14 dicembre, non è che l'inizio

15 / 12 / 2010

Il coro è generale, prevedibile, pavloviano nelle sue reazioni. Tra i vincitori e gli sconfitti dell'aula, da destra a sinistra rimbomba l'indignazione: professionisti della violenza, vandali, teppisti, insomma la racaille, la canaglia, per rievocare l'espressione Che Sarkozy affibbiò a suo tempo ai giovani rivoltosi delle banlieus. Si invoca repressione, repressione e ancora repressione. Si fa finta di non capire, di esorcizzare lo spettro di qualcosa che ormai monta nel paese. Nel palazzo si finge di ignorare che le scelte compiute, l'immagine grottesca trasmessa dalla politica siano prive di conseguenze, siano accettate con rassegnazione o distacco. Eppure lo stato d'animo di chi si sente in balia di schermaglie, trattative e accordi che devastano le vite ed escludono i viventi senza rimedio, dovrebbe essere chiaro a tutti. Vi è una sensazione di violenza subita quotidianamente, e soprattutto proiettata verso un futuro incerto e minaccioso, sempre più diffusa e condivisa. La "canaglia" che si è scontrata con le forze di polizia nel centro della capitale è questo. Giovani e giovanissimi esasperati dall'impotenza e dall'afasia in cui li si vuole costringere. Invisibili fino a quando le fiamme degli autoblindo non ne illuminano la figura. Che l'esasperazione non sia fonte di particolare saggezza politica, che possa comportare conseguenze autolesive, è una considerazione sulla quale si può ben convenire. A patto di non dimenticare che la violenza è una relazione, non una malvagia inclinazione onanistica. E così è stata vissuta, non dai "professionisti della sommossa", ma da una grande folla di giovani che non si sentono più garantiti da altro che dalla loro capacità di reazione, da quel "tutti insieme facciamo paura" che ossessivamente risuona nei cortei. Ma la politica, che peraltro si prende a schiaffi tutt'altro che metaforici nell'aula parlamentare, vive le soggettività politiche che crescono nel paese come uno sfondo oscuro e irrilevante, spettatori attoniti di formule, proclami e promesse, oppure, "canaglia". Richiamandole, nel momento in cui la situazione precipita, al rispetto di regole, quando non inique, disattese. Si può ragionevolmente pensare che una intera società accetti di farsi tenere in pugno dal pelo sulla coscienza di tre nullità? Che si consenta a un governo tanto putrefatto quanto arrogante di procedere come un carro armato? Di farsi ricattare da un amministratore delegato o dalle diverse corporazioni del potere?

E' bene che il palazzo, cominci a temere qualcosa di diverso dalle congiure, gli agguati, le trappole, le compravendit, i tradimenti, le astuzie. Quanto è accaduto ieri a Roma, fuori dall'esorcismo, di questo ci parla. E tutto indica che non è che un inizio. La destabilizzazione sociale, il morso della crisi, sono assai più gravi e profondi dell'instabilità politica e delle dinamiche caotiche che d'ora in poi promettono di accompagnarli. Lo scollamento è totale e la "volontà di punire", che irresponsabilmente viene sbandierata a destra e a sinistra, non farà che alimentare una spirale molto pericolosa. Eppure è esattamente in questa direzione che tutto sembra muovere. L'iter del ddl Gelmini, per fare un esempio, sarà portato avanti ora a suon di manganello? Gli sconfitti di Montecitorio vi si accoderanno? I sindacati prenderanno le distanze? Meglio cercare di capire ciò che a Londra come a Roma viene sottoposto a una ragione che dovrebbe continuare a restare politica.