Altri-mondi dopo la fine-del-mondo

19 / 3 / 2020

Credere nel mondo è ciò che più ci manca: abbiamo completamente smarrito il mondo, ne siamo stati spossessati. Credere nel mondo vuole anche dire suscitare eventi, per piccoli che siano, che sfuggono al controllo, oppure dare vita a nuovi spazi-tempo, anche di superficie e volume ridotti. […] La capacità di resistenza o, al contrario, la sottomissione a un controllo si giudicano a livello di ciascun tentativo -Deleuze

La pervasività dell’epidemia di Covid-19, che in maniera diversa ma profonda ha cambiato e continua a cambiare le vite di tutte e tutti noi, sta facendo emergere una serie di tematiche e riflessioni. Il Coronavirus da problema sanitario si è trasformato in fatto sociale totale che modifica l’ordine dalle azioni, delle norme e del sentire comune. Di che strumenti e chiavi di lettura ci dotiamo per interpretare la percezione collettiva di crisi e ‘’’fine della normalità’’ del nostro vivere quotidiano? Non è forse il concetto stesso di normalità che va messo in discussione? Abbiamo per questo sentito l’esigenza di analizzare e approfondire le contraddizioni del nostro agire-nel-mondo, la cui materialità è esplosa nel discorso pubblico sulla scia della rapida propagazione del virus.

Crediamo sia fondamentale riconoscere, dare voce e visibilità a tutte quelle persone sulle quali la crisi avrà gli effetti maggiori e che non vengono considerate nella narrazione dominante né dal punto di vista dei diritti né da quello delle tutele.

Pensiamo a tutte quelle donne che vivono situazioni di violenza domestica e che dovranno restare dentro a quelle mura che per tutto l'anno sono state testimoni degli abusi, degli insulti e delle botte, ulteriormente caricate dal lavoro di cura.

Oppure a tutte le detenute e i detenuti ammassati dentro alle carceri, senza un minimo di tutela sanitaria, senza poter avere contatti con i propri cari.

Pensiamo a chi una casa non ce l'ha mai, a chi vive per strada nella più totale indifferenza dello Stato e che oggi, come tutti i giorni, si vede negare i diritti basilari. A chi, nonostante l’emergenza, è sotto minaccia di sfratto, con la prospettiva di non avere più un tetto sopra la testa.

A chi lavora nella sanità facendo doppi turni non retribuiti, senza sufficiente strumentazione. Quella sanità che negli ultimi 10 anni è stata colpita dalle politiche di austerità, con un taglio di finanziamenti pubblici per più di 30 miliardi di euro, con la perdita di 46mila unità di personale e 70mila posti letto.

Pensiamo anche a chi a casa non ci può restare perché altrimenti non percepirebbe un reddito per poter vivere, mangiare, pagare l'affitto/mutuo. Agli operai ed alle operaie in lotta nelle fabbriche nelle quali non vengono garantite le misure di sicurezza adeguate, in nome del profitto e dell’unità nazionale. Ai/alle riders che rivendicano il diritto alla continuità di reddito per poter #restareacasa.

Anche a chi ora sta fuggendo da guerre, cambiamenti climatici, carestie e si ritrova più che mai le porte delle "democrazie occidentali" sbarrate. I siriani a Lesvos vivono in condizioni disumane, tra Coronavirus e fame, vivono alla giornata senza sapere quale sarà la loro sorte.

È necessario includere nei nostri ragionamenti anche chi non vive nelle grandi città. Le persone che lavorano ed abitano nel mondo rurale e nelle aree interne, zone spesso sprovviste di presidi medico-sanitari e con peculiarità e vulnerabilità differenti.

È prioritario trovare le forme per dar voce a queste storie nella Storia, consapevoli del fatto che non si esauriscano nelle categorie che abbiamo citato, e che si moltiplichino in infinite combinazioni da trasformare in altrettante rivendicazioni e forme inedite di lotta. Creare narrazioni comuni per raccontarci ed immaginarci insieme nel mondo che verrà, che ora più che mai dovrà tenere conto dei tanti mondi che ne fanno parte. “El mundo que queremos es uno donde quepan muchos mundos”.

