Se la privatizzazione della sanità diventa omicidio

Quando la crisi "shokkante" diventa Rivolta, ovvero la rabbia di Mazzarino

di Corto Eismero

27 / 8 / 2009

Siamo in Sicilia, a Mazzarino in provincia di Caltanissetta. Siamo in un paese qualunque, uno dei tanti dispersi in quella terra. Siamo nel pieno di una rivolta.

Giovedì 20 agosto, sulla strada un ragazzo fa un incidente con il motorino e perde la gamba. I soccorsi lo portano nella azienda ospedaliera di Mazzarino, il “Santo Stefano”. All'arrivo, con una grave emorragia in atto, i medici comunicano placidamente che lì non possono fare niente, perchè la sala operatoria è chiusa per mancanza di personale. L'ambulanza allora riparte, e si allontana nella speranza di trovare un ospedale dove ricoverare il ragazzo prima che sia troppo tardi.. Così non è, e all'arrivo nel nuovo ospedale – il “Sant'Elia” di Caltanissetta - il ragazzo con la gamba tranciata muore, probabilmente per la grave emorragia che oramai persisteva da troppo tempo senza cure adeguate.

L’ospedale «Santo Stefano» del paesino nisseno rientra fra quelli "soppressi" dal piano di riordino della Regione siciliana e da settimane è in corso un duro braccio di ferro fra gli amministratori dei comuni limitrofi e l’assessorato regionale alla sanità.

Siamo il giorno dopo. Siamo dopo il funerale del ragazzo, quando il padre si incatena all'ospedale del paese che aveva la sala operatoria chiusa. Negli occhi, una lucida disperazione, un grido di impotenza per una speranza tradita, per una certezza – quella dell'assistenza e delle cure immediate – inesistente. Dalle finestre, i suoi compaesani lo guardano. Per abitudine, ora questa storia terminerebbe, magari perchè penseremmo tutti che quelle persone sarebbero rimaste lì a guardare inermi, e dopo un po' avrebbero richiuso i battenti per tornare alla loro vita.

Non questa volta.

Dalle case, parte la ribellione. E' un grido silenzioso che esplode nella testa di tutti, è la classica goccia, o forse l'occasione. Un ragazzo, 23 anni, muore perchè non esiste la possibilità di avere un'assistenza, uno dei diritti più forti e radicati in tutta la penisola. Scendono per le strade, queste persone, magari vanno dal padre e lo liberano dalle catene che si era messo, sorridendogli con determinazione, dicendogli serenamente “ora basta, ci siamo anche noi”. E così parte la rivolta. Quel paese ora si trova sull'autostrada caltanissetta-gela, la sta occupando con i trattori, le macchine, i loro corpi. Pretendono giustizia, pretendono che i diritti vengano rispettati, pretendono che un sistema così scontato come quello sanitario funzioni veramente, che assicuri la vita piuttosto che la morte certa.

Forse, è la prima volta che si vede una cosa del genere. Eravamo abituati dalle cronache alle reazioni intransigenti, intolleranti e razziste della “folla” (quasi) manzoniana contro altri individui, oppure al silenzio invadente dell'indifferenza. Questa volta, invece, una cittadina decide di lottare, decide di riappropriarsi di ciò che gli è stato tolto e del quale si sono resi conto solamente in modo così tragico. Decide di resistere, con un atto che sembra non paragonabile alla morte di un figlio, ma che esprime tutto il disagio, la stanchezza e l'insoddisfazione. Parla della decisione comune fatta da quelle persone: quella che non esiste nessuno a cui appellarsi ancora per fare cambiare le cose. E' necessario, in prima persona, esporsi, decidere, organizzarsi, strappare ciò che si sente sia dovuto, se necessario.

Nella crisi economica, la strategia – come già detto da molti – è quella del neoliberismo shocckante. E' quella strategia che prevede il compimento del libero mercato, e che per ottenere ciò sta distruggendo i sistemi welfaristici esistenti nell'occidente. E' l'attacco generale ai diritti, alle libertà. E' la svendita dell'istruzione pubblica, la privatizzazione della sanità, l'abolizione dei diritti sindacali, la precarizzazione diffusa, nonché la creazione del clima di paura che sta spargendo il terrore in questi giorni nelle città. E' il tentativo di espropriare – nel nome del profitto – ciò che appartiene a tutti. Privatizzazione ha significato taglio ai fondi pubblici, perciò malservizi in favore delle istituzioni private che avrebbero dovuto accogliere tutti coloro che se lo sarebbero potuto permettere. Ha significato, a Mazzarino, l'impossibilità di avere del personale nell'ospedale pubblico per salvare una vita, come ci si aspetterebbe in una qualsiasi struttura sanitaria.

La rivolta di Mazzarino è un segnale bellissimo. E' un campanello di allarme per chi comanda, è una nuova alba di dignità per quel paese e per tutte e tutti. E' una rivolta spontanea nella terra della mafia, in quella terra che da decenni subisce lo sfruttamento, il degrado, l'ingiustizia sociale profonda e incontrovertibile, la corruzione, la malagestione di ogni sfera pubblica, il senso di impotenza nei confronti di tutto questo. E' la scelta incredibile del superamento di ogni forma di rappresentanza, di ogni forma di autoritarismo, di paura collettiva, è la lucidità della situazione che si vive nella crisi. La crisi della rappresentanza significa ogni giorno di più scegliere il comune, scegliere a partire da se stessi e la propria comunità i propri sentieri di vita, i propri ritmi, i propri diritti. E' il riappropriarsi della possibilità di scegliere sui propri corpi, è il desiderio di rivalsa, il sogno e la determinazione di ottenere ciò che spetta, è la difesa ad ogni costo dei beni comuni.

Nella crisi sistemica che diventa nuova governance, l'unica uscita possibile è quella di affermare e costruire un nuovo welfare, dal basso, che parta dalle esigenze e dall'attivazione diretta di chi sta subendo questi tagli, e che invece lotta contro la speculazione e la rendita, contro la privatizzazione selvaggia ma non per un nuovo stato pubblico, ma nel nome di un tentativo di creare un'istituzione del comune che preveda, ancora embrionalmente, la dignità collettiva come forma di esistenza diffusa.

A Mazzarino, come da altre parti, la crisi non la vogliono più pagare. Non importa il prezzo della lotta, importa solamente cambiare l'esistente, impedire una volta per tutte la svendita totale dei beni comuni a qualsivoglia tipo di proprietà.

Una tensione, quella rabbia, che sta lentamente strabordando, e che getta il miglior seme possibile per l'autunno che viene, un autunno durissimo eludibile solamente con un lavoro comune dal basso per vincere la crisi e chi la vuole gestire.