Dopo
il 15 ottobre la piazza
non sarà più la stessa: in un processo costituente, in cui vogliamo
essere
presenti attivamente, come soggettività politiche e come individui, una
giornata come questa segna un momento di cambiamento.
La
piazza romana pare essere
stata solo quella degli scontri, invece è stata soprattutto
un’esplosione di
partecipazione, centinaia di migliaia di persone che alla violenza,
fattadi sottrazione di diritti e tagli
indiscriminati, rispondono confluendo nella piazza del 15 ottobre, con i
propri
corpi e le proprie istanze, per urlare la propria voglia di costruire
l’alternativa.
Il messaggio e la sua diffusione spaventano delle istituzioni incapaci
di
reagire, di dare risposte concrete a problemi reali: l’unica ricetta che
sono
in grado di proporre è fatta di asservimento ai dictat della Bce, volti a
impoverire i poveri per risanare un’insolvenza che non sono stati loro a
creare, smantellando così ciò che rimane delle politiche di welfare e
del bene comune.
Facile
è continuare a non
voler leggere la fioritura di un movimento globale che, a dieci anni da
Genova,
continua il suo processo di ricomposizione sociale. Ancor più facile è
limitarsi a condannare le pratiche,strumentalizzarle per oscurare la forza reale di una piazza
eterogenea,
che ha in sé e nelle proprie proposte d’alternativa la sua forza
devastante .
Inutile
continuare a dividere
la piazza in buoni e cattivi, violenti e non violenti, black block e
pacifisti:
queste distinzioni banali servono solo per giustificare un vero e
proprio
attentato alle forme di democrazia reali, attraverso la riproposizione
di
meccanismi repressivi, che mirano a minare le basi di un movimento che
acquista
una forza e un consenso sempre crescente. In questo contesto sono state
svolte
perquisizioni e controlli, ingiustificati e pretestuosi, nei confronti
di
attivisti di movimento. Queste manovre risultano un vano tentativo di
marginalizzare e criminalizzare le esperienze di autorganizzazione nate
dentro
i centri sociali, che, con un costante lavoro sul territorio, hanno dato
linfa
e fondamento alle tematiche e alle battaglie che ci hanno portato al 15
ottobre
e ad essere parte di quel 99%.
Non
solo la criminalizzazione
degli spazi sociali, ma anche la delegittimazione dei percorsi di altri
soggetti dentro il movimento, come la Fiom, che ha saputo costruire nei
mesi
una conflittualità maggiore rispetto alla banale riproposizione di
scenari evocativi
e immaginari storici eche si è vista
negata la piazza del 21 ottobre. Anche la Fiom è parte di quel 99%.
La
piazza ha avuto molti volti,
mille differenze, intrinseche nella sua complessità: tutto questo andava
rispettato.
Ciò
che è accaduto ci ha posti
davanti ad una profonda criticità: una battuta d’arresto alla
democraticità dei
movimenti.
Alcuni
soggetti hanno
considerato la giornata de l 15 ottobre uno spazio da monopolizzare,
imponendo
la propria interpretazione della piazza, annullandone ogni altra
possibilità di
autodeterminazione e partecipazione. Si è imposto prepotente un
machismo, fatto
di brutalità irrazionale e ingiustificata, che ha violentato la
molteplicità
dei contenuti e delle espressioni conflittuali presenti in un processo
democratico di tale portata.
Andrebbe
aggiunta, del resto, una critica femminista a
quell’estetica della ‘resistenza’ vista a Roma. Non basta, ovviamente,
mettere
in evidenza le quote rosa in forza tra i ‘neri’. La soggettività basata
sull’esaltazione di qualità militari e predatrici non in quanto
pratiche, ma in
quanto qualità dell'essere (bio)politico, parlano di ben altre, ben più
lunghe
retoriche di genere..
Si
delinea una frattura tra
chi ha cercato un conflitto costruttivo e costituente e chi ha cercato
il
conflitto fine a se stesso.
Essere
in piazza è
‘semplicemente’ l’amplificazione, la generalizzazione di un metodo di
essere e
agire quotidiano.
Riteniamo
quindi fondamentale rilanciare la
discussione e l’analisi sui territori, che hanno visto crescere questo
movimento partecipato.
L’APPUNTAMENTO
È AD ART LAB GIOVEDÌ 20 ALLE 18.30