AULSS6 is down! Il crash della sanità veneta

Quanto accaduto in questi giorni alla AULSS6 di Padova svela l’inadeguatezza del sistema sanitario, la mancanza di investimenti strutturali e una gestione della crisi pandemica che non ha mai considerato realmente la salute un bene comune.

10 / 12 / 2021

Notizia di questi giorni è l’attacco hacker ai server dell’AULSS6 di Padova, che ha portato indietro le lancette all’era analogica: dal 3 Dicembre non si riesce ad accedere alle cartelle personali dei pazienti, è saltato il sistema di tracciamento, per giorni il sistema di prenotazioni tamponi è stato inaccessibile. I tecnici avvertono che per ripristinare i servizi sarà necessario almeno un mese.

Gli indicatori che abbiamo imparato a conoscere sul monitoraggio dei contagi sembrano tornati ai livelli del gennaio scorso: l’8 dicembre si contavano 8000 contagi nella provincia di Padova, con 772 ospedalizzazioni covid positivi e 133 in Terapia intensiva; 40000 i contagiati in Veneto.

Nel frattempo, ai punti tamponi si verificano scene di comprensibile nervosismo e impazienza per le code chilometriche e le attese infinite: centinaia di persone ogni giorno all’esterno del reparto di malattie Infettive. Prenotare un molecolare è impossibile: le prenotazioni online danno date oltre Natale. I giornali locali ci raccontano quotidianamente di liti tra pazienti e personale sanitario, che è allo stremo e per il quale il richiamo etico all’eroicità non è ormai più sufficiente. L’azienda ospedaliera di Padova, entità autonoma legata all’università, sta supplendo con la propria strumentazione le incapacità dell’AULSS6, dato che la prima riesce a processare i tamponi in 36 ore mentre la seconda impiega in media 5 giorni. La situazione è tale che per supplire alle carenze di personale al punto vaccinale della Fiera, per alcuni giorni il punto tamponi del Sant’Antonio è rimasto chiuso.
A completare il quadro, i punti per il prelievo del sangue il 10 Dicembre risultano chiusi.

Le contromisure del governo regionale sono le stesse dell’anno scorso: vengono riaperti i Covid Hospital di Schiavonia (PD), Santorso (VI), San Camillo (TV).

Nell’ospedale di Schiavonia, in particolare, il combinato disposto di decisioni calate dall’alto e delle conseguenze dell’attacco informatico sta generando disagi e problemi non di poco conto. Le strutture della radiologia, a causa della  limitatezza della memoria intrinseca delle macchine (si appoggiano infatti sulla rete interna per lo stoccaggio delle immagini) riescono a effettuare le indagini solamente al 30% dei pazienti, privilegiando solo gli accessi urgenti. Le cartelle non sono disponibili, il pronto soccorso è stato trasformato in primo intervento per pazienti covid.

Chi è colpito da ictus e infarto, o è in stato di trauma, verrà dirottato in altre strutture. Si giura non vi sarà un peggioramento della qualità assistenziale. Permettiamo di dubitarne, essendo tutte patologie in cui il passare del tempo significa peggioramento della prognosi e della qualità di vita.

Questa è quanto, in particolare in provincia di Padova. Ma com’è possibile che la situazione sembri la stessa di un anno fa? Perché ci troviamo esattamente nella stessa situazione, con uno strumento in più - il vaccino - che è estremamente importante, ma è solo uno dei mezzi per contrastare la diffusione del virus. Il 12 ottobre Zaia dichiarava che la capacità di processare i tamponi era 100000/giorno: la stessa che viene dichiarata oggi, e la stessa che dichiarava la regione in estate. Com’è possibile che in questi mesi non sia stato investito un euro nell’aumento del tracciamento da tamponi, strumento necessario per monitorare le positività? Macchine, strutture, personale: i laboratori sono già da mesi oltre al limite tecnico e umano. Senza contare che un vero controllo con notifica ai possibili contatti di positivi non ha mai davvero funzionato (do you remember Immuni - e la fantomatica app della regione Veneto?).

La regione, sofferente anche per l’esclusione del personale no vax, sta provando a reclutare anche operatori dall’est Europa. Ma di chi è la responsabilità decennale della programmazione nelle lauree sanitarie negli anni scorsi, quando tutti i movimenti universitari mettevano in guardia dalla crisi di personale che si sarebbe creata (questo senza la pandemia!)?

