Business biodiversità

Un verde assai sporco

I servizi ambientali come nuovi meccanismi di mercato

Utente: Ya Basta
15 / 2 / 2011

In vari fori internazionali avanza una nuova onda di discussione per promuovere quello che chiamano una nuova "economia verde". Nella riunione di gennaio 2011 del Foro Economico Mondiale a Davos il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, richiamò ad una "rivoluzione di libero mercato per la sostenibilità globale", sottolineando che questa "rivoluzione" non minaccia i suoi interessi economici.

Al contrario, richiamò le grandi industrie ad investire in commerci "verdi" per uscire dalle crisi finanziarie ed economiche, approfittando di opportunità in "acqua, energia ed alimentazione", così come del cambiamento climatico. Yvo de Boer, ex segretario della Convenzione di Cambiamento Climatico, lodò la posizione di Ban Ki-moon e riferì che giustamente il principale successo delle negoziazioni climatiche a Cancun era stato "creare una mappa delle strade per aprire nuovi meccanismi di mercato", (The Guardian, 27/1/2011), inserendo il tema del cambiamento climatico in quello dell'economia verde globale.

È chiaro che abbiamo bisogno di cambiamenti profondi e radicali nei modelli di produzione e consumo dominanti, incorporando non solo sostenibilità ambientale, ma anche giustizia sociale ed economica in modelli completamente differenti di relazione con la natura e le risorse, discutendo, tra molti altri, il proprio concetto di "sviluppo" e di "crescita". Quello che si propone sotto questo nuovo ordine economico mondiale "verde", è completamente diverso e molto preoccupante. Si tenta di ampliare o creare nuovi mercati per le corporazioni e di utilizzare nuove e pericolose tecnologie, giustificando il loro uso per i supposti benefici "verdi" che porterebbero.

La menzione di Yvo de Boer è allusiva, tra l'altro, alla decisione di implementare i programmi REDD (Riduzione di Emissioni per Deforestazione e Degradazione evitata di boschi) che lungi da essere un programma di protezione dei boschi, è una forma di mercanteggiare le funzioni ecosistemiche di questi e soprattutto, di creare un nuovo mercato finanziario col commercio di carbonio, abilitando un'altra ondata di oltraggi ai diritti indigeni e agli abitanti tradizionali dei boschi.

Questo tipo di programmi si inquadra nella cornice di altri più generali, come il progetto TEEB (L'Economia degli Ecosistemi e la Biodiversità, sigla in inglese). È una faccia particolarmente dannosa di questa "economia verde", perché si riferisce all'introduzione al mercato di aspetti della biodiversità e gli ecosistemi che non vi rientravano, che sono beni comuni, collettivi. Inoltre, in tutto il mondo coloro che abitano e conoscono questi ecosistemi sono comunità tradizionali, indigene, contadine, pescatori artigianali, comunità nere, pastori, eccetera, per quello che questo tipo di progetti prevede spesso incorporare una piccola parte di questi come "impresari" della biodiversità, per giustificare la sottomissione dei diritti del resto. Tipico del sistema capitalista, si vende l'illusione che tutti potrebbero essere quella piccola parte che teoricamente riceverà qualche guadagno.

Questo genera dispute dentro e tra comunità che si prestino al gioco, come già è successo con progetti simili (per vedere chi arriva primo a vendere un servizio in un mercato finito o chi sono i "padroni" di una conoscenza o di risorse che sono collettivi o condivisi tra varie comunità, eccetera). I mercati di servizi ambientali - idrologici, forestali, biopirateria - sono un antecedente diretto di progetti come TEEB ed esistono già molte prove del danno che significano alle comunità - che sono i veri custodi della biodiversità – molte delle quali finiscono per perdere l'accesso alle proprie risorse e territori.

TEEB sorse nel 2007 come progetto a partire da una riunione del G8+5. I cinque governi aggregati furono Brasile, Cina, India, Messico e Sudafrica, tutti governi di paesi megadiversi interessati nel commerciare la loro biodiversità. Quindi fu integrato nell'Iniziativa di Economia Verde del Programma di Nazioni Unite per l'Ecosistema (PNUMA).

Con la crisi finanziaria, la "valorizzazione del capitale naturale" che trascina TEEB appare come un eccellente mercato rispetto al fracasso di altri mercati speculativi. Per ciò non è strano che il coordinatore sia Pavan Sukhdev, un direttore della Deutsche Bank che proveniva da uno studio sul tema della valutazione economica della biodiversità per il Foro Economico di Davos, e secondo il quale, è un "mercato multimilionario".

Questo contesto e l'appoggio di organismi delle Nazioni Unite (PNUMA, inserimento negli Accordi e nel processo di Río+20), fanno che comunque la filosofia di fondo non sia nuova, queste iniziative sono più pericolose. C'è un affanno esagerato per dare un prezzo a "tutto" quello che integra la biodiversità e le sue funzioni, a partire paradossalmente dall'apparente riconoscimento che l'erosione della biodiversità è una dei maggiori problemi globali che soffriamo.

Nelle presentazioni su TEEB, Sukhdev ripete che "quello che non si misura non si può gestire". È la cosa opposta del pensiero dei popoli tradizionali che realmente conoscono e "gestiscono" la biodiversità da millenni. Un comunero wixarika diceva sul suo mais e la biodiversità che li accompagna: "se lo conto non aumenta, cosicché non lo conto e aumenta sempre”. Senza dubbio, un elemento fondamentale nella resistenza a queste nuove trappole: non lasciare che c'ingannino con le loro "logiche".