La sibaritide terra di confine, terra abbandonata

inchiesta sullo sfruttamento nella sibaritide

8 / 2 / 2010


La sibaritide terra di confine, terra dimenticata.
Di Francesco Cirillo
La piana di Sibari è una terra di confine della Calabria. Da qui si va in Puglia, in Basilicata, sul tirreno nella stessa provincia cosentina attraversando il Parco del pollino. Una terra lontana dai flussi turistici di massa. Come tutte le terre di confine , queste sono storicamente terre di passaggio. Eppure la sibaritide è una delle zone più fertili della Calabria, eppure è uno dei luoghi più ricchi di storia, di reperti archeologici, che vanno dalle Mura di Cossa risalente all’età del ferro, ai resti dell’antica Sybaris la più antica e ricca colonia achea fondata nel 730 ac. Lo stesso nome della città ci ha tramandato per antonomasia l’idea stessa di opulenza, lusso, benessere. Invece come terre di confine sono terre di abbandono. La 106 resta la strada della morte e colleziona da decenni un elevato indice di morti in incidenti stradali, la linea ferroviaria è quella ancora a binario unico e con treni a metano, il Museo di Sibari che doveva essere un museo di grande attrazione turistica è sempre vuoto . A qualche centinaia di metri dal Museo, c’è il tristemente noto sito di Rotondella. Un sito che ospita rifiuti provenienti dalle centrali nucleari , da sempre considerato in dismissione ed invece da sempre al centro di nuovi progetti per ricevere nuove scorie. L’ultimo tentativo fu quello di creare un sito nella vicina Scanzano, progetto bloccato per fortuna dalla rabbia popolare che per settimane bloccò tutte le strade di accesso fino al ritiro da parte del governo Berlusconi della delibera di individuazione del sito. Ma Rotondella è ancora lì. “Centro di ricerca” viene eufemisticamente denominato. Di ricerca c’è solo un accumulo spaventoso di rifiuti tossici. Vicino al centro esistono diverse comunità agricole, cooperative di raccolta di arance, piccoli contadini che resistono ancora a fare i contadini. Terre di confine. Terre che hanno accolto 35 mila tonnellate di rifiuti tossici, consistenti in ferriti di zinco provenienti clandestinamente dalla Pertusola di Crotone. I comuni di Cassano, Amendolara, Cerchiara, Castrovillari da anni ne chiedono la bonifica. Mentre i tumori aumentano vertiginosamente. L’anno scorso dieci medici di base della sibaritide hanno scritto una lettera al sindaco di Cassano nella quale evidenziavano la morte per tumore di loro pazienti. Un ecatombe. 140 casi su 1300 pazienti. Tutti fra i 40 e 50 anni stroncati da cancro al fegato, al colon, agli organi genito-urinari e in generale, scrivono allarmati i medici, collegati alla catena alimentare , a ciò che si mangia e beve. Naturalmente i sindaci della sibaritide si affidano alle Asl che subito smentiscono asserendo che tutto rientra nella normalità. Le ASL servono a questo, a smentire, sempre e comunque, anche di fronte all’evidenza. In questa terra di confine si lavora anche e sodo. Terre grandi , più grandi della Piana di Gioia tauro. Terre molto fertili, dicevo prima, e quindi bisognose di mano d’opera. Una volta sotto il fascismo, che aveva fatto costruire delle piccole case coloniche ancora visibili lungo la 106 verso Taranto, queste terre venivano colonizzate dagli stessi calabresi. Gente stanca di emigrare, gente delusa dal grande nord o dalle Americhe, che preferiva il poco al niente, si trasferì qui , in queste piccole case coloniche, con tanta terra da coltivare. La cosa funzionò fino al dopoguerra. Poi i prezzi scesero, la concorrenza si cominciò a sentire con l’arrivo di arance dalla Sicilia, dalla vicina Grecia, dalla Spagna. Ricominciò l’emigrazione. Le terre vennero abbandonate nuovamente. Ripresero vigore con una nuova immigrazione. Quella degli africani. E la Piana di Sibari si rianimò improvvisamente, riportando una piccola ricchezza nelle mani dei proprietari che capirono subito che grazie alla legge sui flussi migratori inventata da Bossi e da Fini si poteva lucrare a piene mani sulla mano d’opera straniera. Dopo la tragedia di Rosarno e la cacciata dei “niguri” dalla Piana di Gioia da parte della ndrangheta che non sopportava più le continue ribellioni degli schiavi, è qui che si è spostata la nuova schiavitù. Molti africani da Rosarno si sono spostati qui, altri hanno preferito uscire dalla Calabria e rivolgersi in altri luoghi, ma il flusso forte migratorio è proprio verso questa piana di frontiera. Lo rivelano le