Quando fuggi dalla guerra, dalla fame, dalla periferia del neoliberismo,
dal degrado dell’imperialismo, dalla morte, per raggiungere, altrove,
la speranza di una vita, diversa e forse migliore, indietro non si
torna.
Eppure la pratica illegale dei respingimenti ormai è diventata usuale
nei porti del Mediterraneo.
Quotidianamente c’è qualcuno che si
arroga il diritto di rimandare indietro persone, richiedenti asilo o
meno, di decidere che la terra e il mare hanno un confine fatto di
privilegi odiosi che alcuni non possono varcare, che la diversità
determinata dalla nascita debba essere un discrimine da portarsi dietro
fino alla tomba. E molto spesso, grazie a questi respingimenti, diventa
il Mediterraneo quella tomba.
Questo accade nei porti dell’Adriatico, a Venezia, ad Ancona, a Bari, a
Brindisi. Mentre anni fa si redigevano anche insopportabili statistiche,
sostenute dalla compiacente indifferenza dell’opinione pubblica, oggi
si preferisce tenere tutto nell’ombra, agire nella notte dell’illegalità
e del non rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo. L’indifferenza
politica e mediatica di quanto avviene presso i porti pugliesi si rende
complice del clima xenofobo e razzista italiano legittimato dalle
politiche securitarie, di recente degenerate nel pacchetto sicurezza con
l’introduzione del reato di clandestinità. Un reato funzionale solo
alle politiche neoliberiste del governo italiano, che va ad alimentare
l’economia sommersa del lavoro nero laddove i migranti diventano
lavoratori ricattabili e spesso ridotti in schiavitù, come per i
lavoratori di Rosarno.
La Grecia, il cui collasso economico ha dimostrato la totale
infondatezza delle politiche neoliberiste, è un paese che di fatto non
accetta richiedenti asilo nel suo territorio (solo lo 0,29% delle
domande di diritto d’asilo viene accettato).
Da questo paese, ove i
rifugiati sono rimandati sistematicamente in mare, nasce parte del
flusso migratorio che riguarda i nostri porti dell’Adriatico. Altri
partono dalla Libia, dal Medio Oriente, e più in generale dalle altre
realtà devastate della contemporaneità, come in questi giorni è stato
svelato dal sequestro e dall’omicidio premeditato degli attivisti della
Freedom Flottilla e dalle politiche di genocidio di Israele sul popolo
palestinese.
Ma tornare in mare significa morire, tornare nei lager del deserto
maghrebino, o morire di fame e di stenti per ritrovare casa, tornare
alla guerra o ad un territorio devastato. E allora qualcuno deve
prendersi la responsabilità di questi omicidi, qualcuno deve renderli
pubblici e non sfuggire al giudizio di una comunità che a sua volta,
spesso, preferisce non sapere. Perchè l’indifferenza oggi è compartecipe
di quel progetto di odio e discriminazione che alimenta la guerra tra
poveri, unica prospettiva alla quale hanno deciso di destinare le nostre
vite.
Venezia, Ancona, Bari, Brindisi. Quattro porti per
creare una rete di coscienza e solidarietà e scardinare il silenzio che
nasconde la tragica realtà dei respingimenti.
E per
diffondere la cultura e l’importanza della vera accoglienza a tutte
quelle realtà in giro per il mondo che ancora credono di avere qualcosa
da difendere e da conservare all’interno del proprio recinto di miserie.
La campagna “Welcome, indietro non si torna” rappresenta un momento di
reale presa di coscienza e di riflessione su ciò che sta accadendo oggi
nel mondo.
La Puglia, la regione del “laboratorio della nuova politica”, si trova a
vivere oggi il contrasto evidente tra la retorica dell’attuale classe
dirigente e le pratiche, reali, che non si discostano minimamente da
quelle perpetrate nel resto d’Italia e d’Occidente.
