Affrontare la crisi e il distress ambientale in gruppi di supporto e transizione

Una serie di tre articoli sulle forme di disagio psicologico direttamente legate alla crisi ambientale.

16 / 5 / 2023

Un problema comune tra chi soffre di ecoansia e simili forme di disagio per la situazione ambientale è quello comunicativo, non ci si sente capaci di condividerlo, non si sa con chi e come farlo, spesso con un senso d’impotenza ed esaurimento. Riconnettersi ci aiuta a sciogliere i nodi e ad attivare potenziale creativo e risolutivo.

Nel precedente articolo sul distress ambientale ed i modi per uscirne ho presentato alcune delle forme in cui si manifesta, i consigli dellə ricercatorə al riguardo, gli interventi sistemici necessari, le pratiche democratiche e di movimento. Qui comincio a scendere nel dettaglio dei metodi per affrontare il distress ambientale in gruppi di supporto non-terapeutici. Sono auspicabili la terapia, la mindfulness ed altre esperienze di crescita e centratura individuale, in gruppo però attiviamo processi di feedback e mutuo supporto incomparabili e anch’essi fondamentali, oltre che spesso più accessibili e a volte più efficaci.

Nominare e condividere sono le due azioni di partenza per la rielaborazione della “negatività”, quante volte ce lo siamo ripetuto durante le masterclass di facilitazione con Pino De Sario, psicologo sociale. In un gruppo non giudicante, dove creiamo sicurezza psicologica e calore sociale, troviamo l’ambiente più adatto per rielaborare i traumi ed affrontarli con progettualità. Mi tornano in mente gli incontri online, durante il covid, con le ragazze del gruppo di supporto per la sindrome dell’impostore, molto comune tra le ragazze che studiano all’estero come ho fatto io. Ci davamo dei compitini per casa, mappature mentali per non farci spaventare dalle nuove sfide, per reinventarci e per cognitivizzare emozioni e voci disturbanti.

Gli incontri con lə psicoterapeutə possono dare gli strumenti per il grounding, per la rielaborazione delle emozioni, per analizzarsi, per credere di più in se stessə e per allungare la mano, chiedendo aiuto, o semplicemente parlando. Ma il dialogo rimane a due, o al massimo si allarga a famiglia e amici. Connettersi a chi vive le nostre stesse lotte crea dinamiche plurime di comprensione e superamento degli ostacoli. “Non dimenticare: da solo non sei niente”, canta la musicista ceca Radůza.

Proprio “il lavoro che riconnette” è l’espressione con cui ci si riferisce al ventaglio di strumenti descritti e largamente usati negli anni dall’attivista e orientalista Joanna Macy, insieme a psicologhə variə. “Speranza attiva” è il suo ultimo libro ed il nome che prende oggi il metodo più conosciuto di elaborazione del distress ambientale. Questa elaborazione richiede cambiamento costante e adattamenti della vita quotidiana e lavorativa al sapere ecologico. Insomma, un lavoro del genere farebbe bene un po’ a tuttə, che si sentano a disagio o meno, per costruire percorsi condivisi di transizione. Cittadinə, facilitatorə anche inespertə e psicologhə possono sperimentare con metodi come questo finché il coping non prenderà forme più strutturali.

A sottolineare l’importanza di un’attivizzazione anche fisica, Joanna Macy per trent’anni ha iniziato i suoi workshop con la “danza dell’olmo”, dopo che ne ha scoperto gli effetti commoventi sulle vittime della catastrofe di Černobyl. La Speranza attiva si presenta infatti come una serie di esercizi, a volte più introspettivi, altre più giocosi, per rispondere alle sfide della civiltà globalizzata, reindirizzando le nostre energie all’azione. Si distingue così dalla speranza passiva.

