Altre forme di vita

Narrazioni, pratiche e prospettive dell’antifascismo contemporaneo

24 / 2 / 2018

L’antifascismo è uno dei fondamenti primari di ogni visione e azione politica di movimento. Sentiamo l’urgenza di interrogarci sulla pratica e sulla narrazione delle iniziative antifasciste, scardinando da un lato il tentativo della comunicazione mainstream e delle letture politico-istituzionali di ricondurre la lotta antifascista alla «guerra tra bande», e dall’altro cercando di evidenziare come le piazze aggreghino componenti sociali eterogenee, forse non ancora pienamente soggettivate, ma che si intersecano in uno spazio discorsivo catalizzato da un’intersezionalità biopolitica.

L’antifascismo “compatibile”

C’è una sorta di topos che accompagna da anni qualsiasi iniziativa di “antifascismo militante” venga compiuta in questo Paese – in piazza o in strada - e abbia un minimo di risalto mediatico. Si tratta di un vizio ancestrale che attanaglia la sinistra “istituzionale” nelle sue varie forme e sfaccettature, inducendola a diventare paladina di un non meglio identificato antifascismo etico, responsabile, non violento. Vanno annoverate senza dubbio in questa categoria le grandi organizzazioni che si sono sfilate dal corteo di Macerata dello scorso 10 febbraio, guadagnandosi la sfiducia dal basso da parte dei propri iscritti. Queste delegano oggi agli apparati istituzionali il contrasto alla pratica neofascista, fino a dichiarare che per fermare i fascisti occorre «la cultura e, quando serve, con la Polizia»[1]. Non c’è posto, in questa visione, per l’autonomia delle realtà sociali, né di pensiero né tantomeno di prassi: lo Stato e i corpi intermedi della società devono plasmare l’opinione che previene il fascismo (attraverso la scuola), mentre l’intervento della Polizia, prettamente repressivo, agisce a posteriori arrestando gli estremisti di destra. La società civile, le forze auto-organizzate che non rientrano nello schema delle istituzioni, devono restare spettatori passivi.

All’indomani dell’azione contro il leader provinciale di Forza Nuova Massimo Ursino, avvenuta a Palermo la sera del 20 febbraio, c’è stato uno stillicidio di “dissociazioni”, che ha contagiato esponenti di spicco di tutte le forze politiche della cosiddetta “sinistra”, ma anche la schiera di opinionisti più o meno noti che ne compongono l’humus culturale. Ed ecco che l’antifascismo diventa «cultura di pace», che «fascista è chi fascista fa», che partono gli appelli a fermare le violenze, a richiamarsi alla Costituzione. Non c’è bisogno di scomodare gli anni Settanta per ricordare che proprio a sinistra che si affermano ciclicamente tendenze volte a ricondurre nel quadro della compatibilità sistemica qualsiasi spinta conflittuale. Nella fase attuale - segnata da un elevato livello di scontro rispetto all’inedita complessità coagulatasi attorno al tema del “fascismo” – è proprio la retorica degli “opposti estremismi” a far parte di questo gioco. Un gioco prontamente colto da Procure e Questure, che incarcerano in tempi record – con la pesantissima accusa di tentato omicidio per una prognosi di soli 5 giorni! - i due attivisti palermitani e, addirittura, a Torino arrestano preventivamente un militante del centro sociale Askatasuna, nel corso di perquisizioni scattate poche ore prima del corteo cittadino contro la presenza di Casa Pound. Per non parlare dei diversi fermi che ci sono stati durante le manifestazioni di piazza dei giorni scorsi.

Certo, la Costituzione italiana proibisce «la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista». Questo lascerebbe pensare a una sorta di veto formale sui fondamenti ideologici e organizzativi del fascismo. Forza Nuova e Casa Pound esistono e sono annoverate tra le forze partitiche che concorrono alle elezioni: come si spiega?

