Risposta alla lettera di Roberto Saviano
Caro Roberto Saviano.
Mi rivolgerò a lei conferendole del lei, perchè il tu lo posso solo dare ai compagni di lotta.
Rispondo alla sua lettera pubblicata oggi su repubblica.it, sì alla sua
lettera aperta rivolta al movimento di Roma del 14 dicembre 2010.
Sì, a quelle persone, uomini e donne, che lottano a rischio anche della
propria incolumità psicofisica per riportare la libertà vera e non
demagocica nel nostro paese.
Paese ove regna una dittatura celata dal velo della democrazia.
Riprenderò alcuni passi della Sua lettera modificandone anche il contenuto in alcuni casi.
CHI LA LANCIATO un sasso alla manifestazione di Roma lo ha lanciato per i movimenti di donne e uomini che erano in piazza, chi ha assaltato un bancomat lo ha fatto per coloro che stavano manifestando per dimostrare che vogliono un nuovo paese, una nuova classe politica, nuove idee.
Ogni gesto violento è stato un voto di sfiducia in più
dato al governo Berlusconi. I caschi, le mazze, i veicoli bruciati, le
sciarpe a coprire i visi: tutto questo appartiene a chi sta cercando
in ogni modo di mostrare un'altra Italia.
Una Italia che non tollera più gli abusi di potere, il nepotismo, il clientelismo il potere vigente.
I passamontagna, i sampietrini, le vetrine che vanno in frantumi, sono
anche l' espressione di quella violenza coltivata dalla ingiustizia
perenne presente nella società non solo italiana ma anche tutta.
Poliziotti che si accaniscono in manipolo, sfogando su chi è inciampato
rabbia, frustrazione e paura: è una scena che non deve più accadere.
Poliziotti isolati sbattuti a terra e pestati da manipoli di violenti:
è una scena che non deve più accadere.
Manipoli di agenti provocatori caro Roberto Saviano.
Il poliziotto ha scelto un lavoro difficile ed oggi giorno grazie
soprattutto alla formazione militare che hanno alle spalle, perchè come
ben lei saprà, i poliziotti non vengono più arruolati con i vecchi
sistemi, ma devono passare obbligatoriamente dalla vita militare prima
di tentare il passaggio in polizia, ciò lascia ben intendere perchè la
polizia italiana è violenta e non è piú quella di una volta, come si
diceva che era letteralmente al servizio del cittadino, oggi ciò lo si
deve porre ancor di più in discussione.
Quindi, riprendendo la sua lettera, se tutto si riduce alla solita guerra in strada, questo governo ha vinto ancora una volta. Infatti,
nessuno vuole la guerra di strada, nessuno vuole la violenza, la
violenza la si patisce, subisce giorno dopo giorno ed è chiaro che
prima o poi la situazione debba esplodere caro Saviano.
Secondo lei, ridurre tutto a scontro vuol dire permettere che
la complessità di quelle manifestazioni e così le idee, le scelte, i
progetti che ci sono dietro vengano raccontate ancora una volta con
manganelli, fiamme, pietre e lacrimogeni. Bisognerà organizzarsi, e non
permettere mai più che poche centinaia di idioti egemonizzino un corteo
di migliaia e migliaia di persone. Pregiudicandolo, rovinandolo.
Se idioti esistevano in quella manifestazione, questi erano certamente
chi ha volutamente provocato gli scontri e non chi ha praticato
resistenza; penso ad esempio agli agenti provocatori e non chi si è
difeso nella pratica della resistenza di piazza. Perchè caro Saviano se
lei non lo ha ancora compreso, in questo paese esiste una dittatura. Si
rende conto che esiste un governo che non ha legittimità popolare, che
in Italia non esiste piú la sovranità popolare?
Che poche persone espressione della classe dirigente padronale
determinano l'esistenza sociale di milioni di cittadini italiani? Caro
Saviano come tollerare ancora ciò?Cosa pretende che si scenda in piazza
con le rose? Con i fiori? E' più che normale che il sistema imploda; è
più che naturale che il 14 dicembre vi sia stata, quindi, una
esplosione di piazza.
Certo nessuno vuole giustificare le violenze ma certamente tutto ha una
causa e tutto ha un suo naturale ed inevitabile effetto. E non credo
che quelle violenze abbiano celato il resto della manifestazione, anzi.