Al di là delle analisi sullo smantellamento del Welfare-State, pensiamo sia necessario decostruire la nostra stessa idea di “mondo”, concetto statico, totalizzante e universale della cosmogonia occidentale. Il mondo non è uno solo: è un flusso dinamico di sistemi interdipendenti e permeabili in continua evoluzione. È il nostro immaginario di mondo che si sta mettendo in discussione, in una costante tensione tra una fine-del-mondo che non arriva e le crisi/guerre permanenti. Parliamo di crisi multiple e intrecciate, che sono scaturite tutte dallo sfruttamento di risorse e forza lavoro e dalla conseguente accumulazione capitalista. La crisi ambientale, quella economica e quella sanitaria sono legate a doppio filo, come se fossero sintomi di un sistema malato che colpisce per primi i soggetti più vulnerabili. È ormai nota la relazione tra attività antropica (forse sarebbe il caso di parlare di attività capitalista-estrattivista), cambiamenti climatici e nascita e propagazione dei virus (per approfondimenti: qui e qui) come ci dimostra la Storia della “scoperta” del Nuovo Mondo.

L’invasione delle Americhe nel XVI secolo ha portato allo sterminio delle popolazioni native attraverso sì la guerra, ma soprattutto attraverso le malattie che gli europei portavano con sé. Queste popolazioni hanno assistito di fatto alla ‘’fine-del-loro-mondo’’ già secoli fa ed hanno sviluppato strategie di organizzazione e resistenza al modello capitalista. Spesso ne sono uscite sconfitte dalla Storia, ma la loro eco risuona fino a noi. Facciamo riferimento alla comunità zapatista, erede della civiltà Maya, che da sempre ha costruito la propria esistenza in contrapposizione ai paradigmi del mercato, contro la privatizzazione, il patriarcato, il modello dominante di crescita economica. È riuscita così a dotarsi di strumenti comuni efficaci per stare sempre dentro, contro ed oltre quel mostro bicefalo Stato-Mercato che opprime le minoranze del pianeta. Siamo consapevoli del fatto che i contesti storici, economici, culturali sono molto diversi e sarebbe un errore politico cercare di traslare il modello zapatista nella nostra società, ma crediamo che si possa prendere esempio da chi, negli anni, è riuscito a resistere ed esistere nonostante si sia visto ‘’crollare-il-(proprio)-mondo addosso’’ (qui il comunicato del 17/03/2020 della comunità zapatista).

Tessere relazioni e reti basate sulla cura, riscoprire la solidarietà e il valore delle comunità, creare delle forme di inclusione dal basso, avviare processi di presa di coscienza di classe e soggettivazione, potrebbero essere modi per costruire nuovi piccoli mondi interconnessi dentro ed oltre l’emergenza. In questo modo dobbiamo immaginarci progettualità e pratiche riconosciute e condivise anche dopo la fine del virus, che siano capaci di creare forme di contropotere in grado di contrattaccare. Da una parte ci sarà il capitalismo estrattivista che per sopravvivere continuerà ad insinuarsi nelle crisi e nelle emergenze che esso stesso crea per rinascere in forme inedite, rinvigorito dal controllo biopolitico dello Stato-nazione. Quello Stato-nazione al collasso nell’era della globalizzazione e che in nome dell’unità nazionale prova ad affermarsi nuovamente nello scenario globale. Dall’altra ci saranno le classi subalterne, le popolazioni originarie, donne e uomini esclusi ed ai margini della società e dei confini, chi sta pagando e ha sempre pagato a caro prezzo il costo del collasso del sistema che doveva consegnarci la fine-della-storia.

Quando nel passaggio dall’emergenza alla crisi i grandi attori privati trarranno la forza per accelerare i processi di sfruttamento ed estrazione dovremo essere in grado di sfuggire alla trappola mortale dell’incapacità di immaginarsi altri mondi possibili. Per farlo abbiamo bisogno di ritrovare linguaggi e pratiche in grado davvero di includere ed intercettare i desideri, i bisogni, le paure e la creatività dei tanti e delle tante che possono soggettivarsi a partire dai propri-mondi.