statistiche delle stesse associazioni di agricoltori che parlano della presenza stabile di circa 12 mila lavoratori stranieri. A questi vanno aggiunti badanti di nazionalità ucraina e rumena, e molti albanesi occupati nel settore edile. Nel periodo estivo si aggiungono ancora lavoranti nel settore turistico e per la raccolta delle pesche. Tutti vengo sottopagati e sfruttati indegnamente. Le paghe sono ridicole variano dalle 20-25 euro al giorno fino a 12-14 ore di lavoro duro. Nessun italiano lavorerebbe a questo prezzo ed in questi orari. In effetti questo tipo di sfruttamento e di permanenza illegale sul territorio funziona grazie alla legge Bossi Fini che tra le sue maglie abbastanza larghe sembra fatta apposta per rimettere in schiavitù il lavoratore immigrato. Il suo funzionamento pratico lo leggiamo in un rapporto fatto dalle associazioni che si muovono sul territorio della sibaritide e ce lo spiega un giovane operatore sociale da anni impegnato in questa dura battaglia. E’ Piepaolo Graziadio che ce ne parla. E’ presidente dell’Associazione Auser Arcobaleno e collaboratore della CIDIS Onlus. Pierpaolo è uno di quei tanti ragazzi che dedicano gran parte della loro vita alla lotta allo sfruttamento ed alla oppressione. Lo fa con passione questo lavoro e da volontario. “ Il datore di lavoro- è scritto nel rapporto redatto dalla sua associazione- effettua una richiesta NOMINATIVA allo Sportello Unico per l’Immigrazione dell’immigrato da impiegare; fatti gli accertamenti burocratici gli viene rilasciato un nulla osta alla richiesta, che viene inoltrata successivamente all’Ambasciata italiana nel paese di origine del lavoratore. Qui viene convocato l’immigrato richiesto dal datore di lavoro al quale l’ambasciata rilascia il nulla osta all’ingresso per lavoro subordinato stagionale in Italia nonché il visto d’ingresso. Pierpaolo ci chiarisce che “ la chiamata nominativa purtroppo non permette di avere informazioni certe sulle qualità del lavoratore e ciò comporta il fatto che, i datori in realtà non abbiano nessuna garanzia che dietro il nome richiesto vi sia un lavoratore adatto alla mansione in cui dovrà essere impiegato. Nei fatti sia nei flussi stagionali che a tempo indeterminato accade quanto segue. Per entrare in Italia in seguito alla richiesta fatta dal datore di lavoro, l’80% dei migranti paga in media tra i sei ed i settemila dinari, equivalenti a sei-settemila euro, a intermediari nel paese di origine che, naturalmente, sono in contatto con altri intermediari che si trovano in Italia e che hanno segnalato quel preciso nominativo al datore di lavoro, al quale hanno anche consegnato una copia del passaporto della persona da impiegare(senza la quale la chiamata non sarebbe possibile) che dovrà essere allegato alla richiesta del lavoratore. Sappiamo che una parte del denaro pagato va al datore di lavoro che ha effettuato la richiesta. L’immigrato giunge in Italia dove, in alcuni casi, incontra il suo datore di lavoro per firmare il pre- contratto,il più delle volte però il pre - contratto è già stato firmato dal datore di lavoro: manca solo la firma del lavoratore. Il datore di lavoro è per legge obbligato non solo ad assumerlo ma anche a fornirgli un alloggio idoneo, condizione necessaria perché possa ottenere il nulla osta all’assunzione. Dopo la firma però il datore di lavoro sparisce o è già sparito ancor prima di incontrare il suo potenziale dipendente (!) e così l’immigrato si ritrova completamente abbandonato a se stesso, anche perchè le istituzioni, non operano alcun controllo sulla eventuale avvenuta assunzione. Molti così sono costretti ad elemosinare per sopravvivere, dormono dove capita ed i più fortunati trovano un temporaneo lavoro in nero con paghe da fame. Non conoscono la lingua italiana né le leggi vigenti e non effettuano alcuna denuncia perché condizionati dalla paura di essere espulsi o di essere addirittura uccisi se parlassero. Lo stesso prezzo e lo stesso meccanismo si innesca per i flussi stagionali con la beffa “dell’identità stagionale” nascosta ad aspettare.
Infatti chi partecipa al Flusso Stagionale per la prima volta , allo scadere dei 9 mesi deve obbligatoriamente far ritorno nel proprio paese di origine.
In altre parole, solo chi ha avuto un permesso di soggiorno stagionale in precedenza e ha fatto ritorno alla sua scadenza nel paese di origine e successivamente ha partecipato ad un secondo flusso stagionale può convertire il secondo permesso di soggiorno stagionale.
