Spazi ritrovati, luoghi condivisi.

16 / 11 / 2013

Lo scorso fine settimana, l'occupazione dell'ex-caserma Vittorio Emanuele in via Rossetti a Trieste da parte di un gruppo di persone – aderenti a centri sociali o meno che fossero – ha messo i cittadini davanti a un fatto compiuto. Ovvero che intere parti della città versano in uno stato di abbandono senza che esista una pur minima idea di cosa farne (anche se nel caso della caserma si dibatte da anni di un possibile e quanto mai vago “campus scolastico”). In parte l'argomento non è nuovo, perché alcuni gruppi cittadini si sono già cimentati in mappature con cui sono stati individuati e catalogati con precisione gli immobili inutilizzati. Ma il gesto dello scorso sabato apre un nuovo fronte, mettendo in campo non soltanto un dato quantitativo ma, soprattutto, un aspetto qualitativo. Le foto del grande salone di rappresentanza vuoto e semi abbandonato (e anzi amorosamente spazzato dagli occupanti) sbatte in faccia al cittadino ignaro un'immagine non facilmente rimovibile: questi non sono soltanto degli immobili abbandonati, sono anche degli spazi belli. E una parte della cittadinanza li reclama, ne sente la necessità, desidera che questi spazi diventino luoghi, condivisi e non finalizzati a usi esclusivi. In quest'ottica appare evidente come il treno che la città rischia di perdere non riguardi soltanto il recupero – o riuso, o riattivazione come recitano le parole d'ordine odierne – di una porzione sostanziosa del proprio tessuto urbano, ma anche la capacità di preservare degli spazi di una qualità al di sopra della media per trasformarli in luoghi utilizzati, vissuti, contemporanei. Per questo motivo, ancora prima di dibattere sul come recuperare questi lacerti urbani, sarebbe importante chiedersi perché sia necessario farlo. Iniziando a progettare i programmi prima ancora che gli edifici. Cercando di evitare gli errori fatti nel “salotto buono” della città, dove sono sorti prima i contenitori – o poli, per tornare alle parole d'ordine – per poi iniziare a pensare alle funzioni che essi avrebbero potuto ospitare.

Le richieste fatte dagli occupanti raccontano, allora, queste esigenze e la scelta della caserma – a fronte dei numerosi immobili disponibili – risulta essere un preciso segnale in questa direzione.