ONDA ANOMALA 2.0 ovvero Istituzioni di Autogestione e di Movimento

documento politico dall'Assemblea di Medicina della Sapienza

16 / 11 / 2009

Alle Assemblee di facoltà,

agli studenti e alle studentesse,

ai giovani precari dell'università

Fabbriche del Sapere. La nuova riforma approvata dalla Gelmini parla chiaro. L'attacco strategico ai nodi che, nelle metropoli, producono conoscenza – inscritti dentro al bologna process – è approdato a una svolta. Una riforma ben peggiore della 133, che l'altr'anno è stata contestata da milioni di persone per le strade: infatti, questo ddl va all'attacco tenendo però ben in vista argomenti tratti dalle contestazioni dello scorso anno, come la richiesta di farla finita con baronie e raccomandazioni, tramite la messa in pratica della famigerata “meritocrazia”. Una riforma che attenta direttamente all'idea stessa di università, già martoriata da anni di legislazioni di destra e sinistra, trasformando questi territori di tutti in aziende di profitto cognitivo, cioè di precarizzazione di massa e di propedeuticità dei saperi ai fini della produzione di ricchezza per pochi.

L'eliminazione del ruolo del ricercatore, il nuovissimo ordinamento, il taglio effettuato con la 133, lo stravolgimento della governance universitaria in favore della creazione di un consiglio di amministrazione onnipotente formato per il 40% da “esterni” (cioè le aziende che finanzieranno, privatamente, l'università nei settori che più riterranno redditizi), la concretizzazione del concetto di merito nei percorsi di alta formazione, la sparizione e l'abbattimento dell'university welfare, la pretesa di accelerare i tempi di apprendimento, permettono al governo di compiere un processo avviato molti anni fa. Le università, da sedi della produzione di conoscenza e di sviluppo, diventano vere e proprie fabbriche di saperi, e come tutte le fabbriche, produrranno ciò che risponde alla domanda. Aziende che – con la grande felicità di confindustria - “razionalizzeranno” il flusso di conoscenza, eliminando ciò che non produce abbastanza ricchezza, e investendo su ciò che può produrla. Finalmente, il santuario del nuovo lavoro vivo viene edificato in tutta la sua maestà: le Fabbriche del Sapere sono finalmente compiute, per la gioia di un capitalismo oramai sempre più parassitario.

Un ddl come la 133 lo scorso anno provocò una “resistenza innaturale”, una mobilitazione di massa gigantesca che ha saputo restituire la parola ai soggetti sociali che stavano per pagare i tagli alla formazione. L'Onda Anomala ha inondato le strade e le piazze, praticando il blocco della circolazione di merci come strumento necessario per paralizzare i flussi di produzione nella città-fabbrica.

La potenza dell'Onda non si è arrestata alla semplice contestazione dell'ennesima legge sull'istruzione. Le Università si sono interrogate su come, direttamente, si potesse costruire l'altra università, quella del comune e dell'autogestione. L'ha fatto immaginandosi un nuovo welfare, necessario per sabotare uno dei dispositivi di precarizzazione, cioè l'eliminazione di ogni diritto – compreso quello allo studio. L'ha fatto costruendo giorno per giorno spazi di autogestione dentro le facoltà, producendo un modo nuovo di stare insieme, di creare conflitto, di agire vertenze per migliorare le proprie condizioni di vita.

L'Onda l'anno dopo. Questo nuovo attacco richiede una forma adeguata di risposta da parte delle facoltà. Una risposta che sia capace di essere all'altezza, o che quantomeno abbia l'aspirazione di esserlo. Abbiamo discusso molto di questo nodo, interrogandoci sulla situazione attuale nell'università e sulla frammentazione clonale di gruppi e gruppettini che si sono posti l'interrogativo sul dopo-Onda ma che non hanno trovato una risposta soddisfacente. Nella nostra esperienza, crediamo che la risposta a questa ricerca stia – di nuovo – nelle assemblee di facoltà. Assemblee di facoltà che siano spazi pubblici di attraversamento, nuovi strumenti per una condizione sociale cambiata, e non più disposta a riconoscersi in ideologie stantie e preconfezionate. Abbiamo parlato a lungo della crisi della sinistra, ma per capirla sino in fondo è necessario fare proprio, sino alle estreme conseguenze, il suo significato più profondo, cioè valido (sic!) tanto più per le forme organizzative che i movimenti si sono dati in fasi precedenti. L'assemblea di facoltà supera questo limite, offrendo a tutti uno spazio di discussione “a portata di mano”, che deve avere la capacità di interrogarsi e sapersi mettere in discussione, senza mai dare niente per scontato, che sappia costruire moltiplicazione e riproduzione sui bisogni materiali, piuttosto che su presunte affinità ideologiche a monte. Uno spazio che non abbia un nome e non senta il “peso delle tradizioni”, perchè queste sono limiti, e l'assemblea non può e non deve averne. Soprattutto, un'assemblea di facoltà che sperimenta concretamente nuove forme di democrazia, cioè l'orizzontalità più assoluta e la cooperazione, piuttosto che l'imposizione e l'elitarizzazione.

