Quel “choosy” e quell’agire “ da buone famiglie” che sembrano così casuali e un po’ naif

Utente: Lucaroni
31 / 10 / 2012

Quel “choosy” e quell’agire “ da buone famiglie” che sembrano così casuali e un po’ naif

L’ infelice dichiarazione della Fornero nel consigliare ai giovani ad essere meno “choosy” nella scelta del lavoro, può sembrare l’uscita azzardata e un po’ ingenua di una tecnica. La verità è che dietro quell’espressione, economicamente parlando, c’è molto di più di una semplice uscita infelice, che bisogna approfondire andando oltre la satira che si è scatenata su internet (e che alle volte, anzi troppe volte, ci basta come opposizione!). Così come le raccomandazioni pacate e di rigore del Tecnico per eccellenza sul gestire i bilanci dello stato come il buon padre di famiglia (al festival della famiglia, grazie papà!) e visto che siamo una massa di inetti non pensanti e ladri nell’indole (ecco il ruolo dei mass media) necessariamente dobbiamo fare sacrifici per risanare lo stato delle nostre finanze.
Ma in questa sede ci occuperemo solo della nostra piangente mamma Fornero.
E allora facciamo che lasciamo tutta questa massa di bugie e insulti gratuiti alla nostra intelligenza, e, rifiutando il nostro Tecnico padre di famiglia che ci vuole tanto bene insieme allo zio Draghi in BCE, apriamo i libri, leggiamo le dispense di economisti non mainstream (senza le luci della ribalta di tutta una serie di economistar che scrivono poco, o scrivono sempre uguale, ma parlano tanto in pubblico e spuntati come funghi in questo periodo!) che da anni e anni scrivono contro la teoria neoclassica della distribuzione del reddito e della crescita (cominciamo con l’andare al nocciolo del problema e a prendere confidenza con le parole) e capiamo perché la disoccupazione è necessaria e chi se ne giova. Il concetto alla base del mantenere una fascia di disoccupati è molto semplice e facilmente comprensibile anche per chi non ha dimistichezza con studi economici. Per far questo ci riferiamo all’immagine utilizzata dal prof. Fabio Petri, dell’Università degli studi di Siena, il quale afferma che la ragione per cui la proprietà privata dei mezzi di produzione frutta un reddito è fondamentalmente simile alla ragione per cui il controllo dell'accesso alla terra fruttava un reddito ai signori feudali. Il monopolio collettivo della terra (e delle armi) da parte dei signori feudali permetteva loro di esigere da coloni e servi una parte del prodotto del loro lavoro in cambio del diritto a trarre la sussistenza dalla terra; analogamente nel capitalismo il lavoratore o accetta di ricevere un salario che lascia ai proprietari dei mezzi di produzione parte del prodotto, o non può produrre, per via della necessità di possedere già capitale per avere accesso ai mezzi di produzione, il che si traduce in un monopolio collettivo dei capitalisti sulla possibilità di produrre. Ma nel capitalismo, specifica Petri, la cosa è resa meno trasparente per via della mancanza di esplicita coercizione: al contrario del servo della gleba, legato per nascita alla terra, il proletario è teoricamente libero di accettare o rifiutare di lavorare per un capitalista; ma se non accetta, corre il rischio di fare la fame, rischio mantenuto dall’esistenza di disoccupazione, che la classe dei capitalisti si preoccupa di ricreare con interventi governativi quando il funzionamento spontaneo del mercato non basta. Come il signore feudale è costretto ad alleggerire il prelievo di lavoro o di prodotto sui servi della gleba quando questi diventano più minacciosi (magari per via di un predicatore che risveglia la loro indignazione), così i rapporti di forza tra capitalisti e lavoratori cambiano a seconda della disoccupazione, e della esasperazione e unità dei lavoratori.1 Coalizioni tra lavoratori possono impedire al salario di diminuire in presenza di disoccupazione, e impedire così che la disoccupazione venga assorbita: la disoccupazione sarebbe allora colpa degli stessi lavoratori. E si apre la strada all’argomento alla Friedman che se i disoccupati fossero involontari (cioè disposti a lavorare a un salario inferiore a quello corrente), essi troverebbero il modo di manifestare la loro disponibilità a lavorare a un salario inferiore a quello di mercato (choosy!), i sindacati non riuscirebbero a impedire una diminuzione dei salari, e dunque la disoccupazione (in eccesso di quella frizionale inevitabile) deve essere necessariamente volontaria se non fa diminuire i salari: argomento usato per sostenere che la disoccupazione osservata è o frizionale, o una libera scelta dei lavoratori che preferiscono continuare a cercare occasioni di impiego a un salario più elevato di quello di mercato (figli degeneri ed indisciplinati!!).
Non è facile spiegarsi tale posizione: un più elevato livello della produzione e dell’occupazione è favorevole infatti non soltanto ai lavoratori ma anche ai capitalisti, poiché i loro profitti si accrescono. D’altra parte la politica di pieno impiego, basata sulle spese statali finanziate in deficit, non incide negativamente sui profitti in quanto non richiede l’istituzione di nuove imposte (cioè il “cattivo” padre di famiglia che si preoccupa di sfamare i suoi figli al posto di affamarli e punirli).
