Arancino retrò

7 / 11 / 2017

Il voto siciliano, mai come in questo caso, è stato caricato di aspettative e speranze per la vicinanza alle elezioni politiche della primavera 2018. Ad andare al voto non è stata soltanto la Regione più grande d’Italia per dimensioni (oltre 25mila km²) e la quarta più popolosa, con oltre 5 milioni di abitanti, ma una regione spesso considerata “laboratorio politico”: qui i partiti hanno spesso sperimentato strategie e alleanze poi riproposte su scala nazionale.

Più che i partiti, sono stati gli organi di stampa a sovradimensionare la tornata elettorale e, più che parlare di programmi e candidati, si è parlato di Renzi, Berlusconi, Di Maio, Salvini e D’Alema.

Di quel laboratorio politico tanto auspicato si è visto ben poco, è stato più un ritorno al passato che uno sperimentare accordi o alleanze. Sono state le elezioni del «buona la seconda». Infatti,  Musumeci e Cancelleri erano candidati anche alle scorse regionali e Fava era stato sostituito a fine campagna elettorale perché si era accorto di non avere la residenza in Sicilia.

La Sicilia dell'ormai famoso 61 a 0 alle politiche del 2001 ha fatto resuscitare vecchie alleanze. Dopo tre anni di silenzio si sono seduti allo stesso tavolo Berlusconi, la Meloni e Salvini sancendo un segreto «patto dell'arancino» che ancora non è stato totalmente svelato, ma che pare vedrà riproposta a livello nazionale l'unità del centro destra.

È stata la prima volta in cui la lista di Salvini, seppur in apparentamento con Fratelli d'Italia, si è presentata alle elezioni regionali, ed è stata la prima elezione in cui Casa Pound e Forza Nuova non sono scesi in campo con i proprio simboli.

Tutto il centro destra, con malumori dello zoccolo duro siculo-democristiano, ha fatto quadra attorno a Nello Musumeci, fascista convinto e navigato amministratore. Tutti tranne l'ex “delfino” Alfano che ha deciso di appoggiare il centro sinistra. Scelta che gli è costata cara, dato che 14 dei suoi consigliere regionali hanno deciso di appoggiare la candidatura di Musumeci.

Ad un Movimento 5 Stelle convinto di vincere si è contrapposto un PD in disgregazione; partito che dopo l'esperienza catastrofica di Crocetta ha puntato tutto sull'ex rettore dell'Università di Palermo Micari: un personaggio apparentemente “nuovo”, senza tessere di partito o incarichi politici.

La sinistra, per cercare di tornare in consiglio regionale dopo un'assenza di 10 anni, ha scomodato slogan e personaggi che richiamano direttamente quell'antimafia sociale, non più in grado di far presa come alcuni anni fa. Non senza malumori, per l'apparentamento con Bersani e D’Alema, tutti i partiti a sinistra del PD hanno scelto Fava.

I risultati sono stati quelli che analisti politici e addetti ai lavori aspettavano.

La vittoria di Musumeci era nell'aria. Rispetto alle ultime regionali sono stati trecento mila i voti in più raccolti dal leader del centro destra, quelli inerenti il bacino di Miccichè che nel 2012 ha corso da solo. È stata Forza Italia la lista che ha trainato il centro destra alla vittoria: da sola ha preso 60.000 voti in più rispetto al 2012, in cui il PDL era ancora unito. Una vista direttamente legata alla Lega Nord, anche se in apparentamento con FdI, entrerà per la prima volta in parlamento con 3 consiglieri. A conti fatti, il vero zoccolo duro di Musumeci, che piaccia o no, sarà composto da Forza Italia e dalla ormai nota schiera di «impresentabili». Saranno loro a dettare l'agenda politica, sarà Miccichè a reggere le redini del gioco. Ma la presenza di Musumeci ha fatto ritornare in auge ex politici del MSI e di Alleanza Nazionale, che da tempo non si vedevano nei salotti della politica. Siamo lontani dai due milioni di voti che prendeva Cuffaro, perché molti, a detta dell'ex governatore, non hanno accettato lo spostamento dell'asse politico verso destra.

