Restando attaccati a rivendicazioni novecentesche che non hanno più materialità e, quindi, più nessuna efficacia e potenza si riconferma solo questo mondo e questa economia.

Su Pomigliano, alla vigilia di uno sciopero generale.

Perchè la Fiat vuole di nuovo Pomigliano.

21 / 6 / 2010

A Pomigliano la Fiat ha imposto una sfida pesante e dura perché? Perché ha lanciato questa sfida a Pomigliano? Perché la Fiat non vuole più restare in Polonia? In quel paese non ha già il regime di produzione e le condizioni economiche e politiche che vuole imporre in Italia? La Fiat che se ne fotte dell'assenteismo, dell'irriducibilità degli operai meridionali alla disciplina della fabbrica? Non produce già in Polonia dove il ricatto sociale per imporre lo sfruttamento e la sua disciplina è più forte e più funzionale che in Italia? O per dirla più volgarmente, in Polonia la fame non è più forte che in Italia e sulla fame dei proletari i padroni non sono sempre ingrassati?

La Fiat oggi avrebbe degli scrupoli morali a lasciare marcire Pomigliano a spese del sociale? Cassa integrazione, corsi di riqualificazione professionale e i tanti meccanismi consolidati per dividere la classe e scomporla in un residuo sociale non piacciono più ai padroni Fiat?

E' che la Fiat ha bisogno di avamposti produttivi nei paesi più avanzati economicamente, glielo impone la sua mutata condizione di multinazionale che ha da poco acquisito un potere centrale anche in America, con la cessione della Chrysler, a gratis, a spese degli americani. Con questa nuova configurazione internazionale la Fiat ha finalmente realizzato il suo sogno anche in America, E' riuscita a trovare la dimensione politica da sempre per sé più consona: quella di produrre con gli investimenti statali ed i guadagni privati.        

Con questa dimensione globale e con le condizioni della attuale crisi la Fiat ha bisogno di produrre al centro dell'impero e non alla sua periferia. Perché deve andare a saccheggio degli ultimi utili sulla produzione delle auto come storicamente determinate fino a oggi, per poi ristrutturare, con i soldi degli italiani e degli americani, per darsi alla green economy come dicono Obama in America e Guido Viale in Italia.

La Fiat vuole spremere questo limone, quello della produzione delle attuali auto, fino all'ultima goccia a Pomigliano, come a Torino, come a Detroit, imponendo le sue infami leggi di sfruttamento, sapendo che le 25 auto in più al giorno si potranno vendere ancora per poco e prepararsi ad avere contributi per la nuova e salvifica produzione verde, partendo da una base produttiva disciplinata, impotente e rassegnata.

In Polonia ed in Cina non ci sono le condizioni per questo, mentre in Italia ed in America i mercati e la politica sono disponibili. Il green è o può essere una soluzione economica e politica.

La Fiat prepara il terreno per inglobare il più possibile la green economy ai codici ed al comando del capitale disciplinando la produzione, azzerando definitivamente il potere operaio. Ma sopratutto, la Fiat lo sa, sta distruggendo tutte le possibilità di produzione dal basso e non centralizzate che la green economy avrebbe potuto creare con una base produttiva più in "comune" con l'umanità che con la dittatura dell’ economia. Usare la crisi dell’auto per preparare il terreno allo sfruttamento intensivo della green economy è per questo che la Fiat vuole ritornare a Pomigliano, ma non il Pomigliano di oggi ancora troppo libero e ribelle ma quello pacificato sotto il ricatto della dittatura dell’economia.    

E'  in questa ottica che si può cercare di ritrovare i mezzi teorici e pratici per riscoprire e valorizzare il potere operaio. Restando attaccati a rivendicazioni novecentesche che non hanno più materialità e, quindi, più nessuna efficacia e potenza si riconferma solo questo mondo e questa economia.

Pietro Brancaccio, dal Laboratorio Diana di un'altra Salerno il 21.06.2010.