Parma - Il valzer del fuorisede

Il far west degli sfratti

8 / 2 / 2011

Apri gli occhi... Apri gli occhi... Apri gli occhi... 

Le palpebre serrate come saracinesche sul vuoto della frenesia compulsiva della stessa giornata sterile che si ripete identica e immutata da non so più quanto. Studio-lavoro-affitto-bollette-leggoilgiornale-devofarelaspesa-lalavatrice-devocorrereinbibliotecachealtrimentinontrovoposto-nonhotempopergliamici-sensodicolpadilagante-lafugadeicervelli-pausasigaretta-studio

E' la mia vita ed è sudicia di cose che non sono me.

Apri gli occhi... apri gli occhi... ripete ogni mattina quella voce sussurrata, impercettibile.

Chi parla? Sei Dio? - Sono il tuo senso del dovere! Certo che stupida non averci pensato prima! Già... ma dovere verso chi? A chi lo devo il mio dovere?


Ma quando è successo? Ho firmato un patto col sangue? Devo ricordare... devo ricordare prima che sia troppo tardi.

Ricorda! Ricorda!Ricorda!

Una lettera sul pavimento... Deve essere lì la risposta! Il mittente è la signora Mirella, la proprietaria dell'appartamento in cui vivo. Apro la busta: è una minaccia di sfratto.

Ho una specie di jet-lag da sogno diurno. Devo avvisare i miei coinquilini. Asfissiante senso di svuotamento. Nausea.

Dice che le sono stati segnalati dai vicini "disturbi causati da suoni e schiamazzi non consoni alla buona educazione, un continuo andirivieni notturno di persone estranee alla casa, portone della casa trovato più volte aperto." Il tutto "aggravato dalla sparizione di una bicicletta dal cortile", che "l'appartamento non è un circolo ricreativo: se volete fare musica o feste esistono i posti adatti".

La bicicletta... Ma dove la nascondo una bicicletta nel ripostiglio al terzo piano in cui sono stipata?

Il vicino si è lamentato. Ma quale vicino? Io non l'ho mai visto il vicino. Pensavo fosse una figura mitologica. Non è mai venuto a suonare alla porta. Gli avrei offerto un caffè.

Un nemico invisibile... E' l'evoluzione del concetto di Panopticon? L'idea di un guardiano invisibile che osservi tutti i prigionieri in ogni momento innesca meccanismi di autodisciplina nella mente dei detenuti.

Il tutto al modico prezzo di 300 euro al mese. Per un loculo in cui poter silenziosamente soddisfare i propri bisogni primari. Certo non si soffre di solitudine in questi loculi. Ammassati l'uno sull'altro come stracci. Devo correre in biblioteca, chè alle 9 non si trova più posto.

In nord Europa gli studenti vengono sovvenzionati per i loro studi. Percepiscono una sorta di stipendio. In Italia sul cranio di uno studente universitario pende come una spada di Damocle il debito nei confronti della società. Un patto mai sottoscritto.

E alla fine del mio percorso di studi c'è qualche garanzia? Meno male che non ho ancora disfatto la valigia, così sono pronta per andare a cercare fortuna all'estero.

Italia mon amour: quest'Italia richiede prove d'amore sempre più dure. questa madre assente, questa puttana stanca. Non ci provano nemmeno a trattenerci, a cullarci con qualche promessa.

Siamo la "generazione zero", dicono. I figli di mezzo della storia. Schiacciati dal peso di un passato di aberrazioni e dall'inconsistenza di un futuro indisponibile. E questo vortice a spirale stritola anche il presente.

L'affitto, le tasse universitarie, le spese per le bollette... Più che qualcosa di economico è un'impostazione mentale. Schiavitù rateizzata.

La vita con le sue responsabilità diventa un insieme di atti forzati e vuoti che producono giusto il misero risultato di permetterti di campare. Né più né meno. Senza crescita di alcun tipo.

Le salme incartapecorite che siedono in parlamento ci chiamano fannulloni, gioventù bruciata. Certo! L'hanno messa a ferro e fuoco la nostra gioventù.

Impugno la penna.

"Gentile signora Mirella,

  le notifichiamo con la presente l'avvenuto recapito della sua lettera di rimostranze, e per motivi di chiarezza e trasparenza preferiamo anche noi porre per iscritto le nostre risposte.

Non nascondiamo la nostra sorpresa dinanzi al roveto di malignità gratuite e basse insinuazioni in cui siamo stati gettati.

In primo luogo desideriamo porre l'attenzione sul concetto di abitazione che in questo sistema di abusi continuamente perpetrati a danno dei conduttori, nella fattispecie identificabili quali studenti fuori sede, viene concepito esclusivamente come luogo in cui soddisfare i propri bisogni primari (dormire, mangiare, lavarsi) e tutt'al più praticare l'attività formativa sempre a patto che non rechi troppo disturbo alla popolazione circostante.

