Riflessioni: dopo l’Assemblea di Reggio Emilia del 28 Aprile 2012

Utente: garbat
13 / 5 / 2012

Importante la due giorni organizzata dai compagni del LAB AQ 16 di Reggio Emilia. Importante, perché si inserisce a pieno titolo nel dibattito di questi giorni sull’opposizione alla Riforma Fornero, partendo da un angolo visuale, la crisi della rappresentanza politica e sindacale, che è un dato strutturale e incontestabile. La crisi della rappresentanza, dal nostro punto di vista, è dovuta a diverse concause:

1) la complessità dell’elemento sociale da rappresentare, in un quadro di precarietà diffusa e di disoccupazione strutturale, che determina lo spiazzamento di ogni schema classico di rappresentanza;

2) la crisi del capitalismo e la sua finanziarizzazione che, nell’acuirsi di questa fase cominciata nel 2008 con la crisi dei mutui subprime, celebra il funerale di ogni mediazione possibile, innescando così la crisi dell’elemento della concertazione, su cui si costruisce la forma sindacale classica. Un sistema già fortemente debilitato, nella sua credibilità, dalla riforma del sistema pensionistico complementare e dal conferimento del TFR in fondi, partecipati dai sindacati, che investono in borsa (con cui si segna il passaggio dalla concertazione all’aperta cogestione e complicità);

3) la corruzione di una grossa fetta del potere politico innesca un meccanismo di sfiducia nei confronti delle forme di rappresentanza classica che, se da un lato (come visto in Francia) non si traduce immediatamente nell’astensione dal voto, dall’altro lato vede anche l’affermazione di forme di antipolitica radicale (Vedi il fenomeno Le Pen in Francia, Grillo? In Italia). Questa sfiducia “antisistema” coinvolge, a nostro modo di vedere, in senso lato, ogni sistema di rappresentanza basato sul meccanismo della delega, anche quella sindacale. Con una prontezza sicuramente maggiore della nostra il capitalismo finanziario è in grado di intravedere questi elementi di realtà e rispondere colpo su colpo, con la predisposizione dei propri dispositivi di controllo: la risposta è il governo “tecnico”, il commissariamento da parte della Trojka dei Governi Europei in crisi finanziaria, perché divorati dai tassi di interesse da pagare alle banche e di consenso, perché non riescono a fare accettare in maniera indolore che il costo sociale della crisi si scarichi sui lavoratori, sui pensionati, sui disoccupati, sugli studenti, sulla ricerca etc. etc.

In questo momento i tecnici mostrano il vero volto, dimostrano di essere gli esecutori materiali di un vero e proprio programma politico (la lettera di Draghi & Co del 5 Agosto scorso, era, in due pagine, la riedizione del programma liberista propagandato come vincente nei primi anni del terzo millennio), per l’applicazione del quale è necessaria una temporanea sospensione della democrazia. Noi pensiamo che, semplicemente, non può essere così e che le politiche di austerity e la costituzionalizzazione del pareggio di bilancio, non solo non ci portano fuori dalla crisi (anzi ne acuiscono gli effetti), ma sono socialmente e politicamente insostenibili. La politica e la democrazia devono tornare a prevalere sulla finanza.

Questo, nonostante la politica sia nella fase più acuta della sua delegittimazione dall’età Giolittiana in poi. E nonostante il Sindacato e l’istituto stesso della rappresentanza siano avvolti in questa spirale di crisi. La coalizione sociale rappresenta, secondo Noi, la risposta dal basso alla crisi delle forme di rappresentanza, una risposta che tiene conto delle contraddizioni e della complessità del quadro d’insieme, ma che non intende accettare alcuna sospensione della democrazia. Perché crediamo che la democrazia possa e debba sopravvivere alla rappresentanza. La coalizione sociale è lo spazio comune in cui si confrontano tutte le soggettività che ritengono insoddisfacenti e sbagliate le politiche di austerity del Governo Monti e, prima di queste, il programma politico dettato da Draghi e Trichet con la lettera di Agosto 2011. È uno spazio sociale ampio, che abbraccia le lotte sociali e ambientali di questi mesi, il movimento referendario per la difesa dei beni comuni, la FIOM e i soggetti che si oppongono alla riforma del mercato del lavoro. Con una premessa doverosa: questo spazio sociale può essere condiviso, attraversato e praticato solo da chi non si ritiene e crede che nessuno sia, di per sé, autosufficiente.