L’idea è quella di muoversi verso la “Grande Svolta” (The Great Turning), un concetto di David Korten che sintetizza efficacemente le tre dimensioni del cambiamento per uscire dal business as usual : 1) azioni d’impedimento, per esempio contro le grandi opere o con i boicottaggi, 2) sistemi ed iter a supporto della vita sulla Terra, come i modelli economici alternativi, per esempio i G.A.S. e le comunità energetiche, o nuovi sistemi per la sanità pubblica, e infine 3) il cambio di coscienza, rafforzando valori e sentimenti per una società più solidale. Una mappatura di tutte le attività che rientrano in queste macroaree è un ottimo modo per capire dove ci stiamo orientando e ci vogliamo orientare come società e collettivi, con magari un’aggiunta di analisi SWOT.

Per aiutare lə singolə a trovare stabilità e costruire una propria strada senza strafare e disperdere le energie Macy propone un percorso a spirale che affonda le radici nel sentimento di gratitudine per ciò che già c’è ed è alla nostra portata, riconoscendo ed apprezzando le nostre risorse. La fase successiva attraversa il dolore, la rabbia, anche risvegliando queste emozioni dal letargo che i meccanismi di difesa dell’ego impongono loro, come quelli di razionalizzazione, bagatellizzazione e proiezione. Anche per questo il metodo Macy si presta bene a lavorare non solo in contesti già relativamente consapevoli e attivi.

La terza fase ci accompagna in un processo di ampliamento della coscienza rispetto al nostro posto nel mondo e nei secoli. Un cambio di prospettiva teso appunto a mappare un po’ la rete di alleati naturali e umani, a comprendere che abbiamo un posto nell’ecologia del pianeta e che in questa rete ci possiamo sentire più sicuri e fiduciosi. Inoltre, questa fase ci aiuta a ridimensionare la “pesantezza” dell’essere umano come specie sulla Terra, guardando all’evoluzione del pianeta in miliardi di anni. Se guardiamo poi al futuro prendendoci un po’ meno sul serio, possiamo ricordare che il presente porta con sé molte possibilità. Immaginiamoci tra 40 anni a minaccia d’estinzione scansata, raccontiamo allə nipotə nostrə o dellə nostrə amichə come abbiamo fatto a scansarla, riattiviamo la fantasia.

L’immaginazione ci è poi ovviamente utile nella fase di progettazione e attivazione, l’ultima, in cui possiamo navigarci con varie domande alla ricerca del nostro ruolo, il nostro concetto di successo, possiamo farci forza ricordando i momenti di cambiamento improvviso nella storia, e infine possiamo programmare i prossimi mesi o anni con esercizi di backcasting o brainstorming progressivo, per definire i passi necessari a raggiungere i cambiamenti che desideriamo.

Altri due metodi si stanno diffondendo come pratiche di mutuo supporto facilitate da espertə e non: il Good Grief Network si è ispirato ai gruppi degli alcolisti anonimi e forma lə partecipantə alla cura del sé in relazione al distress ambientale, le Carbon Conversations hanno un focus pragmatico sulla riduzione della propria impronta di carbonio, offrendo numeri e spunti per un cambio delle abitudini, mediato dalla condivisione delle proprie emozioni e difficoltà durante questo procedimento. Come in tantə ci siamo sicuramente accortə e come ci insegnano anche gli studi d’ecopsicologia, l’accesso alle informazioni e l’intenzione di cambiare non bastano a modificare il proprio comportamento. Farlo insieme è più facile e ci ricorda che la responsabilità non è solo individuale. Nel prossimo articolo: GGN, CC e basi di ecopsicologia.

Immagine di copertina: Empatické kruhy - Nenásilná komunikace

* Neré (all’anagrafe Silvia Pezzato) ha scritto una tesi di laurea magistrale su questi temi, alla Masaryk University, e nella parte più empirica della sua ricerca-azione partecipativa ha facilitato un piccolo gruppo di supporto per studentə con distress ambientale. La tesi è in lingua ceca, ma verrà prossimamente tradotta e riadattata in italiano.