La eterogeneità della espressione del movimento è una esternazione della forza del movimento stesso e non una sua debolezza.
Condivido quando lei scrive " Scrivo questa lettera ai
ragazzi, molti sono miei coetanei, che stanno occupando le università,
che stanno manifestando nelle strade d'Italia. Alle persone che hanno
in questi giorni fatto cortei pieni di vita, pacifici, democratici,
pieni di vita. Mi si dirà: e la rabbia dove la metti? La rabbia di
tutti i giorni dei precari, la rabbia di chi non arriva a fine mese e
aspetta da vent'anni che qualcosa nella propria vita cambi, la rabbia
di chi non vede un futuro. Beh quella rabbia, quella vera, è una
caldaia piena che ti fa andare avanti, che ti tiene desto, che non ti
fa fare stupidaggini ma ti spinge a fare cose serie, scelte importanti".
Ad un certo punto lei dice che così inizia la nuova
strategia della tensione, che è sempre la stessa: com'è possibile non
riconoscerla? Com'è possibile non riconoscerne le premesse, sempre
uguali? E dice anche che quegli incappucciati sono i primi nemici da
isolare. Il "blocco nero" o come diavolo vengono chiamati questi ultrà
del caos è il pompiere del movimento. Calzano il passamontagna, si
sentono tanto il Subcomandante Marcos, terrorizzano gli altri studenti,
che in piazza Venezia urlavano di smetterla, di fermarsi, e trasformano
in uno scontro tra manganelli quello che invece è uno scontro tra idee,
forze sociali, progetti le cui scintille non devono incendiare macchine
ma coscienze, molto più pericolose di una torre di fumo che un
estintore spegne in qualche secondo.
Ma come si può ricondurre la strategia della tensione al blocco nero?A chi quel giorno ha resistito?
Certo le provocazioni ci sono, e ciò lo denuncio da tempo.
L'attentanto finto a Belpietro, le finte lettere di minaccia delle br,
l'invocare continuamente il morto, non mi sembra che sia opera del
blocco nero.
Così come non mi sembra che gli infiltrati ed agenti provocatori che
sono i primi ad aver definito il caos a Roma siano il blocco nero.
La strategia della tensione figlia della scuola di Kossiga, è voluta e praticata in via unilaterale dai governanti.
E noi caro Saviano? Dobbiamo continuare a subire?
Ci rifletta bene prima di sparare a zero, ci rifletta bene prima di
condannare tutti coloro che hanno deciso di esternare la loro rabbia in
modo libero , sponanteo ed anche violento.
Ma parliamo di violenza come reazione alla violenza di stato nello Stato subito sino ad oggi.
La diatriba su violenza si violenza no ha comportato la fine della
Rifondazione Comunista, del social forum, dei movimenti di lotta; il
suo "nobile" tentativo di dividere ancora il movimento non funzionerà.
La corrente violenta, se così possiamo definirla, con quella non
violenta, possono lottare insieme non devono necessariamente
escludersi. Si tratta di violenza difensiva. Si tratta di resistenza.
Tutto deve essere contestualizzato.
"Noi, e mi ci metto anche io fosse solo per età e per - Dio solo
sa la voglia di poter tornare a manifestare un giorno contro tutto
quello che sta accadendo - abbiamo i nostri corpi, le nostre parole,
i colori, le bandiere. Nuove: non i vecchi slogan, non i soliti camion
con i vecchi militanti che urlano vecchi slogan, vecchie canzoni,
vecchie direttive che ancora chiamano "parole d'ordine". Questa era la
storia sconfitta degli autonomi, una storia passata per fortuna". Questo è quanto sostiene in altro passaggio della sua missiva pubblica.
Primo da ateo non invoco nessun Dio, e tantomeno il suo Dio. Ma
comprendo le sue difficoltà dovute al vivere sottoscorta, alla
privazione della libertà personale per aver scelto in modo forte di
denunciare la camorra. Ed in ciò sono solidale a chiunque venga privato
della libertà personale per aver lottato contro il sistema mafioso.
Ma, ritornando alla sua lettera, mi viene spontaneo e con tanto senso
di rabbia dire chi è lei per dire che gli slogan e le parole d'ordine
sono superate? Chi è lei per dire che la vicenda degli autonomi deve
reputarsi come superata per fortuna?
