Waiting for the worms

Alfonso Mandia

10 / 5 / 2011

Il pomeriggio di Sabato scorso è stato uno strano pomeriggio, o meglio, strana è stata la sensazione che ho provato andando in giro per il centro, purtroppo per lavoro, dato che sono uno dei tanti che non ha potuto scioperare per una serie di motivi legati alla quotidiana sopravvivenza riguardo ai quali non sto a raccontare per non far incorrere chi legge in una fastidiosa quanto giustificata botta di sonno.

Strana, dicevo, sensazione, quella di Sabato, perchè pareva di vivere in due distinte Roma. Una era quella dello straordinario corteo che scorreva coloratissimo, chiassoso, positivamente incazzato, popolato di donne e uomini che, stufi marci delle porcherie di questo Regime di nani, servitori e ballerine, ricordava a tutta la città che dir di no si può e si deve, con coraggio, allegria, decisione, mettendo in prima fila la propria dignità in un periodo storico in cui viene venduta e comprata un tanto al kilo perchè è il mercato, bellezza! Una Roma attiva e reattiva che apre il cuore e la mente, una lama di luce che squarcia le nubi viola cariche di pioggia della più nera giornata autunnale.

Poi c’era l’altra Roma, quella che mi ha lasciato senza parole, che più chiaramente di qualsiasi altra cosa, persona, articolo di giornale o situazione, mi ha mostrato a che punto di lobotomizzazione si è arrivati, popolata da altre donne e altri uomini che, a pochi metri dalla manifestazione, abbarbicati ai volanti delle macchine o ai manubri degli scooters neanche lo vedevano, quel fiume di bandiere e musica e canti e cori.

Niente, zero assoluto, neanche le reazioni isteriche o le maledizioni velenose che fino a qualche tempo fa era normale sentire quando si incappava in una deviazione del traffico causa, appunto, corteo. A tratti, mentre giravo con lo scooter tra un ingorgo e l’altro, mi soffermavo ad osservare le espressioni della gente e sulle facce ci leggevo soltanto sguardi persi nell’immensità di un vuoto pneumatico che sembra esser diventato l’ultima strenua linea difensiva da un meccanismo sociale, culturale, umano, che ha fatto scempio di qualsiasi residuo di visione del futuro, o almeno di un futuro poco meno miserabile di quello che il Regime ci sta prospettando come unico e possibile, forte del lavoro di rincoglionimento portato avanti in vent’anni dalla corazzata dei media di cui è padrone assoluto, al punto di essersi immunizzato anche dai grandi numeri di manifestazioni che per quanto oceaniche possano essere non riescono più neanche a scalfirne il potere materiale e progettuale.

Forse sarebbe ora di dire basta a tutto questo e con coraggio passare al livello successivo della partita e far nascere finalmente una nostra piazza Tahrir, forse sarebbe ora di far girare l'appello dell’associazione “A sud” e trovarci tutti a piazza Montecitorio attrezzati di tenda e sacco a pelo e restarci a oltranza, per dire a voce alta che la misura è colma, per riprenderci, tanto per cominciare, i referendum che stanno tentando di scipparci.

Per riprenderci, una volta e per tutte, un’idea di vita e di società altre.

Per strappare finalmente via dalla nostra dignità, quel maledetto cartellino del prezzo che i nostri indegni politicanti paiono esibire con tanto orgoglio perchè è il mercato, bellezza!