in: Il Quotidiano della Calabria, 06 settembre 2010

Migranti qualificati in fuga da una città normale

di F.M. Pezzulli

20 / 10 / 2010

Bisogna “normalizzare” la città! Anche a Cosenza questa nuova parola d’ordine è diventata uno slogan molto gettonato da coloro i quali si trovano a gestire la macchina comunale. Mi trovavo in città pochi giorni dopo l’insediamento dell’attuale governo cittadino e fui colpito dal fatto che, più volte e in diverse sedi, il neo sindaco e vari rappresentanti della coalizione vincitrice ripetevano con ineffabile convinzione la parola magica: normalizzare. Effettivamente il passato recente aveva creato qualche sconquasso alle abitudini amministrative locali: il vecchio Mancini aveva lavorato per una Cosenza Europea, s’era fatta molta Ciroma al Centro Storico, l’Università iniziava ad accorciare le distanze con ciò che accadeva in pianura e una giovane donna, ricevuto il testimone del comando, dava segni di discontinuità rispetto ai tradizionali poteri locali. Anche l’assetto urbano era stato stravolto in pochi anni: il muro che ghettizzava via Popilia era stato abbattuto, Corso Mazzini, ormai irriconoscibile, prendeva le sembianze di isola pedonale con museo all’aperto, e cosi via: nuove piazze, strade, spazi sociali e culturali, pub, eccetera. L’idea del ritorno alla normalità suscitò in me, partito negli anni ’80, un certo abbattimento: quanta miopia in tale idea? E quanto opportunismo cinico dei nuovi eletti? Il messaggio era chiaro ed evidente: quel dinamismo sociale che aveva trasformato la città doveva essere normalizzato. Si sono abbattuti dei muri (non solo di pietra, come il caso del ripopolamento del Centro Storico – quartiere isolato da resto cittadino per oltre un trentennio – dimostra) ma non si può andare avanti su questa strada, i processi messi in moto devono essere normalizzati. Una volta si diceva: avanza la restaurazione. Ma cosa vuol dire vivere in una società normale? Forse vuol dire vivere come consuetudine vuole. E la consuetudine vuole che si viva con codici e valori ben identificabili, in grado di imporsi ai soggetti senza traumi. Questi codici e valori, sono facilmente distinguibili, “socialmente testati” potremmo dire, ci si convive da ragazzi e giovani, sono parte della cosiddetta mentalità del posto. In età adulta poi, quando si è costretti o si vuole trovare un reddito per la vita, tali valori e codici si rivelano fondamentali, fanno la differenza. Chi li condivide, o facilmente ci si adatta, seguirà dei percorsi noti, riuscirà a “localizzarsi” con difficoltà proporzionali all’influenza del network familiare o amicale al quale appartiene. Chi non ha appartenenze invece (o semplicemente non vuole affiliarsi, come ammesso da molti migranti qualificati) vede quasi azzerate le possibilità occupazionali in loco. Ben poche scelte rimangono in luoghi dove le strutture avanzate sono fortemente carenti, la più frequente, è la fuga. Durante quel soggiorno cosentino intervistai due giovani ingegneri partiti da oltre un anno, in quei giorni in città per sbrigare ultime pendenze legate al trasferimento. Walter ed Alberto sono cresciuti a pochi chilometri di distanza, quelli che ci sono tra Via Roma e Commenda, all’incrocio di Quattromiglia. Uno è ingegnere elettronico (votato all’informatica) e l’altro ingegnere informatico (votato alla biologia molecolare). Si sono laureati da due anni. Già prima dell’esame di laurea sapevano che il loro avvenire sarebbe stato costellato da altri linguaggi ed altri dialetti. Il primo è specializzando ad Harvard, dove assapora la frontiera scientifica della bioinformatica, il secondo vive tra Roma e Milano, con base Roma, alle dipendenze di una grande impresa ICT. Sia Walter che Alberto non hanno cercato lavoro a Cosenza ed alle poche proposte ricevute indirettamente hanno risposto negativamente: erano tutte cose sottopagate e senza prospettive. Per Walter ed Alberto la situazione locale non è certo stimolante: se resto qui che faccio?. Attraverso la storia di questi due ingegneri è possibile leggere la normalizzazione cosentina (ed anche i tratti dell’incredibile e straordinaria storia dell’informatica calabrese, tema che affronteremo in un altro numero del Quotidiano). Il governo “normale” sembra infatti solo una variante del consuetudinario governo clientelare. Ed il clientelismo, o meglio i gruppi di potere clientelari, tendono ad allontanare da se soggetti con desideri ed aspettative di vita adeguate alle proprie conoscenze e competenze, mentre intessono trame con coloro che sono disponibili alle leggi bronzee della clientela, a scambiare diritti per favori, a mantenere acriticamente la promessa elettorale. Ci sono tanti sud dicono i poeti e i sondaggisti; per Walter ed Alberto (e per molti altri) invece ne esiste solo uno, quello nel quale non vogliono più trattenersi, quello conosciuto da bambini e da giovani, ricostruito dai racconti familiari e dalle esperienze vicine: il sud dove riesce meglio chi è piazzato, il sud che quando hai ricevuto l’aiuto da un sovrano qualsiasi devi poi essergli fedele, nei fatti, per sempre. Ci sono davvero tanti Walter ed Alberto che con gioia partono da Cosenza ogni anno: un potenziale di sviluppo socioeconomico e culturale enorme, che reinventa la fuga delle generazioni precedenti in aereo e con il Personal Computer. Hanno scritto di loro che sono dei rivoluzionari di altri tempi (Il Corriere del Mezzogiorno del 05/08), che sono artefici di una rivoluzione silenziosa ed indicativi della carenza di classe dirigente (su questo giornale del 06 e 08/08), ma anche che favoriscono il sostanziale protrarsi della questione meridionale (Il Mattino del 26/10/2009) e la mancata sovversione dell’ordine delle cose meridionali (Il Quotidiano di Puglia del 14/06). Non saprei, ma è sicuramente importante decifrare il suggerimento politico della loro fuga che, probabilmente, consiste nel replicare la fuga dentro il Mezzogiorno, sottrarsi ai poteri locali come scelta etica, usare l’estraneità ed indisponibilità verso i compromessi clientelari (con i poteri locali e con chi ne riproduce consciamente o meno il dominio) come criterio di lotta politica, contro ed oltre le attuali politiche di normalizzazione. Un movimento di estranei per una nuova vitalità politica cittadina.