Nei fatti c’è una costituzione materiale che non solamente ha concesso agibilità alle forze neofasciste, ma ne ha spesso consentito ampi spazi di manovra. Questo diventa ancor più destabilizzante nel momento in cui il fascismo politico si interseca con le tante passioni tristi che attraversano la nostra società. Negargli agibilità, attraverso pratiche autorganizzate, assume una centralità strategica che travalica ogni contrapposizione ideologica.

Fascismo e fascismi

L’equidistanza tra fascismo e antifascismo, che rappresenta l’architrave del pensiero centrista in Italia, oggi va oltre la mera convenienza politica e rappresenta la strategia con la quale il “Partito dell’Ordine” (con le sue nuove e vecchie facce) tenta di depoliticizzare un conflitto che attiene alla costruzione di forme di vita tra loro diametralmente opposte. Che questa strategia sia figlia di una tendenza, accentuatasi negli ultimi anni, a musealizzare il fascismo e normalizzare i fascisti, integrandoli nel dibattito pubblico, è palese. Dal discorso di Violante sui «ragazzi di Salò»[2] alla partecipazione di giornalisti come Enrico Mentana e Corrado Formigli a dibattiti tenutisi nella sede romana di Casa Pound, il pieno sdoganamento in Italia della più tetra tra le opzioni politiche reazionarie va di pari passo con la crescita, sul piano europeo, dei movimenti e forze politiche neonazionaliste.

In tutto questo, dobbiamo inoltre considerare la strategia politica delle formazioni di destra e nazional-populiste, come quella adottata dalla Lega dal 2014. La costante minimizzazione della presenza fascista, degli atti di squadrismo e di violenza politica, congiuntamente alla candidatura tra le fila della Lega e Fratelli d’Italia di militanti delle formazioni neofasciste, portano con sé due precise conseguenze. In primo luogo, scongiurano l’affiliazione di pensiero e organica tra il proprio partito e gli eredi del Ventennio. In secondo luogo, vogliono legittimare temi e punti programmatici di chiara derivazione fascista, per spostare sempre più a destra la soglia della tolleranza discorsiva, per estendere le condizioni di possibilità delle formazioni di destra e, dunque, raccogliere più consenso. Un attentato terroristico non si produce senza una cornice di senso che lo renda possibile, perché altrimenti il messaggio prodotto dall’azione non sarebbe compreso da un gruppo di riferimento. E, impossibile negarlo, la tentata strage di Macerata ha parlato non solo ai fascisti militanti, ma soprattutto a chi si richiama a specifiche visioni del mondo razziste e sessiste. Traini spara al primo non-bianco che trova per vendicare la morte di Pamela Mastropietro e lo scempio delle sue spoglie, ritenendo responsabile tutta la categoria dei migranti. Vendicatore machista, giustiziere razzista. Il femminicidio di Pamela si raddoppia nell’interpretazione della legge del taglione attuata dal maschio dominante. L’uomo bianco tenta di uccidere i neri per vendicare la donna bianca indifesa, riscattando così l’onore della categoria del maschio bianco, padrone di casa. Siamo di fronte alla quintessenza del fascismo, inteso come categoria di dominio.

Ci troviamo dunque di fronte alla necessità di ridare una definizione di fascismo adatta alle condizioni socio-politiche attuali. Dal punto di vista storico, il fascismo è stato quel determinato fenomeno totalitario fondato sull’autoritarismo del leader, il nazionalismo e la creazione forzata di una «razza italiana» (maschia e bianca), l’annientamento della dissidenza politica, la rocambolesca “avventura” coloniale e le politiche di guerra. Nessuna emancipazione del proletariato della penisola, anzi: il fascismo è stato il risultato del patto tra il vecchio ceto agrario e industriale e la nuova piccola borghesia impiegatizia, nato proprio per arginare la forza d’urto dei movimenti operai e contadini.