Il M5S ha raddoppiato i voti sia per il candidato presidente che per la lista, ma lo sforzo non è bastato. Molti dei voti di Cancelleri sono arrivati dai disillusi del PD. Sono stati settemila i voti persi dal Partito Democratico, e poteva andare peggio vista l'inconsistente politica di Micari e il mancato appoggio del partito alle sue spalle.

Fava, nonostante sia riuscito a riportare la sinistra dentro il parlamento con soltanto un deputato – lui stesso -  non è andato oltre i risultati di cinque anni fa. Da qui la sinistra vuole ripartire, unita, puntando alle prossime elezioni nazionali. Ma è una sinistra unita tanto composita quanto costruita a tavolino, che va da Bersani, a D’Alema a Fratoianni fino ad arrivare a Ferrero.

Musumeci e Miccichè, che cinque anni fa erano al 41%, hanno raggiunto a queste elezioni il 39,80%, e in parlamento avranno una maggioranza risicata con soltanto 2 deputati in più. Per questo il neo presidente, nel suo primo discorso, ha immediatamente auspicato «una responsabilità politica da parte delle forze di opposizione per far rinascere, tutti insieme, la Sicilia».

Le elezioni in Sicilia sono una formalità. Tutti sanno bene chi tiene le redini dell'isola e non sono quei mafiosi delle fiction con coppola e lupara, ma gli uomini dai colletti bianchi, quelli dei consigli d'amministrazione delle grosse aziende, gli imprenditori che costruiscono centri commerciali e chi in generale ha interessi economici nella regione. Sono quelli dalle fedine penali pulite che hanno, facendo i loro interessi, reso ostaggio la Sicilia di una speculazione sul debito pubblico.

Per il M5S è stata «la vittoria degli impresentabili»: un bacino di voti che si avvicina ai 140.000.

C'è però un dato che ci deve far riflettere ed è quello dell'astensionismo. Il 53,24% dei siciliani ha scelto di non recarsi alle urne. Il partito dell'astensione non è sintomatico di pigrizia o svogliatezza, ma è l'espressione della disillusione di chi vuole un cambiamento radicale e netto. Un cambiamento che spesso viene esplicitato nelle lotte portate avanti da chi quotidianamente difende il proprio diritto alla casa, alla salute, ad una vita degna, ma che a volte si adagia sul «vivo alla giornata...tanto non cambierà mai niente».

Queste elezioni, probabilmente, hanno lanciato un segnale: la mafia ha dimostrato sul campo di saper ancora controllare enormi pacchetti di voti, anche in condizioni di generale disaffezione alla politica, specialmente nei quartieri popolari e in quelle fasce che sfiorano la povertà.

La Sicilia dei prossimi cinque anni non sarà molto dissimile da quella che è stata fino ad oggi. Chi ha controllato sino ad ora appalti e accesso al credito continuerà a farlo. Sarà però una Sicilia polarizzata a destra e non, come storicamente accaduto, al centro. Tutti quei finanziamenti che verranno appaltati alla politica saranno intercettati da aziende, associazioni culturali che appartengono a quell'area di destra o estrema destra che ha deciso di non scendere in campo direttamente.

In Sicilia si scelgono i viceré della politica e dell'imprenditoria. Si spera che tutto cambi, ma in fondo si spera che tutto rimanga com'è. Sarà un pensiero troppo gattopardiano, ma è emblematico dello spirito siciliano. I cambiamenti avvenuti nell'isola nel corso della storia hanno adattato il popolo siciliano sempre a nuovi invasori.

L'invasore oggi, anche in Sicilia, è il capitalismo che si presenta in varie forme e che scende a patti con quei poteri forti che da anni amministrano questa bella e dannata terra.

Si dovranno unire le lotte e tornare a lavorare in maniera capillare nei quartieri per poter liberare la Sicilia da quel modus vivendi gattopardiano.