Dopo
aver letto il libro di Luisa Muraro ho pensato subito un
Titolo: BISOGNA SAPER VINCERE.
Ecco, lo scrivo e già mi pento,
perchè mi viene in mente un punto oscuro del testo di cui si
parlava nel cortile della casa
internazionale delle donne a Roma
dopo l'incontro con Muraro qualche giorno fa. Nel libro Muraro
racconta un episodio che io nel ricordo ora, forse, ingrandirò:
Patrizia, allieva del suo corso non regolamentare di filosofia, un
giorno arriva tardi a lezione, è molto provata e spiega il motivo
del ritardo: un problema in autobus. Dice che sull'autobus c'erano
solo lei, visibilmente incinta, un'altra donna e due maschi che
cominciano a molestare la donna. La donna resiste e si difende ma
poi piange e le chiede aiuto con lo sguardo ma
Patrizia è
paralizzata non riesce a dire o fare niente. Sarà l'autista a
chiamare la polizia e a far arrestare i due maschi violenti.
Patrizia, poi, cerca di parlare con quella donna, ma quella donna
la guarda semplicemente con odio, ora non vuole più niente da
lei, quasi come se la ferita più grossa non fosse stata
l'aggressione maschile ma l'impotenza femminile. Condivido
appieno, è questa la ferita più grande a cui dobbiamo
rimediare.
Ma vado con ordine.
Patrizia spiega che sa bene che
il motivo della sua paralisi non è stato la paura di essere
aggredita a sua volta, ingigantita dal fatto di essere incinta, la
paralisi risiedeva nella fascinazione.
Osservare quell'episodio
non le ha procurato la rabbia necessaria per reagire ma qualcos'altro
che l'ha paralizzata. E che ora la fa sentire in colpa.
Li per lì
ho pensato, e detto, che la fascinazione, forse l'identificazione
con l'aggressore, fosse quella del servo/schiavo che non trova
altra soluzione che ammirare e imitare il potente. E qui c'è gran
parte della storia di questa umanità gregaria che siamo, c'è
il branco e c'è il capobranco che ci possiede, da sempre. Però
prima ancora ho pensato ad un altro meccanismo, molto femminile,
di traslazione che ben conosco. Prendere su di se i peccati del
mondo, e punirli punendo se stesse. E così in qualche modo
giustizia è fatta.
Oggi invece so di che si tratta. La paralisi, come dice Muraro, è nel constatare il “piacere senza confronti della sopraffazione che riduce l'altro a sentirsi nessuno” e questo fa parte del piacere sessuale.
Patrizia si è paralizzata da sola, secondo me, di fronte a questo evento di pornografia maschile.
Ha visto la radice del godimento degli aggressori e quel godimento l'ha pietrificata.
Perchè? È un desiderio che
riconosce anche come suo? È il proprio desiderio che l'ha
spaventata? Oppure che cosa? Qual'è il suo desiderio?
Da qui
non mi è possibile andare avanti da sola nell'articolare
questo pensiero. Mi fermo su questo spiraglio, ne devo parlare con
altre, anche con altri spero.
Un passo indietro.
“Dio è violent” sintetizza in modo immediato e fluido almeno vent'anni di riflessioni collettive cui ho partecipato, attivamente o meno.
E non ci torno sopra, l'ho do per dato. Non ho voglia ora di continuare a parlare di non violenza di pacifismo di buoni e cattivi di infiltrati di potere di 15 ottobre di genova 2001 di napoli prima di genova di palestina di bosnia di stupri etnici di guatemala di darfur....e delle donne di conforto. Mi straziano la carne ogni volta che ci penso.
Il plus, che mi piace di Muraro, è che dice che la rivolta, violenta quanto basta se pensiamo che occorre, è nostra, di noi donne. Siamo noi il motore di questo cambiamento, nel bene e nel male.
E lo sappiamo già che è così perchè non c'è battaglia sul territorio che non parta da noi, e non devo fare l'elenco.... Solo che a un certo punto ci paralizziamo, sempre, qualcosa ci soppraffà e le cose prendono una direzione diversa oppure muoiono lì.
Ecco, so che non dovrei farlo, me ne
scuso, ma non posso non
collegare, con un salto, la paralisi di
una donna, Patrizia, con la paralisi collettiva che ho visto e
vissuto più volte.
Penso che dobbiamo assumerci il rischio del godimento stavolta, capire dov'è il nostro e affermarlo.
Subiamo
la sopraffazione perchè abbiamo paura di guardare in faccia
il nostro desiderio, la nostra visione del vivere sociale. Non
sto parlando semplicemente di desiderio sessuale, che tutto è
tranne semplice, anche, forse, ma non solo. Sto parlando di
politica. Sappiamo perdere bene, maestre nell'autodistruzione. Ma
non basta saper perdere per poter giocare, bisogna provare piacere
nel vincere, e dobbiamo capire perchè ce lo neghiamo, perchè non
ci riconosciamo il
diritto a questo piacere. E poi dobbiamo
mettere a punto gli obiettivi, che non possono sempre e solo
essere roba di risulta, negazione di desiderio altrui che ci
riduce a strumento.
Non credo che per non diventare strumento
l'unico modo sia
strumentalizzare a nostra volta. Questo è
pensiero maschile. Possiamo fare e pensare altro. E' per non usare
le persone come strumenti che ci paralizziamo? Non lo so.
Ma se
non ci diciamo dove vogliamo arrivare dove andiamo? Le
baccanti ebbre, che vagano senza meta, hanno già dato, e io con
loro. Dobbiamo andare oltre il ribellismo e la negazione.
Dobbiamo
capire e dirci qual'è la posta in gioco che vogliamo vincere, poi
non ce la teniamo nascosta, la condividiamo sicuramente.
Ho fatto un elenco di doveri, e non dovevo, ma non è un problema di doveri nei confronti di qualcuno, che basta anche questo, si tratta di necessità di vita, per uscire dalla campana di vetro e smetterla di sbattere sulle pareti come fanno le mosche. E le donne, spesso.
Si tratta di un desiderio che è prima di ogni bisogno.
E si tratta anche molto semplicemente di recuperare la nostra forza collettiva cosa che ci è utile indipendentemente dall'uso che vogliamo farne .