Casa Pound e Forza Nuova si richiamano esplicitamente a questa immagine storica diluendola all’interno della società dell’informazione e del neoliberalismo. Sguazzando consapevolmente nel grande mondo della libertà di parola e del pluralismo costituzionale, i due partiti neo-fascisti si pongono come leciti attori del gioco dello scambio e del confronto politico-istituzionale. Proprio su questo punto il «Partito dell’Ordine», così come quelli di destra, continuano a rappresentare Casa Pound e Forza Nuova come forze in competizione elettorale, non mancando di confrontarsi con loro negli spazi pubblici e dando loro solidarietà quando vengono escluse dalle difese della democrazia. Si aggiungono al seguito dei difensori della libertà di parola vari intellettuali e giornalisti, i quali, con parole miste a ingenuità e ottusità, sostengono che il fascismo vada combattuto con la cultura. Dietro questa affermazione si cela la presunzione occidentale di vivere nel migliore dei mondi possibili: siccome siamo protetti dalla democrazia nel suo stadio più avanzato, nella quale l’uso della parola e il confronto tra differenze è garantito nei confronti di tutti, allora possiamo/dobbiamo permettere che il fascismo trovi legittimità in questa dimensione. Purtroppo per questi grandi teorici, il fascismo, mentre si crogiola della difesa delle leggi democratiche, continua a diffondersi attraverso la violenza e il terrore che infonde nei soggetti non allineati alle sue norme politiche e sociali.

L’autoritarismo fascista, di fatto, è inseparabile dalla violenza squadrista che, nel corso degli ultimi anni, ha macchiato quasi ogni città d’Italia di aggressioni ai danni dei migranti, dei militanti dei movimenti sociali, delle persone omosessuali e transessuali, delle femministe. Se le azioni squadriste in questi anni sono state limitate, nella loro potenzialità omicida e terrorista, è solamente grazie a un’azione costante di «controllo dal basso» dei quartieri e delle strade; un controllo fisico, militante, ma anche capace di ampliare il tessuto relazionale.

Dall’altra parte, riteniamo che il fascismo contemporaneo non si dia soltanto nelle sue manifestazioni organizzate e partitiche, tutto sommato ancora contenute per quanto preoccupanti. I micro-fascismi sono quei comportamenti individuali e collettivi che stanno definendo le forme di vita del nostro Paese e che rendono ancora validi i partiti come Casa Pound e Forza Nuova, nonché la tenuta di un discorso xenofobo che mira a tenere assieme identità etnica e proprietà (di diritti e di privilegi) proposta dalla Lega Nord.

I micro-fascismi sono sempre più alimentati dallo stesso «estremismo di centro» del PD alla ricerca di nuovo consenso, oppure dalle politiche securitarie europee sui confini esterni del Continente. Non importa che il micro-fascismo si mostri con una simbologia apertamente mussoliniana o nazista, non necessariamente i suoi attori appartengono ad un’organizzazione. Risuonano illuminanti le parole di Michel Foucault quando definiva il «fascismo quotidiano» come l’imposizione di identità rigide in base alle quali si crea un individuo da incasellare in ruoli e gerarchie predeterminate. Su questo tipo di fascismo si fonda sia la sua versione “macro”, sia l’attuale sfruttamento capitalistico con i confinamenti e le subalternità che crea – ed entrambi si dotano di un uso della violenza sempre più marcato.

Campi di battaglia

Anche contro questo tipo di fascismo si è pronunciato l’antifascismo delle scorse settimane; un antifascismo di per sé intersezionale che sedimenta nuovi legami sociali, si nutre di spinte di liberazione dal razzismo, dal sessismo e dal securitarismo, parla di emancipazione biopolitica dallo sfruttamento. La composizione che ha attraversato molte delle piazze antifasciste delle ultime settimane, in particolare quella di Macerata, ha assunto dei caratteri intersezionali che hanno riportato la dimensione italiana in quella europea, in cui la pluralità e l’espressione delle differenze scandiscono da tempo quell’agire in comune dei movimenti. Con Macerata i movimenti hanno rotto gli equilibri della campagna elettorale, condizionandone il dibattito e rendendo evidente la fragilità della scena politica nazionale. Nel frattempo, in tante piazze italiane - da Nord a Sud, dalla metropoli alla provincia - si riproducevano iniziative radicali di contestazione ai neofascisti.  Senza avere la velleità di leggere in tutto questo l’apertura di possibili cicli di movimento, pare evidente che una composizione sociale, per lo più precaria e meticcia, inizi a trovare in questo antifascismo intersezionale un terreno di soggettivazione ancora tutto da approfondire e organizzare.

