Che Milano fosse una città aperta a personalità, culture e tradizioni
diverse era un dato di fatto, evidente anche per l’aria cosmopolita che
si respira arrivando nella ressa caotica della Stazione Centrale,
sedendosi in metro e incontrando volti e vite di ogni tipo, o anche
passeggiando in centro, in piazza Duomo o nei Navigli, dove la città si
fa più giovane. Milano è sempre stata per me un crocevia di storie, di
esistenze e di eventi unici, ma questa volta volevo vederla con occhi
nuovi, con uno sguardo filtrato da quei colori arcobaleno che
rappresentano simbolicamente il mondo lgbt, e più genericamente le
Persone che si battono per diritti civili uguali per tutti, senza
distinzione di nessun tipo.
Già al mio arrivo a Piazza Lima (dove vi
era la continuazione del corteo che sarebbe partito da piazza Loreto)
uscendo dagli sportelli della metropolitana, ero entrata nel clima della
giornata, vedendo alcune Drag queen molto appariscenti e sempre
sorridenti, pronte a dare vivacità e visibilità a quella che sarebbe
stata una sfilata ricca di colori, musica e sorrisi. Già in quel
frangente mi ero soffermata sull’osservazione delle reazioni della
gente, delle persone circostanti. Non tutti si trovavano lì per il Pride
ed era evidente soprattutto nei volti di chi guardava quelle Drag queen
come fossero alieni, quasi con un certo disprezzo. Penso che questo sia
esplicativo di un certo atteggiamento di difesa che ci contraddistingue
come esseri umani: la diversità fa sempre paura, quando non la si
conosce, quando l’ignoranza non permette di entrare in contatto con quel
tipo particolare di normalità.
E forse è proprio questo che impedisce all’Italia di progredire e diventare un Paese civile a livello di molti altri, europei e non, che sono distanti anni luce rispetto alle rozze politiche che qui cercano di aberrare, nascondere o limitare i diritti delle persone lgbt.
In seguito, giunta nella piazza, sono
venuta a contatto con una folla inimmaginabile di persone. Tanto che,
oltre a ricoprire la strada, si arrivava addirittura a toccare gli
ingressi dei negozi, in questa lunga marcia di festa e impegno che
sembrava essere funzionale a quella strada immensa.
A parte gli aspetti
carnevaleschi che spesso sono le caratteristiche che più vengono
evidenziate dai nostri mass media per definire sommariamente questo tipo
di eventi, voglio segnalare invece qualcosa che va direttamente al
cuore di questa manifestazione. Noi tutti, etero, lesbiche,
omosessuali, pansessuali, gay, transgender, in una parola Persone,
eravamo lì per trasmettere un’idea, l’idea che la diversità può essere
ricchezza e che senza diversità, senza colori, senza personalità
diverse, sarebbe un mondo grigio e piatto, sarebbe un luogo dove tutti
cercherebbero di uniformarsi agli altri, sacrificandosi e perdendo
proprio di vista lo scopo di ogni esistenza umana, ossia costruire la
propria vita essendo fedeli a se stessi, alle proprie scelte e alla
propria autenticità.
Spesso è proprio il mondo politico a voler far
diventare l’uomo moderno come “l’uomo ad una dimensione” di cui parlava
il filosofo Marcuse, e sono proprio la Politica ed il Diritto con le
proprie leggi a definire qual è il confine tra normalità e anormalità.
Nel caso delle persone omosessuali e delle coppie di fatto più in
generale è evidente che le leggi politiche italiane creino delle
situazioni di vera e propria discriminazione anche e soprattutto nei
confronti di tutti quei nuclei familiari che sono famiglie a tutti gli
effetti, ma non sono riconosciute come tali da uno stato che si
definisce laico solo sulla carta, poiché non hanno nessun tipo di
tutela.
L’immagine più bella del Pride, a mio avviso, riguarda proprio quelle famiglie omogenitoriali che sfilavano con i propri bambini, con lo slogan “è l’amore che crea una famiglia”. Al di là dell’essere favorevoli o meno al matrimonio omosessuale, ciò che la Politica dovrebbe fare è guardare alla realtà, e la realtà di queste famiglie è evidente e ben presente nella società, per cui andrebbe tutelata a prescindere dal peso soggettivo delle opinioni di ognuno.
Il
messaggio del Pride alla Politica penso sia questo: è vero che sono i
politici ad avere gli strumenti per modificare le Leggi, ma la Politica è
nata ed esiste in funzione dei cittadini e dei loro bisogni, e proprio
per questo i cittadini pretendono che uno stato -che si definisce
civile- ascolti la loro voce quando qualcosa non funziona e va cambiato.
Proprio rispetto alle famiglie arcobaleno e più in generale alle coppie
di fatto, vorrei si squarciasse quel velo di omertà e di vera e propria
xenofobia, che viene tenuto ben saldo e teso da parte di quel mondo
politico che si ostina a ignorare e non voler guardare alla realtà di
una bella parte dei cittadini che chiede solo possibilità, possibilità
di avere diritti e doveri uguali a quelli di altre famiglie che vengono
riconosciute come tali.
In conclusione mi sento in dovere di parlare
della partecipazione dei milanesi e di Milano, perché a parte gli
sguardi incontrati in metro sulle Drag queen, mi sono resa conto che
molti cittadini, invece di essere infastiditi dalla parata, la
osservavano quasi con simpatia e partecipazione, anche se questa
invadeva i loro spazi quotidiani.
Questo è il rispetto che sarebbe
bello vedere in tutti: il rispetto nei confronti di uno sciopero di
lavoratori che vogliono maggiori diritti sociali, o quello nei confronti
del corteo del pride che cerca di ottenere diritti civili, insomma il
rispetto nei confronti delle lotte altrui che possono anche non
riguardarci, ma per le quali va provata empatia. Questo è lo specchio
limpido di una società che cambia e migliora dal basso e che pretende la
Politica faccia lo stesso.
L’esempio dei cittadini milanesi e del patrocinio concesso dal neo sindaco Giuliano Pisapia al Pride fanno ben sperare per un futuro più roseo, un futuro in cui finalmente ci si renda conto che le realtà sociali non vanno represse, nascoste, o evitate, bensì accettate ed ascoltate, creando nuove legislazioni e diritti che vadano oltre l’individualità di chi li promulga.