Il nostro obiettivo non è certo quello di far deflagrare la CGIL, per far si che altri (migliori?) possano sostituirla, o riprodurre all’infinito il modello della rappresentanza con l’aspirazione di poter avere rappresentanti migliori. Più che costruire nuovi soggetti politici o sindacali, ci sembra interessante che attraverso il conflitto si generi nuova soggettività. Una soggettività che abbia la forza e la volontà di autorappresentarsi, senza delegare nessuno.

Il primo vero banco di prova della coalizione sociale è la costruzione di un percorso di opposizione alla riforma del mercato del lavoro targata Fornero. È l’elemento dirimente, quello che permette di poter tracciare una linea tra chi sta da una parte e chi sta dall’altra (ben sapendo che questo conflitto è ineludibile), tra chi ritiene che la tutela dei diritti dei lavoratori (compreso il diritto al reintegro) e il reddito minimo garantito siano due facce della stessa medaglia e chi ritiene questi due elementi inconciliabili. Tra chi assume che la democrazia, la libertà sindacale, il diritto di auto organizzarsi sul luogo di lavoro siano un valore e chi ritiene che il lavoro sia una merce. Se si condividono queste premesse, il piano della ricomposizione sociale è già avviato. Tutto il resto è una mera conseguenza.

Compreso lo sciopero, generale o categoriale (non ci si può fermare al dato formale) che sia, e il modo in cui questo deve essere fatto: lo sciopero che, in una dimensione che coinvolge anche chi non lavora, non può ricondursi alle forme classiche. In questo un momento non si può pensare che le politiche della Troika, volte a destrutturare i diritti dei lavoratori, siano contrastate dall’astensione da un lavoro che non c’è. Non può essere il solito stanco rituale, con annesso balletto di cifre e relativa conta. Deve essere uno sciopero che superi il concetto stesso di sciopero, perché coinvolge anche chi è precario o non lavora. Deve essere efficace, vero, reale, territoriale che blocchi il paese e il governo tecnico che tiene il paese stesso in ostaggio. Uno sciopero che incide, perché attraversa le condizioni materiali che si vivono nei diversi territori. Non ci sono alchimie organizzative, né scorciatoie, questa questione non si elude. Compreso l’obiettivo di questa mobilitazione, che non può che essere di fermare il Governo Monti.

Con lo sguardo rivolto a Francoforte, sapendo bene che il quadro d’insieme si traccia lì, che lì si decide una fetta importante del nostro futuro. Sapendo bene che la complessità delle questioni affrontate ci pone la questione che le forme di sfruttamento che il capitale impone tanto al lavoro e ai lavoratori, quanto all’ambiente, ai beni e alle risorse comuni possono essere efficacemente affrontate solo in una dimensione territoriale che sia capace di coinvolgere anche i nodi della distribuzione (mettendo in crisi un sistema che si regge, in una fase di sovrapproduzione, soprattutto sulle gambe del just in time ed, infatti, è proprio nel cuore della distribuzione, con il meccanismo delle cooperative, che le forme di sfruttamento si fanno più aggressive) e solo se decliniamo in modo diverso le domande che poniamo, non limitando l’inchiesta al come si produce ma estendendola anche al cosa si produce, al come si redistribuisce e come si vive.

Gianni Boetto – A.D.L. Cobas Gianluca Tegoni – Lab. AQ16 Nicola Mancini – Assemblea Permanente delle Marche