Il che significa ricondurre la casa ad una mera "facilitazione logistica": in sostanza, un luogo in cui il conduttore vive al riparo dalle intemperie.

A questo punto viene spontaneo chiedersi dove sia il limite tra il concetto di casa e quello di caserma. O, volendo elaborare un attimo il concetto, Foucault scriveva «E, se la prigione assomiglia agli ospedali, alle fabbriche, alle scuole, alle caserme, come può meravigliare che tutte queste assomiglino alle prigioni?». Ci chiediamo se dobbiamo iniziare ad annoverare anche la casa nelle categorie elencate da Foucault in quanto assimilabili al concetto di prigione.

Ovviamente tutto il discorso è da inquadrare nei vincoli contrattuali. Ma ci chiediamo se sia da considerarsi reato il fatto di vivere la propria abitazione anche come luogo ricreativo. Se invitiamo altra gente a casa, deve essere esclusivamente per motivi di studio? Ovvero non è più possibile concepire la possibilità di pranzare insieme ad amici esterni all'appartamento? Se vogliamo ascoltare della musica, o esercitarci a suonare qualche strumento, (ovviamente non in orari notturni), commettiamo qualche grave infrazione? E allora sorge spontaneo chiedere al locatore di trasporre la nostra situazione sulla sua. Anche a voi sono negate queste possibilità? Tutte queste restrizioni sono applicabili anche ai locatori? Se così non è, allora qual è il passaggio giuridico o puramente logico che giustifica questa applicazione del meccanismo di divieto da parte del locatore verso il conduttore?

La domanda non vuole assumere connotazioni polemiche o capziose. Le chiediamo solo di mettersi nei nostri panni. Viviamo almeno a 800 Km lontani dai nostri affetti. Possiamo ricongiungerci alla nostra famiglia, se va bene, solo 3 volte all'anno per periodi brevi. Possibile che solo in questi periodi abbiamo diritto a sentirci a casa? Dobbiamo concepire le nostre vite come una lenta danza tribale, in cui in fila indiana compiamo azioni sincrone e coordinate per allinearci alle esigenze del condominio? O godiamo ancora di qualche forma di libera espressione dei nostri bisogni e delle nostre inclinazioni ed interessi?

Soprassediamo sulle ridicole rimostranze effettuate in passato sulla base delle lamentele del vicinato per l'andirivieni nelle scale nelle ore notturne. Non si tratta di andirivieni, ma del rientro dal lavoro di uno dei locatori che purtroppo, ad oggi, non ha ancora sviluppato il potere della levitazione. Pertanto per il momento si vede costretta a recare questo immane disturbo al condominio con l'inconsulto vezzo di usare le scale per raggiungere il terzo piano.

Soprassediamo sui concetti espressi sopra in risposta ai punti della sua lettera che recitano :

  • usare l'appartamento come abitazione (cui si collega lo sviluppo del concetto di abitazione espresso sopra)

  • non produrre rumori molesti e usare strumenti musicali in nessun caso, tenere basso il volume di tv e radio (che poi: è davvero un dato così oggettivo il concetto di rumore molesto?)

  • ricevere eventuali amici principalmente per motivi di studio e comunque in orari consoni alla buona educazione limitando il più possibile l'ingresso di estranei. Domanda: "perchè non andate voi a casa loro?". (Questo punto a nostro parere rappresenta il manifesto avanguardista del perbenismo borghese che affonda le sue radici nello strangolamento delle proprie specificità e dei propri interessi per il trionfo della buona educazione (definita da chi?) Quando è successo? Quando è stata stabilita l'equipollenza buona educazione = isolamento sociale? O peggio ancora: buona educazione = limitazione della propria rete sociale all'interno di spazi appositamente adibiti? Ma che mondo è diventato questo? E soprattutto vorremmo dei chiarimenti sulla sua concezione di "estraneo". La gente che attraversa le stanze dell'appartamento in locazione non è a noi estranea. Dovremmo forse passare al vaglio della sua approvazione chiunque decidiamo di frequentare? )

Soprassediamo anche sulla sua inclinazione impropria ad attribuire il furto di una bicicletta nel cortile a noi per qualche arcano sillogismo secondo cui per il semplice fatto di rientrare nella categoria degli studenti, con l'aggravante di essere fuori sede, e per giunta meridionali (ha idea di quante volte in fase di ricerca dell'appartamento mi sono sentita dire "di dove siete? […] No, preferiamo non affittare ai terroni") siamo immediatamente imputati per qualsiasi misfatto o irregolarità che si manifesti nel condominio.

Insomma, soprassedendo su tutti questi punti risulta chiaro che lei è nella piena ragione, e che non abbiamo davvero nessun appiglio per poterci discolpare dal contenuto della sua lettera. E allora riconosciamo il nostro errore (di essere studenti fuori sede, e nel contempo anche lavoratori notturni), e le porgiamo umilmente le nostre più sentite scuse."