Prospettive che si arricchiscono grazie alle lotte che hanno visto come protagonista la componente migrante negli ultimi mesi, rendendo esplicite le tensioni rivendicative di chi vive nei  centri d’accoglienza. In particolare, la forma dirompente dell’esodo dal campo di Cona[3], nel novembre 2017, ha determinato uno scarto nelle forme di lotta e rivendicazione, fino ad allora comunque contenute e ricondotte dentro i campi stessi. Abbandonare in massa ed in forma auto-organizzata il campo ha mostrato come esista una disponibilità alla lotta, una autonomia di elaborazione rispetto ai claims, una capacità di organizzazione del tutto interna alla componente sociale che chiamiamo migrante. Questi elementi si sono riversati nella manifestazione “Diritti senza Confini”, svoltasi a Roma il 16 dicembre, che ha segnato un passaggio di fase importante nella connessione tra corpi sociali[4].

Se la contrapposizione a fascismo, razzismo e sessismo individua un campo aperto di conflittualità sociale e politica, le sue forme d’espressione sono molteplici e spesso disomogenee tra loro. I trentamila di Macerata sono materialmente cosa ben diversa dai fatti di Palermo. Ma entrambi i piani convergono su un macro-aspetto: la rottura di un antifascismo pacificato e imbalsamato dalla ritualità. Se il portato è questo, siamo ben consci che la visione degli “opposti estremismi”, che in questi giorni ha campeggiato nella vulgata mainstream, muova da una spinta opposta, che tenta di disinnescare le potenzialità sovversive dell’intersezionalità delle lotte. Una visione che, dunque, non va solo decostruita, ma combattuta con forza. Perché, ancora una volta, non si tratta di guerra ideologica o, peggio, di guerra tra bande: stiamo parlando di un possibile conflitto sociale che fa dell’antifascismo il volano della trasformazione del presente, costruendo nuove forme di vita, sia nelle relazioni che nella gestione del potere.

Per questa ragione riteniamo l’assemblea nazionale di movimento lanciata dalle realtà marchigiane dopo la grande mobilitazione del 10 febbraio, e prevista il prossimo 10 marzo ad Ancona, un appuntamento di fondamentale importanza strategica. Questo non solo per connettere, all’interno di uno spazio di discussione articolato ma unitario, tutte gli impulsi delle ultime settimane, ma per provare a veicolarli in una dimensione generalizzata e maggioritaria.


[1] Si veda l’intervista rilasciata da Carla Nespolo, presidente ANPI, a Il Manifesto,  edizione del 23 febbraio 2018

[2] Ci riferiamo al discorso d’insediamento di Luciano Violante come presidente della Camera dei deputati fatto il 10 maggio 1996, all’inizio della XXIII Legislatura. Questo uno stralcio: «Mi chiedo se l'Italia di oggi non debba cominciare a riflettere sui vinti di ieri. Non perché' avessero ragione, o perché' bisogna sposare, per convenienze non ben decifrabili, una sorta di inaccettabile parificazione tra le due parti. Bisogna sforzarsi di capire, senza revisionismi falsificanti, i motivi per i quali migliaia di ragazzi e soprattutto di ragazze, quando tutto era perduto, si schierarono dalla parte di Salò e non dalla parte dei diritti e della libertà»

[3] Nel novembre 2017 quasi trecento persone abbandonano volontariamente l’HUB sito a Cona, marciando per giorni nella bassa pianura veneta. Rimandiamo a: D. Del Bello, Su Cona. La rivolta dei corpi, esodo e dignità, «Globalproject.info», 27 novembre 2017

[4] Rimandiamo a un nostro contributo redazionale all’indomani del corteo del 16 dicembre 2017: Redazione, Appunti a margine di un corteo mai visto prima, «Globalproject.info», 18 dicembre 2017