Ed intanto decine di associazioni si danno appuntanento il 1 novembre sotto il Palazzo della Prefettura.

Belluno - 42 dinieghi della protezione internazionale

23 / 10 / 2014

Belluno e la sua Provincia sono da sempre un territorio che ha un rapporto particolare con le migrazioni. La sua storia è stata, come del resto altrove, la storia di valigie di cartone, di lunghi viaggi alla ricerca di un lavoro altrove. Ma il fascino e l’amore per le punte aguzze delle Dolomiti ha fatto anche sì che quel territorio fosse, nel corso della storia anche un luogo difficile da lasciare. Un luogo da difendere, non solo per la bellezza naturale di quegli imponenti costoni rocciosi, ma anche dal nazismo e dal fascismo durante la Resistenza, o oggi, quando i beni comuni e le risorse naturali sono oggetto di processi di sfruttamento ed espropriazione senza precedenti. Eppure a Belluno, fino a poco tempo fa, il "fenomeno" delle migrazioni, della presenza di cittadino provenienti da Paesi non comunitari, è sempre stato circoscritto e limitato.
E’ ora, di fronte all’esplosione dei conflitti che "circondano" l’Europa, e la conseguente fuga di migliaia di persone, che Belluno conosce fino in fondo le migrazioni moderne, o meglio, il loro carico di contraddizioni e speculazioni.

Già negli scorsi mesi la redazione di Belluno+ aveva denunciato le condizioni di accoglienza a cui i migranti erano costretti (Facciamo chiarezza e E’ ora di cambiare marcia). oggi, a distanza di tempo, i migranti che hanno attraversato le strutture bellunesi sono stati circa 300 e 165 di loro sono ancora presenti sul territorio. Una presenza a volte gestita positivamente, altre invece oggetto di speculazioni che relegano i migranti in condizioni di vita al limite della dignità.

Il problema principale rimane quello dell’inserimento lavorativo, di attività che, in prospettiva, possano andare oltre al volontariato. Questa situazione fa i conti con tre principali problemi. Il prime evidentemente legato ad un sistema, quello dell’accoglienza Mare Nostrum, legato ad una concezione "emergenziale". Uno stato di eccezione che ormai diventa regola strutturale nell’affrontare questi fenomeni. Così, ancora una volta, il sistema predisposto prevede un abbattimento sostanziale dgli standard minimi previsti dal circuito "ufficiale" dell’accoglienza messo in campo dal Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati (SPAR), a sua volta investito da un processo di allargamento dove non sempre la qualità dei progetti risponde agli standard di qualità raggiunti negli anni scorsi dal sistema. 

Il secondo, neanche a dirlo, è la campagna d’odio che anche nel bellunese, come in molte altre città, sta cercando di farsi spazio, usando la crisi per scatenare i risentimenti verso i migranti, colpevoli di sottrarre risorse ed attenzione alle comunità autoctone. Il terzo, non di poco conto, è evidentemente la condizione di "limbo" a cui i migranti stessi sono relegati. La loro domanda di protezione è infatti sottoposta ad una lunga procedura che vaglierà le condizioni previste dalla legge per la concessione dello status di rifugiato o di altre forme di protezione, in un quadro normativo ormai palesemente inadeguato di fronte alla situazione di conflitti (di diverso tipo) che caratterizzano il Nord Africa e l’est ed il Sud Est europeo. I lungi tempi di attesa ed il rischio di veder rigettata la domanda, producono una situazione di sospensione, di attesa, che certamente complica ogni tentativo di inserimento.

Come se non bastasse, è arrivata nei giorni scorsi dalla Prefettura di Belluno la notizia di 42 dinieghi della domanda d’asilo pronti ad essere notificati ai richiedenti. Spesso infatti le Commissioni, come dimostrano gli innumerevoli ricorsi vinti in materia, esaminano la domanda solo sulla base delle prove presentate dai richiedenti, senza condurre indagini e verificare la veridicità delle storie, consegnando (illegittimamente) l’onere della prova a persone fuggite da violenze e conflitti che difficilmente possono documentare (se non portandone i segni) le persecuzioni, le violenze, i trattamenti inumani e degradanti subiti, o il rischio di poterli subire.

Dall’altro lato, molto spesso, si tratta di migranti che provendono da zone non colpite da guerre "riconosciute" e "dichiarate" oppure che si trovavano in paesi diversi da quello di nascita e che lì hanno rischiato di subire violenze, senza poter tornare in patria (come accade quotidianamenti in Libia)

Sabato 1 novembre, intanto, una coalizione composta da diverse realtà del territorio, si è data appuntamento sotto il Palazzo della Prefettura per aprire un dibattito pubblico sulla questione dell’accoglienza e dei diritti. Un appuntamento che parla immediatamente della possibilità di guardare alla presenza dei migranti come occasione di costruire territori ricchi e democratici.

Tratto da MeltingPot.org