Acqua alta a Venezia e sciacalli del MoSe: facciamo chiarezza

8 / 12 / 2008

Non solo i toni, ma proprio i contenuti delle polemiche di questi giorni, successive all’acqua alta eccezionale del 1° dicembre, risultano al tempo stesso scentrati e anacronistici. Scentrati quando insistono sull’adeguatezza o meno delle istituzioni ad affrontare questa alta marea, anacronistici quando ripropongono lo scontro “MoSE sì, MoSE no”, un dibattito datato, come del resto l’idea stessa di questa grande opera salvifica, alla prima metà degli anni Ottanta ed esauritosi, di fatto, con l’imposizione di questa scelta come unica soluzione per la salvaguardia della città, da parte dei governi Prodi e Berlusconi. Chi sosteneva questa idea ha vinto, giocando una partita in cui il banco era anche uno dei giocatori. Che cosa vuole di più? Forse, tanto accanimento tradisce la consapevolezza di una bella, doppia, coda di paglia.

Una coda di paglia per il passato: negli anni spesi per imporre l’ossessione pro-MoSE, non sono stati portati a termine tutti quegl’interventi previsti dalla Legislazione Speciale per Venezia, che avrebbero sensibilmente ridotto i pesanti effetti dell’acqua alta di lunedì scorso, ad esempio il rialzo dei fondali e la ricalibratura delle bocche di porto, misura che da sola (dati CNR) avrebbe comportato una riduzione della punta massima di marea nell’ordine dei 23-24 cm.; questo significa che il 1° dicembre avremmo avuto i più ridotti disagi di una marea da 132-133 cm. sul medio mare.

Ma soprattutto, una bella coda di paglia di fronte agli scenari presenti e futuri, quelli che più ci stanno a cuore: i tifosi del MoSE, quelli che accusano il sindaco Cacciari di “sottovalutazione”, quelli che gridano alla “catastrofe”, sono gli stessi signori che, a Palazzo Chigi come a Palazzo Balbi, negano con tutte le loro forze l’evidenza della vera prospettiva catastrofica che abbiamo di fronte, quella rappresentata dagli effetti del surriscaldamento climatico globale, il Global Warming, sull’innalzamento del livello medio del mare in Alto Adriatico e, di conseguenza, sulla frequenza e le dimensioni degli allagamenti nei centri abitati della Laguna di Venezia. Accecati dal furore ideologico con cui sostengono il modello di sviluppo produttivo ed economico, oggi in crisi ma cui credono di continuare a legare le loro fortune, hanno rifiutato e continuano a sottrarsi ad un confronto scientifico e politico serio sul destino di Venezia, di fronte alla portata epocale e alle conseguenze drammaticamente irreversibili dei cambiamenti climatici.

Proprio nel momento in cui le considerazioni di André Chastel (“Venezia è diventata il simbolo delle nostre responsabilità. La sfida veneziana non è che l’episodio centrale della crisi del mondo moderno, il quale dovrà rivedere il suo stile di vita”) rivelano per intero la loro urgente attualità, Venezia potrebbe diventare uno straordinario laboratorio, dove pensare, progettare, realizzare le risposte adeguate, quelle per il 2010-2050, non quelle immaginate venticinque anni fa, alle trasformazioni in atto. Venezia potrebbe così candidarsi a capitale mondiale della lotta ai nefandi effetti del Climate change. E’ in gioco la sua salvezza, il resto rischia di essere davvero solo “una laguna di chiacchiere”.

*lista “Verdi Città Nuova” di Venezia