La fanfara di questi mesi ha sobillato solo la contrapposizione tra no vax e si vax, lasciando indisturbato il manovratore. Così, nessuno si è accorto della totale mancanza di investimenti, a livello regionale quanto nazionale. Parafrasando una famosa metafora - fa più rumore l’albero che cade che la foresta che brucia - possiamo affermare che fa più rumore il no vax fotografato senza mascherina che la mancanza assoluta di investimenti in capacità tamponatoria, assunzioni, aumento di numero e personale dei servizi di continuità territoriale.

Domenico Crisarà, medico rappresentante dei medici di famiglia di Padova, ha dichiarato che il servizio è totalmente al collasso: senza cure specialistiche, i pazienti si riversano negli ambulatori già intasati per il crash informatico. I medici di famiglia hanno a disposizione solo i tamponi rapidi di prima generazione, quelli che Crisanti aveva studiato dichiarando la totale inaffidabilità. Infatti Crisarà dice di aver chiesto alla regione mesi fa quelli di terza generazione, senza mai avere risposta.

Il territorio della bassa padovana è in subbuglio per la riconversione di Schiavonia in covid hotel: questa è la conseguenza del modello ospedalocentrico, incentrato sulle cattedrali nel deserto e come l’ospedale dell’Angelo di Mestre, l'iper-specializzazione e il costante definanziamento dei servizi a bassa intensità nel territorio, di cui ha beneficiato il privato. Privato che in questa fase si dimostra se non riluttante quanto meno incapace di una qualche funzione ancillare rispetto al servizio pubblico.

Senza mega ospedale, niente prestazioni e anche 44 sindaci e numerosi cittadini della bassa padovana (a cui siamo solidali) si stanno mobilitando preoccupati per lo scadere nella qualità e tempestività delle cure.

La responsabilità da cui non si può sottrarre la regione è anche quella del contagio. Tolta la criminale e storica mancanza di ispettori sul lavoro (siamo la regione con meno ispettori in relazione ai lavoratori - mancanza che forse è correlata col numero più alto di morti sul lavoro) e quindi l’incapacità di controllare il rispetto delle norme anti-contagio, nelle scuole e nel trasporto pubblico regionale non c’è stato nessun intervento. È chiaro che, per esempio, il continuo shift nel numero minimo di contagiati per classe alle scuole secondarie per dichiarare la quarantena - prima uno, poi tre - è solo il tentativo di nascondere l’elefante nella stanza. Che è di nuovo: bassissima capacità tamponatoria, nessuno strumento di tracciamento, nessun aumento delle corse di bus, nessun investimento nell’edilizia scolastica.

È inoltre necessaria e urgente la battaglia per il riconoscimento per tutti dell’indennità di contagio, altrimenti per i lavoratori si presenta il solito odioso ricatto: o salute (e tutela degli altri, in questo caso), o lavoro.

Il quadro completo è tragico, ma è chiaro che c’è un costante tentativo di occultamento del danno che anni (compresi gli ultimi due) di definanziamento costante e razionalità neoliberale (che ha razionalmente appaltato e tagliato all’osso servizi necessari - nelle condizioni della vecchia normalità - a pazienti e cittadini) stanno causando dei danni che è giusto chiamare criminali, dove l’incapacità ormai intollerabile di gestire l’emergenza (che dovremmo smettere di considerare tale, dopo due anni) ha generato e genera ritardi diagnostici e terapeutici per neoplasie, infarti, ictus e malattie croniche. Così, ci ritroviamo da una parte i (giusti ma ipocriti) proclami a tutelare i più deboli, ma dall’altro un colpevole e inaccettabile immobilismo non del governo regionale. Immobilismo che costa tempo, e vita. Necropolitica at its finest.

Il sistema sanitario regionale sembra al collasso, ma abbiamo imparato dalla crisi ecologica che l’apocalisse è una comoda quanto finta rappresentazione del precipitare degli eventi, se i responsabili non pagano realmente. Il sistema sta già collassando, ma non lo sta facendo in modo “spettacolare”. Ogni giorno qualcosa si inceppa e qualcuno non viene curato e viene rimandato a casa. Citando un famoso film: “fino a qui tutto bene, fino a qui tutto bene…il problema non è la caduta, ma l’atterraggio”. Per evitare l’atterraggio abbiamo solo noi stessi: sono necessarie inchiesta, azione e mobilitazione contro chi considera le nostre vite come una variabile in un bilancio regionale.