Raccontare un movimento, trovare una sintesi adeguata a descriverlo è un’impresa titanica - addirittura impossibile - se si tratta dell’Onda.
Orfani come siamo delle confortanti teorie dei flussi e dei riflussi, prigionieri/attori di una crisi che ha abbandonato i suoi caratteri di ciclicità per farsi permanente, ci siamo ritrovati non a raccontare una - o un pezzo di - storia. Piuttosto, a narrare un presente in continuo divenire.
Ogni volta che qualcuno - molti, anche davanti ai nostri obiettivi - ne ha decretato fine, è stata l’Onda stessa a smentirlo… ad ogni cerimonia funebre allestita in fretta e furia, con annesse lacrime di circostanza, l’Onda ha risposto con manifestazioni di gioia e rinnovata potenza: ne siano un esempio concreto l’invalidamento del “protocollo anti-cortei per la città” di Alemanno a Roma ed il G8 universitario a Torino (qui citate tra vari accadimenti perché documentate nel nostro lavoro).
Youngstown – un’altra volta, un’altra Onda è la testimonianza della passione cresciuta in noi, ripresa dopo ripresa, verso questo movimento, nei confronti della sua capacità di prefigurare una società ‘altra’ - non conciliabile con il presente - verso il suo essere immediatamente costituente.
Non è stato facile, dicevamo qualche riga più su, portare a termine questo lavoro: un film presuppone un inizio, un plot (un momento drammatico di grande valore simbolico), una conclusione. Ma nulla di tutto ciò era a nostra disposizione.
Quando è iniziata l’Onda? Per noi, romani “di adozione” (un milanese e una palermitana), adoperando una semplificazione che sa di forzatura, la risposta potrebbe essere l’occupazione della scuola elementare Iqbal Masih, quando alunni, genitori, insegnanti - e perfino la preside! - per giorni e giorni hanno occupato anche la notte, dimostrando che fosse possibile - a fronte della dismissione della scuola pubblica, della rinuncia al suo ruolo formativo - unire tutta la società civile in una comune battaglia.
Ma allora le lotte dei collettivi universitari de La Sapienza, la resistenza dei centri sociali (meglio dire di aggregazione e produzione di sapere) alle amministrazioni di centro-sinistra prima e di destra poi e alle loro politiche repressive, razziste, normanti? Come classificarle?
Qual’è il plot? Questo movimento non ha avuto fin’ora, e sembra non averne vocazione, una “Valle Giulia” come nel ‘68, non ha visto cortei insurrezionali, autoblindo, assalti ad armerie, battaglie epocali come nel ’77.
Come dice Valerio Bindi – una delle voci narranti del documentario – l’Onda «…non ha bisogno di manifestazioni concordate – nazionali – con un percorso stabilito. Non ha bisogno di individuare la sua presenza in spazi determinati […] col suo muoversi a macchia di leopardo non permette la ricostruzione di un sistema di controllo che ne impedisca gli spostamenti. Si muove veloce, non è abituata a venire in fotografia…»
La fine? Quale fine?
Comunque sia, alla fine ci siamo riusciti: il docu-film è finito; quali siano stati gli espedienti narrativi scelti, il ruolo della fiction ecc., non vorremmo raccontarvelo augurandoci che abbiate presto occasione di vederlo nei vostri luoghi.
A questo proposito per chi volesse organizzare proiezioni può contattarci qui youngstown_info@officinamultimediale.eu.
Scheda tecnica e sinossi italiano inglese
Recensione:
«L'onda in immagini. Ma che fine ha fatto?» di Anna Simone,da "gli ALTRI. Settimanale di politica e cultura", anno II numero 12, pag. 18
Per Officina Multimediale:
maurizio ‘gibo’ gibertini – manuela costa