce a portare l'orologio del tempo avanti con le lancette, sprezzante della contaminazione con le nuove forme di precarietà e di povertà come i bulletti davanti ai richiami degli adulti.
Certo i cartelli che lo Slai Cobas portava sotto il palco di Rinaldini, raccontano proprio di quella subalternità della Fiom che prima ricordavo. Su alcuni di quei cartelli c'era scritto "Reparto confino di Nola", un reparto costituito alcuni anni fa allo stabilimento Gian Battista Vico di Pomigliano dove sono stati inseriti tutti i delegati sindacali dei sindacati di base, tutti i soggetti più propensi al conflitto. Un reparto che si trova fuori dalla fabbrica, a Nola, in un'altro comune, per impedire la comunicazione ed il contatto con gli altri operai. Un'operazione fatta dalla Fiat con il pieno accordo dei sindacati confederali che rappresenta inequivocabilmente la subalternità dei sindacati confederali ed anche della Fiom al padrone.
Non esiste ovviamente nessuna teoria dei "vasi comunicanti", ovvero il meccanismo per il quale davanti alla crisi del sindacato confederale c'e’ un aumento di peso specifico e di iscritti per i sindacati di base. A Pomigliano, così come a Termini Imerese , ma così come all'Atitech, a Fincantieri, alla Ixfim, dove si stanno consumando le lotte operaie in questa fase, il peso specifico dei sindacati di base e’ bassissimo. A testimonianza di come la crisi delle forme dell'organizzazione investe tutti. Infatti a parlare di continuità di reddito, di riconversione degli impianti, di trasformazione del ciclo produttivo non ci pensa nessuno.
Per un ragazzo di 25 anni, che sogna di essere “la classe dirigente del futuro” (così come facevano gli operai diplomati all'inizio degli anni '80) la fabbrica e' il posto più brutto del mondo. La sua vita passa da una sveglia alle 4:00 del mattino ad un autobus dell’azienda. Badge, catena di montaggio, sirena, autobus, Maria De Filippi, pallone in Tv, e via nel letto. Se qualcuno gli proponesse di restare lì per tutta la vita a fare macchine non penso che possa in nessun modo essere la sua massima aspirazione. Gli operai seguono le vertenze da casa, perche’ a Pomigliano si lavora una settimana al mese. La rassegnazione e l'incapacità dei sindacati di costruire percorsi di lotta reali, probabilmente dettati dal soccorso della politica di ammortamento sociale, producono come conseguenza naturale il fatto che un lavoratore decida di non avvalersi più della collaborazione di nessun sindacato. Questo però non in un'ottica di liberazione di autonomia collettiva, ma come scelta individuale, come rifugio del singolo davanti al naufragare di ogni identità di classe, davanti all'impossibilità di immaginarsi un comune.
Davanti a questo scenario non possiamo dimenticare un'ulteriore elemento che nell'attuale vicenda Fiat ha un peso significativo. Gli unici due stabilimenti a chiudere, nonostante l'acquisto di Chysler negli Usa, la fusione con Opel in Germania, sono quelli di Termini Imerese e Pomigliano d'Arco, due stabilimenti del Sud. Un elemento che continua a caratterizzare le scelte sia del governo sia del capitale – rendita. La dismissione del ciclo di produzione del settore manifatturiero nel Sud Italia, frutto della scellerata presunta industrializzazione degli anni '50 e '60, significa la distruzione del solo tessuto industriale produttivo esistente per alcune decine di milioni di persone. E soprattutto il dato risulta ancor più pesante se e’ associato all’assenza totale della prefigurazione di uno scenario di trasformazione di fronte alla dismissione del settore industriale manifatturiero accompagnato dalla insufficienza del settore della produzione derivato dal lavoro cognitivo. Se da un lato l'Agenzia Pubblica per il Territorio risulta essere il solo esempio di ammortizzatore sociale messo in campo al momento davanti alla crisi, non può rappresentare una nuova visione più complessiva del sistema produttivo del Mezzogiorno, ovviamente.

Con questo non si può affermare in forma netta che dietro ai fatti di Mirafiori ci sia uno scontro tra operai del Sud ed operai del Nord. Ma di certo non si può affermare nemmeno l'esatto contrario.

Davanti a questo scenario risulta quanto mai ragionevole pensare che buttare Rinaldini giù dal palco non sia esattamente la risoluzione strategica dei problemi degli operai, per non parlare poi di sciagurati paragoni con lotte degli anni settanta che sono serpeggiati in questi giorni.
Oggi gli operai probabilmente non li rappresenta nessuno.
E forse l'identità sociale di quei ragazzi e di quelle ragazze di Pomigliano non risulta in nessun modo vicina a quella dei cicli di lotta precedenti.

* Laboratorio Occupato Insurgencia, Napoli