Le mobilitazioni dell'anno scorso ci hanno insegnato una cosa: lo strumento principale per il quale si è riusciti ad essere tanti a lottare è stata la spregiudicatezza e la capacità di re-inventarsi forme e pratiche, massificandole sino all'inverosimile, interrogandosi su il “che fare” non a partire dalle tradizioni di lotta detenute da maestri e trasmesse a qualche “base” che deve imparare ed eseguire, bensì a partire dal fare esprimere direttamente il soggetto sociale in conflitto, senza soverchiarlo.

La dimostrazione che quest'intuizione ha funzionato sono state le occupazioni delle facoltà, esperienze cruciali e gigantesche, completamente reinventate e di fatti partecipatissime; piuttosto che i cortei-fiume dentro la città lunghi per ore.

Per ottenere tutto ciò – di nuovo – è necessario capire come il frazionamento di cui parlavamo prima (la frammentazione clonale per gruppi dentro l'università) è forse la risposta peggiore, nonché lo strumento più idiota, per avere la capacità di replicare una dinamica di movimento. Se la chiave del successo è il superamento delle vecchie forme del “fare movimento”, cadere in rivisitazioni o abbellimenti di questa dimensione porta direttamente alla morte per anossia cerebrale, che ciò avvenga per creazione di nuovi contenitori politici nominalmente di tutti ma nei fatti di pochissimi, piuttosto che con l'apertura di percorsi esplicitamente e volontariamente “gruppettari”.

Crediamo necessario dotarci al più presto di un'assemblea d'ateneo, che sappia ricoordinare quelle facoltà che stanno lavorando oggi a creare un'altra università. Un'assemblea d'ateneo perchè questo è l'unico spazio pubblico attraversabile, capace a creare – nella difficoltà spesso della sintesi – uno strumento agile e che agisca per produrre movimento.

Uno strumento che sia espressione delle assemblee di facoltà, e che abbia la prerogativa non di supplire un'assenza in queste, ma che parta dalla volontà, già misurata volta per volta nei territori, di agire il conflitto.

Tutto il potere alle facoltà”. Abbiamo detto che questa riforma attenta direttamente ai rapporti di forza dentro l'università, nonché all'idea stessa di chi siano questi territori stessi. Infatti, il senato accademico e il Consiglio di Amministrazione vengono completamente ristrutturati, concentrando il potere nel CdA (al 40% - compresa la presidenza – esternalizzato al tessuto dell'università), e relegando al senato accademico il ruolo di orientare l'istituzione in campo formativo. Uno stravolgimento che rimette in discussione quelle forme di presunta democrazia messe in atto nelle università da decenni, da una parte spostando il baricentro del potere fuori dall'università in favore di quelle stesse persone che finanziano privatamente le facoltà, passando così ad avere non più solo un ruolo economico, ma anche uno politico-decisionale, come fosse la loro impresa. Dall'altra togliendo importanza a un ruolo studentesco, oramai sempre più complice delle istituzioni, non più richiesto.

La rappresentanza studentesca negli organi decisionali dei luoghi del sapere è stata una delle battaglie centrali delle mobilitazioni studentesche negli anni sessanta-settanta. Fu una rivendicazione vinta, che permise forme di contropotere vero dentro a quei luoghi prima solo per pochi, esercitato da masse in espansione e non disposte a cedere di un millimetro.

Trent'anni dopo, assistiamo a una crisi di rappresentanza che ha portato alla decisione per molti di partire da se stessi, riappropriandosi delle strade e delle facoltà. Crisi che però vale anche e di più a sinistra, nei movimenti. In questa crisi, qual è la proposta che gli studenti che si mobilitano avanzano in merito alla gestione dell'Università? Con quali forme del decidere ci immaginiamo l'Università dell'Autogestione? Crediamo che la risposta a queste domande stia nello slogan “tutto il potere alle facoltà”, citato molte volte l'altr'anno, ma al quale non abbiamo mai dato sostanza materiale. Pensiamo che la risposta a queste domande siano le forme di autorganizzazione che ci siamo dati in questo anno, cioè la sperimentazione concreta di orizzontalità e di apertura, di partecipazione e moltiplicazione. Questo strumento – crediamo – sia quello da affinare affinché possa essere la nostra proposta concreta per l'Università, la nuova istituzione del comune che dal basso dobbiamo ottenere e imporre. Assemblee di studenti, professori, ricercatori, cioè di coloro che producono conoscenza-profitto e che oggi sono i soggetti del parassitismo del capitale nei confronti di chi produce ricchezza nelle Università.

