Altro che "green new deal": Taranto ancora non respira…

Un reddito universale è l’unica soluzione alla contraddizione tra salute e lavoro, a Taranto come altrove

21 / 7 / 2020

Ormai son passati mesi dall’uscita dal lockdown e, a mente fredda, si può dire che il Covid-19 ha enfatizzato e aumentato la portata di problematiche già presenti, come la “questione ambientale” o le falle del sistema sanitario. In particolare, la pandemia ha fatto sì che il mondo intero vivesse l’apparentemente irrisolvibile dicotomia salute-lavoro, che la città di Taranto vive dal 1964, anno in cui l’Ex Ilva iniziò la sua attività.

Ribattezzata “il mostro di Taranto”, la fabbrica si erge nel quartiere dei Tamburie, trattandosi di fabbrica che produce “vapori, gas ed altre esalazioni insalubri o che possono riuscire in altro modo pericolose alla salute degli abitanti”, doveva “essere isolata nelle campagne e tenuta lontana dalle abitazioni” (Regio decreto 27/7/1934 testo unico delle leggi sanitarie che fa rientrare il siderurgico fra le industrie insalubri di prima classe). Pertanto, la stessa collocazione dell’ILVA a ridosso dell’abitato ne ha fatto, sin dagli albori, un impianto che esponeva a rischio la salute dei cittadini.

Nonostante ciò, l’attività del siderurgico è potuta continuare fino ad oggi senza un giorno di interruzione, nonostante le innumerevoli dimostrazioni del danno alla popolazione e all’ambiente.

Ciò è avvenuto grazie alla volontà politica dei governi Berlusconi, Monti, Letta, Renzi, Gentiloni che si è espressa nei famosi decreti ribattezzati  “decreti Salva ILVA”, in quanto volti al proseguimento dell’attività produttiva senza interrompere per un solo giorno l’immissione di sostanze tossiche e cancerogene.

Non è un caso che si sia riscontrato fra i bambini un eccesso di rischio di incidenza di patologie tumorali, un aumento di iperattività e tratti psicopatologici (come ansia o depressione), riduzione dell’attenzione e alterazione del comportamento sociale, rilevati nelle aree di Tamburi, Paolo VI, Statte rispetto alle aree a maggiore distanza dalle sorgenti di emissione calcolate rispetto agli impianti ILVA.

E no, la colpa non è dello stato socio-economico relativamente medio-basso di questi quartieri, come spesso si vuole far credere, ma delle sostanze neurotossiche provenienti dallo stabilimento, dal piombo riscontrato nel sangue di questi bambini, della diossina nel latte materno.

La città non può più farsi abbagliare da un fantomatico impegno economico promesso dalle istituzioni europee, dallo stato italiano o dai vari privati. La soluzione non è di certo nemmeno il Green New Deal, non sono i 4 miliardi che dovrebbero essere destinati a Taranto per la riconversione ad idrogeno degli impianti alimentati a carbone. Non c’è cifra che restituisca la vita a chi l’ha persa, non c’è cifra che possa rendere “green” un impianto che non ne ha le caratteristiche per definizione.

Sull’altro piatto della bilancia, però, ci sono 14.000 lavoratori che vorrebbero salvaguardare il loro posto di lavoro e, nonostante ciò, una possibile soluzione l'hanno suggerita proprio alcuni di loro in un volantino anonimo circolato fra le chat whatsapp degli operai dello stabilimento: "Se non serviamo più a produrre acciaio, ci devono mantenere, con un salario pieno, al cento per cento, a non fare niente. Decidano loro, ArcelorMittal e il governo; o tutti al lavoro o tutti a casa a stipendio pieno, non ci faremo ancora dividere tra chi va in cassa integrazione a 900 euro al mese e chi deve proseguire a lavorare in una fabbrica avvelenata. Non ci vergogneremo di stare a casa pagati, abbiamo già dato in fatica e salute sull'altoforno e in acciaieria, ora è tempo di curarci, respirare aria buona, studiare per istruirci, scrivere poesie".

In queste poche righe c’è una testimonianza chiara del fatto che un reddito universale di base sia l’unica risposta risposta emancipatoria e radicale ai molteplici ricatti che da anni oppongono salute ed ecologia al possedimento dei mezzi necessari per una vita degna.

In un momento come questo, in cui l’atto respiratorio è diventato fondamentale, iconizzato dall’ultima frase di George Floyd, “I can’t breathe” detto mentre  l'agente di polizia Derek Chauvin lo immobilizza tenendogli un ginocchio sul collo, è ora di urlare che nessuno di noi può più respirare e che anche Taranto non respira, non lo fa piu’ da anni, soffocata dagli interessi dello stato, vittima dei giochi di potere di chi volge lo sguardo solo al profitto.

Adesso è il momento di agire, di chiudere questa fabbrica di morte, di rendere il territorio di nuovo fertile, verde davvero, senza rivestirlo dei prodotti di un capitalismo che vuol vestirsi “green”. Adesso è il momento di rivendicare un reddito universale, necessario all'indipendenza dei corpi di ognuno e ognuna di noi.