Le sofferenze che vivono i compagni di lotta, lo sfruttamento che vive
l'operaio, il lavoratore, il senso di oppressione che vive l'uomo
schiavo del lavoro e del potere, il sistema capitalistico che determina
l'esistente, lei Saviano conosce ciò?
No. Non conosce ciò, e non può permettersi di giudicare storia e
sofferenze di compagni che hanno sacrificato anche la loro vita per le
loro idee, idee di altra società che non sono mai morte e mai moriranno.
Mai.
Il sistema in cui lottiamo è sempre lo stesso. Gli slogan sono validi e vivi perchè vivo è il sistema che combattiamo.
Il capitalismo.
Lei Saviano gode di un grande potere mediatico di comunicazione e le
sue parole lasceranno riflettere, discutere e offriranno anche grande
indignazione.
Non bisogna più cadere in trappola. Bisognerà organizzarsi,
allontanare i violenti. Bisognerebbe smettere di indossare caschi. La
testa serve per pensare, non per fare l'ariete. I book block mi
sembrano una risposta meravigliosa a chi in tuta nera si dice anarchico
senza sapere cos'è l'anarchismo neanche lontanamente.
Lei Saviano cosa conosce dell'anarchismo? Cosa conosce della resistenza?
Ma di cosa stupirsi d'altronde lei simpatizza per quello che è dato
conoscere per Ernst Jünger, Ezra Pound, Louis Ferdinand Celine, Carl
Schmitt.
Sempre nella sua lettera si legge che:
"Non copritevi,
lasciatelo fare agli altri: sfilate con la luce in faccia e la schiena
dritta. Si nasconde chi ha vergogna di quello che sta facendo, chi non
è in grado di vedere il proprio futuro e non difende il proprio diritto
allo studio, alla ricerca, al lavoro".
Quando la polizia non indosserà più i caschi, o quanto meno caschi
senza codice d'identificazione, quando non scenderà in piazza con
pistole e manganelli, quando vi sarà parità di condizione nello
"scontro" di piazza, allora solo in quel momento si potrà sostenere
ciòche lei dice. Chi si copre non lo fa certamente per vergogna, ma per
tutelarsi dalla repressione.
E per concludere lei dice che:
"E se le camionette
bloccano la strada prima del Parlamento? Ci si ferma lì, perché le
parole stanno arrivando in tutto il mondo, perché si manifesta per
mostrare al Paese, a chi magari è a casa, ai balconi, dietro le
persiane che ci sono diritti da difendere, che c'è chi li difende anche
per loro, che c'è chi garantisce che tutto si svolgerà in maniera
civile, pacifica e democratica perché è questa l'Italia che si vuole
costruire, perché è per questo che si sta manifestando. Non certo
lanciare un uovo sulla porta del Parlamento muta le cose.
Tutto questo è molto più che bruciare una camionetta. Accende luci,
luci su tutte le ombre di questo paese. Questa è l'unica battaglia che
non possiamo perdere".
Il problema è proprio questo caro Saviano, che le camionette bloccano
la strada prima del Parlamento. In uno Stato libero, democratico, che
rappresenta la volontà popolare, ciò non accadrebbe. E se in Italia ciò
accade è perchè non è uno Stato libero e democratico; ed ognuno allora
deve essere libero di esternare la propria rabbia per il sistema, di
urlare al mondo il proprio grido di dolore verso l'ingiustizia presente
e passata, di protestare, di resistere.
Perchè caro Saviano, a parte il discorso infiltrati, agenti
provocatori, ultras e tanto altro, quello che si è visto a Roma è stata
una forma di resistenza verso l'abuso di potere esercitato dai
governanti.
Perchè caro Saviano la democrazia in questo paese è a rischio.
Perchè caro Saviano, la repressione preventiva in questo paese è forte
, è pressante e le parole sono importanti ma come ben saprà non esiste
libertà d'informazione, i media sono controllati, la grande stampa è
controllata, ed allora è più che evidente che alla fine dei conti se
l'unico modo per farsi ascoltare è quello di essere violenti, ciò deve
essere valutato, compreso nell'ottica di quello che succede in Italia
dai tempi della prima Repubblica ad oggi.
Cordialmente
Marco Barone menti critiche di marco barone