Arriviamo così alle argomentazioni di Kalecki e degli aspetti politici del pieno impiego tramite l’espansione della spesa pubblica finanziata col debito pubblico2. L’avversione del grande capitale al mantenimento del pieno impiego tramite le spese statali ha a questo proposito un’importanza fondamentale. Perché i capitani d’industria (i cugini ricchi) non accolgono con gioia la “ripresa artificiale” che lo Stato offre loro? Perché il nostro caro papà-tecnico Monti ci costringe a manovre “lacrime e sangue” senza intervenire in deficit a finanziare il pieno impiego per la ripresa!?
Le ragioni dell’opposizione dei cugini capitalisti ( e dei tecnici e delle banche e di chi fa esclusivamente il loro gioco) al pieno impiego realizzato dal governo tramite la spesa pubblica vengono suddivise da Kalecki in tre categorie: 1) l’avversione all’ingerenza dello Stato nella questione dell’occupazione in genere (problema che già ci siamo tolti sputando, grazie a nonno Napolitano, sulla democrazia e la libera scelta di chi ci deve governare); 2) l’avversione nei confronti della direzione delle spese pubbliche ( come gli investimenti pubblici e le sovvenzioni del consumo, molto meglio quelli ai privatissimi - ci ricordano i cari cugini Agnelli!); 3) l’avversione alle trasformazioni sociali e politiche derivanti dal mantenimento costante del pieno impiego.
Quello che conta primariamente per il capitale non è però l'ammontare dei profitti, bensì il saggio del profitto. E qui cari fratelli e sorelle mettete attenzione. Il singolo capitalista, se sufficientemente abile o fortunato, può sempre assicurarsi maggiori profitti ampliando il suo capitale a spese di altri. Quel che conta per lui, come componente di una classe, è l’ammontare di profitti che egli può trarre da un capitale dato vale a dire, il saggio del profitto ¾ proprio come gli interessi che la banca offre su un deposito bancario sono significativi per il depositante soprattutto quando confrontati con il capitale depositato, vale a dire calcolando il saggio di interesse. Noi sappiamo dalla teoria economica che quel saggio di profitto diminuirà sempre quando il salario reale aumenta, tradotto si intende che un aumento dei salari, associato con politiche di pieno impiego, provoca un saggio del profitto minore di quello altrimenti ottenibile, c’è quindi un conflitto e non una coincidenza di interessi, qualunque possa poi essere l’effetto di alti salari sull’ammontare della produzione complessiva.
Nel sistema del laissez faire il livello dell’occupazione dipende in larga misura dalla così detta atmosfera di fiducia ( e noi dopo un ventennio di suicidio antropologico dietro a un pagliaccio la fiducia l’abbiamo persa sia in noi stessi che nei confronti del mondo esterno). Quando questa si deteriora, gli investimenti si riducono, cosa che porta a un declino della produzione e dell’occupazione: questo assicura ai capitalisti un controllo automatico sulla politica governativa. Ma una volta che il governo abbia imparato ad accrescere artificialmente l’occupazione tramite le proprie spese, allora tale “apparato di controllo” perde la sua efficacia, “pericolo” che vogliamo evitare, cari fratelli, con l’introduzione in Costituzione del pareggio di bilancio: per questo il deficit del bilancio, necessario per condurre l’intervento statale, deve venir considerato come pericoloso.
Definita la base concettuale andiamo a vedere come si realizza tutto questo, e ringraziamo un altro gran bel componente di questa famiglia saggia e virtuosa che si chiama zio Friedman e il suo fantasma dell’inflazione. Paolo Barnard ci chiarisce in maniera precisa il concetto: Friedman lavorò sulla minaccia dell’inflazione e la rese ancora più inquietante3. Prese in considerazione la teoria della Curva di Phillip che sostiene che se si abbassa la disoccupazione si ottiene un aumento proporzionale dell’inflazione (più stipendi che circolano, più soldi nel sistema=inflazione). Friedman affermò che quella di Phillip era una predizione troppo benigna: l’inflazione non solo sarebbe seguita ad un aumento di occupazione, ma sarebbe aumentata in proporzione molto più elevata col rischio di finire fuori controllo. Questa sua idea apparve catastrofica ai politici in primis nonna Merkel che già si vedeva a comprare il pane con una cariola di contanti: Friedman di conseguenza sentenziò che un ‘naturale’ livello di disoccupazione doveva necessariamente esistere per evitare tale disastro. Ma anche con la piena occupazione l’inflazione si tiene sotto controllo proprio per l’aumento della produttività che la maggior forza lavoro crea.
Pertanto, riassumendo questo bel “pranzo di famiglia”: sul tavolo c’è la prima portata ovvero la disoccupazione, siamo noi che non vogliamo “mangiare” altrimenti a salari più bassi questa verrebbe assorbita ( be choosy!), cugini capitalisti e genitori tecnici, che hanno gli stessi interessi, amano questa “portata” che garantisce, ai primi, un più alto saggio di profitto, e ai secondi la demonizzazione dell’intervento statale in deficit consegnandoci così in mano ai mercati.
Certo che, cari fratelli e sorelle precari e senza alcun ammortizzatore sociale ( che si rischia di acquisire fiducia, coalizzarsi seriamente e smontare tutto questo bell’impianto), con una “famiglia” del genere si poteva anche crescere orfani!