Una narrazione fatta di parole come accoglienza e cultura delle
diversità, funzionale solo a nascondere il dramma dei respingimenti nei
nostri porti e nelle periferie delle nostre città, delle guerre e
dell’esproprio della terra dove i migranti trovano nell’emarginazione
l’unica prospettiva per resistere in un territorio sostanzialmente
ostile.
Una storia, quella della “Puglia Migliore”, alla quale è difficile
continuare a credere dopo aver visitato i Cie presenti nella nostra
regione, dopo avere ascoltato l’assordante silenzio della Giunta
regionale in merito ai fatti della Freedom Flottilla, dopo aver
assistito alla vicenda dei rifugiati politici costretti a occupare il
Ferrhotel, prima, ed il Socrate, poi, perchè non esistono politiche
sociali, progetti per l’inclusione e l’accoglienza dei migranti. Una
storia, quella della “Puglia Migliore”, smentita nei fatti dalle
occupazioni degli ultimi mesi e dalle risposte repressive delle
istituzioni locali, come da ultimo al Mercato occupato di Poggiofranco.
La totale mancanza di politiche migratorie e sociali, infatti, si
manifesta anche sui rifugiati già presenti in Italia ed in Puglia: ad
essi non è garantita alcuna forma di sincera accoglienza - in violazione
del diritto ad un alloggio adeguato, garantito invece in tutto il resto
d’Europa e dai trattati internazionali sui diritti umani, inclusa la
dichiarazione Universale dei Diritti Umani, poiché l’abitazione è
condizione essenziale per garantire una vita dignitosa delle persone.
Invece la Giunta Vendola finanzia atti di sgombero dei rifugiati presenti sul proprio territorio. E’ di questi, infatti, giorni la delibera n. 340 del Comune di Bari (avallata e finanziata anche dall’assessorato alle politiche dell’immigrazione della Regione) che vuole un dormitorio e un centro polifunzionale diurno nella struttura occupata da ottobre 2009 dalla comunità dei rifugiati somali, il Ferrhotel. Un’operazione di sgombero che vorrebbe finanziare con oltre 2 milioni di Euro associazioni del terzo settore ed imprese alimentando un business umanitario che si gioca sulla pelle dei migranti. Una gestione dell’umano che nulla ha a che vedere con l’accoglienza, con il diritto all’abitazione e il rispetto della dignità umana. La comunità somala ha agito il diritto di vivere dignitosamente occupando il Ferrhotel, autogestendolo nel centro della città ma, fino ad oggi, né Comune né Regione hanno dato loro le garanzie per un’abitazione dignitosa con luce e acqua e si preparano a sgomberarla. Il caso del Ferrhotel smaschera, così, anche le false politiche di inclusione sociale e di integrazione fatte di proposte di dormitori e di alberghi diffusi che escludono da qualsiasi socialità e dignità personale gli “ospiti” che contemplano: cittadini stranieri, lavoratori e non, rifugiati, senza fissa dimora, studenti e quant’altro.
Il 20 giugno 2010, in occasione della giornata internazionale del rifugiato, al porto di Bari manifestiamo per:
pretendere il blocco dei respingimenti dei migranti praticati nei porti nell’Adriatico e in tutto il Mediterraneo, per il riconoscimento del diritto d’asilo e dei diritti umani di persone che fuggono da guerre e dittature;
chiedere il blocco di qualsiasi rapporto commerciale intrattenuto dalla regione Puglia con Israele al fine di non alimentare guerre dettate da interessi economici e di potere;
rivendicare il diritto all’abitazione ed alla seconda accoglienza dei rifugiati politici presenti sul nostro territorio;
pretendere l’immediato ritiro della delibera di sgombero (n. 340) dei rifugiati somali del Ferrhotel a sostegno di politiche di autogestione volte al riconoscimento della dignità personale dei migranti;
sostenere le occupazioni ed i progetti di autogestione a Bari, dal Ferrhotel al Socrate sino al Mercato Occupato.
Promuovono:
Rete Antirazzista di Bari
Ferrhotel Occupato
Mercato Occupato