Vogliamo tutto. Assistiamo allo sciacallaggio della ricchezza prodotta in comune dentro l'università. Il diritto allo studio viene lentamente disgregato, affermando il sano principio liberista per cui si istruisce solamente chi decide di accettare il ritmo della produzione immateriale a pieno. Del resto, l'università diventa un'azienda privata, per cui gli “sprechi” (studenti fuori corso, ad esempio) devono essere eliminati perchè non produttivi nel grande mercato della conoscenza. Ancora una volta, i saperi – frutto di un flusso di conoscenze che cooperano sinergicamente, impossibile da quantificare con un criterio oggettivo – vengono quantizzati nuovamente, per ottenere il miglior rendimento possibile per le grandi aziende italiane e quelle multinazionali. Davanti a tutto questo, l'università non è più un bene di tutti e accessibile a chiunque, ma un lavoro come tanti da doversi conquistare con le unghie e con i denti (l'uso dei test d'ingresso dilaga in tutte le facoltà). Un lavoro – come vuole il capitale in questo momento – fortemente precarizzato, per cui privo di diritti e di coperture sociali che mantengano degli standard per tutti. Le borse di assegnazione per le case dello studente svaniscono nel nulla, e gli stessi edifici nuovi costruiti vengono edificati come centri di accoglienza, con guardie all'ingresso, identificazioni per entrare in casa, mancanza totale di spazi di socialità, regole di vita allucinanti.

Oggi più che mai, è necessario capire come la battaglia per un nuovo welfare sia centrale nel nostro agire. Nuovo welfare significa un nuovo diritto allo studio per tutti, diritto alla casa, investimenti nelle borse di collaborazione e nuove forme di protezione sociale da mettere in campo per garantire a tutti quanti l'accessibilità all'università. Parliamo di nuove forme perchè dobbiamo immaginare insieme una nuova serie di diritti per i precari, che tengano conto della loro condizione e che non riproponga modelli fondati su forme lavorative che ci spaventano, bensì che sappia interagire con quello che vogliamo. Nuovi diritti perché è solo abbordando, come pirati, chi sfrutta “derubandolo” di un po' di ricchezza, che sarà possibile migliorare le nostre condizioni. Sarà solo, quindi, aprendo una nuova stagione di diritti che potremo lavorare concretamente alla costruzione di una nuova fase di conflittualità alta che abbia la possibilità di essere di massa, di incidere e di essere determinante.

Nuovo Welfare, allora, come rivendicazione del possibile, come vera e propria vertenza sui bisogni materiali di tutti, a partire proprio dalla condizione precaria che ci è inflitta e nella quale siamo costretti a vivere. Per fare questo crediamo sia importante iniziare a sperimentare concretamente la generalizzazione del conflitto nella metropoli, in maniera tale – però – non da sommare le “debolezze” con chi la crisi non la vuole pagare, bensì costruendo grandi vertenze che possano essere sperimentate a partire dal proprio territorio, dalla propria condizione materiale.

Che Fare?”. Abbiamo bisogno di coordinarci per avere una marcia in più che sappia creare quella spinta, di ragionamento e di azione, continuata, che ci dia la possibilità concreta di riprendere a muoverci.

Questo documento ha l'ambizione di porre un interrogativo alle altre assemblee di facoltà, chiaro e inequivocabile: come resistiamo e torniamo all'attacco in questo nuovo saccheggio e devastazione dell'ennesimo bene comune?

Vorremo porre questa domanda a tutti, affinché possa generare la possibilità – o meno – di ricostruire un'assemblea d'ateneo capace di riprendere i lavori e di fare i conti – se necessario – con le difficoltà che abbiamo oggi.

Abbiamo ragionato su una proposta di mobilitazione che possa avere la capacità di “stare sulla notizia” e al contempo di creare una risorsa in più di moltiplicazione.

Ci siamo immaginati di lanciare una settimana di mobilitazione dell'ateneo, che ci veda organizzare assemblee di facoltà contemporaneamente in tutto l'ateneo, che discutano la riforma e capiscano come rilanciare una risposta all'altezza o che abbia quest'ambizione. La proposta è quella di andare all'attacco contro uno dei Signori di questo sistema-azienda, uno dei difensori più fedeli, cioè il rettore Frati. Unendo, a questo, la capacità di sperimentare una nuova forma di università a partire dalla riappropriazione temporanea di uno spazio universitario, che per quel periodo diventi “La Libera Facoltà delle Scienze Precarie” e che produca 24h seminari di autoformazione, assemblee, presentazioni, cinema, musica ed altro.

E' arrivato il momento di decidere da che parte stare, in maniera intelligente e radicale.

Per l'Università del Comune, verso l'Onda Anomala 2.0!

Diritti e Welfare per tutt*!

Assemblea di Medicina in Mobilitazione