La Taranto degli Ultras

Il movimento ultras dentro le contraddizioni della città

13 / 9 / 2010

Che l'Italia sia il paese delle emergenze mediatiche, si sa, è cosa nota.

D'altronde, è ancor più affermato che i mezzi di comunicazione rivestono un ruolo cruciale per la società contemporanea, non svolgendo solo la funzione di informare, ma influenzando e distorcendo la realtà sociale.

La sindrome da “sbatti il mostro in prima pagina”, perciò, è una costante dei media della penisola, con un bersaglio variabile a seconda delle campagne elettorali e delle paure da agitare.

Tra le molteplici e fantomatiche emergenze che vengono usate per distogliere l'attenzione dell'opinione pubblica dai reali problemi ha acquistato grande rilevanza quella sulle nuove norme anti-violenza che regolano il mondo del calcio.

Un dibattito che ha assunto un carattere nazionale dopo la protesta degli ultras atalantini durante una festa della Lega Nord a cui partecipava il ministro dell'interno Maroni, principale artefice dell'introduzione della tessera del tifoso, ma che alcuni gruppi organizzati della galassia ultras già da anni pongono come nodo irrisolto.

Tra le varie realtà non possiamo non citare la tifoseria del Taranto, città dove il fenomeno ultras è da sempre radicato e diffuso.

Difatti, in un territorio dalle mille contraddizioni e difficoltà, dove la disoccupazione è quattro volte la media nazionale e l'emigrazione è una piaga che tocca gran parte dei giovani, lo stadio ha sempre rappresentato un punto di aggregazione in un contesto dove quest'ultima è monopolizzata solo da locali commerciali e sale da biliardo.

Senza contare che, in una città dai contorni classisti sempre più ampi e marcati, il calcio è indiscutibilmente l'unico ambiente dove i differenti livelli di istruzione e di composizione sociale si annullano.

Non è inusuale trovare in uno stesso gruppo ultras universitari ed operai metalmeccanici, abitanti dei quartieri popolari e delle eleganti vie del Borgo, padri di famiglia piuttosto che studenti medi.

Tutti uniti da un'unica grande passione: lo stadio, i colori sociali e l'attitudine alla ribellione e al non piegarsi al sistema che vorrebbe trasformare il loro calcio, sinonimo di partecipazione, in quello moderno che tutte le domeniche, dalla propria curva, contestano a gran voce.

Ma quando in campo non ci sono solo passioni e spirito di amicizia, ma anche voglia di anticonformismo, la mannaia della repressione è sempre dietro l'angolo.

Nella città in cui microcriminalità, morti bianche e corruzione delle classi dirigenti sono fenomeni ormai pluridecennali, le forze dell'ordine hanno concentrato gran parte delle loro energie nella cancellazione di ogni traccia apparente di aggregazione da stadio, con metodi repressivi che persino in un paese non certo totalmente democratico come il nostro susciterebbero sdegno se avessero eco su stampa e mezzi di comunicazione.

Ma, si sa, gli ultras non finiscono in prima pagina perché vengono schedati, intercettati e mandati sotto processo con capi d'imputazione che farebbero impallidire anche un clan camorristico di Casal Principe.

E' curioso notare come una città dove l'illegalità, quella vera, concentrata nei palazzi del potere, abbia avuto campo libero per decenni, si siano spese forze immani per contrastare il fenomeno ultras, reo, evidentemente, di essere uno dei pochi che rifiuta l'idea ormai diffusa nel paese che ogni abuso e ogni legge illiberale debba essere accettata senza doverla contrastare con veemenza e con tutta la rabbia che un cittadino che non ama definirsi suddito dovrebbe avere.

Rabbia che una città, per  l'enorme mole di torti subiti, dovrebbe averne in corpo in quantità tale da risultare un vulcano in attesa di esplodere  ma che, invece, risulta un perenne inattivo, eccezion fatta proprio nelle dinamiche da stadio.

Esempio quanto mai lampante è stata la feroce contestazione sviluppata l'11 Novembre 2007, subito dopo la notizia dell'omicidio del tifoso della Lazio Gabriele Sandri ad opera dell'agente Luigi Spaccarotella, che ha visto gli ultras del Taranto in prima linea nella protesta nei confronti della Figc di non interrompere le partite in segno di lutto, dimostrando una incredibile disparità con ciò che è successo l'anno prima dopo la morte (per circostanze ancora tutte da chiarire) dell'ispettore Filippo Raciti a Catania, che provocò il blocco dei campionati per due settimane, con annesso bombardamento mediatico sulla questione della violenza degli stadi, diventato improvvisamente il male assoluto del paese Italia.

Protesta che gli ultras tarantini pagheranno con 10 arresti, quasi la metà di quanti se ne conteranno nella totalità delle contestazioni su scala nazionale.

La speranza del sottoscritto, cresciuto con il motto “tarantini si nasce, nella curva nord si cresce” ma che, in realtà, lo fa lontano non solo dalla sua curva, ma dalla terra natia perché trasformata in un deserto culturale ed occupazionale, che tale rabbia si possa presto incanalare in ben altri contesti.

Pensare che quella che una volta era la capitale della Magna Grecia ora lo sia diventata del degrado ambientale e politico, non può a lungo lasciare imperterriti chi, quel degrado, lo vive e lo patisce ogni giorno sulla propria pelle.

Dalle curve alle strade, si sussurra negli ultimi tempi negli ambienti ultras.

Mai come adesso, questa frase ha bisogno di diventare il nuovo motto della Taranto che non subisce in silenzio.