I Decreti Flussi per lavoro a tempo indeterminato prevedono, per i lavoratori stranieri non comunitari titolari di permesso di soggiorno per lavoro stagionale in uno dei 3 anni precedenti, la conversione del permesso stagionale. Tutto ciò in molte zone del territorio italiano avviene “forse” senza molti problemi; al contrario nella sibaritide ( ma Pierpaolo pensa in tutto il meridione) questa procedura diventa incompatibile con il sistema flussi/lavoro in quanto oltre ai risaputi lunghi tempi della Prefettura per il rilascio dei Nulla Osta, della Questura per il rilascio dei pds ( permessi di soggiorno), c’è molta difficoltà nell’interpretazione e attuazione della legislazione sull’immigrazione dei vari soggetti direttamente interessati (lavoratori, datori di lavoro, commercialisti, avvocati, ecc..), trasformando quei 9 mesi in un incubo in particolare per i lavoratori.
Di questa grave situazione si lamentano tutti i volontari delle associazioni che operano nel territorio di Cassano allo Jonio. A questo evidente nodo nella legislazione che comporta difficoltà nell’applicazione della stessa non c’è nessuno che è capace di contrapporsi, dalle istituzioni alla società civile.
Resta difficile anche se non impossibile fare proposte operative se alla base ci sono problemi che limitano la possibilità per i migranti di permanere regolarmente sul nostro territorio; di più se questi problemi sono innescati da una normativa che crea questi meccanismi; le associazioni chiedono di conseguenze alcune correzioni , se non la completa abolizione, alla legge Bossi-Fini almeno delle parti che nella loro attuazione sono chiaramente INCOSTITUZIONALI quali ad esempio permettendo:
1. il rinnovo o la conversione del primo permesso stagionale la quantità di irregolari si dimezzerebbe;
2. sicuramente l’uso di una chiamata obbligatoriamente collegata a liste che indicano le capacità e quindi i possibili lavori nei quali l’immigrato potrebbe essere impiegato eviterebbe che un muratore entri in Italia come badante o come bracciante agricolo, ma soprattutto abbasserebbe di molto la necessità dei lavoratori di pagare cifre altissime per avere un posto in quella quota flussi tanto attesa.
3. far rientrare/trasformare le quote stagionali nei flussi a tempo indeterminato, permettendo comunque di fare lavori stagionali come tutt’ora avviene per chi entra in Italia con visto per lavoro subordinato a tempo indeterminato. Così si eviterebbe che i lavoratori stagionali attraverso il flusso a tempo indeterminato facciano lavori stagionali ma non siano vittime di “un identità stagionale”.
L’alta ricattabilità legata al permesso di soggiorno crea le condizioni che permettono un po’ a tutti, “normali” cittadini compresi, di lucrare su questa situazione. Dal mercato del lavoro e dei permessi di soggiorno (70€ rilascio e rinnovo) più spese di disbrigo,dalla casa, al raket della prostituzione. Per quando riguarda la casa è (65%) l’esigenza più forte dopo il lavoro (70%) e viene prima della regolarizzazione del soggiorno (55%). Esso costituisce per gli immigrati la maggiore difficoltà incontrata sul territorio. Circa l’80% degli stranieri non si trova bene nella casa che ha in affitto; 7 persone su 10 sottolineano l’affitto troppo caro, la mancanza di spazio e la difficoltà di coabitare. Più della metà denuncia la mancanza di un contratto e il continuo pericolo di sfratto (atteggiamento che ritroviamo nel rapporto con il datore di lavoro caratterizzato anch’esso dalla mancanza di contratto e continuo pericolo di licenziamento); quasi la totalità lamenta le condizione strutturale cadente degli appartamenti. E’ evidente la formazione di quartieri in cui vivono solo stranieri, in alcuni casi sono i centri storici in altri le campagne. Inoltre, l’emergenza abitativa nella sibaritide e una perdita di lavoro, anche temporanea, comporta un notevole accrescimento di stranieri alla ricerca di alloggi di fortuna, di baracche e occupazioni di alloggi privi di abitabilità.
Cidis Onlus nel Febbraio 2009 ha attivato uno sportello di intermediazione abitativa che ha avviato un nuovo modo di affrontare l’emergenza abitativa, prima studiandone le caratteristiche e poi cercando di trovare nuove formule per rafforzare e migliorare il sistema di accoglienza sul territorio.
Cidis onlus insieme a Coldiretti e il comune di Cassano allo Ionio si stanno impegnando a dimostrarlo con un progetto finanziato dal ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. “Casa La Rocca: accogliere per integrare” è il nome scelto per un'iniziativa a vasto raggio volta a garantire anche ai tanti migranti che versano in condizioni di estremo disagio abitativo un tetto sulla testa.
“Casa La Rocca”: un immobile messo a disposizione dalla Diocesi di Cassano e ristrutturato anche con lavori svolti in autorecupero, vale a dire grazie alla volontaria collaborazione di alcuni immigrati. Il progetto prevede anche una mappatura del territorio al fine di individuare l'effettiva disponibilità di alloggi utilizzabili in locazione o disponibili per il recupero, nonché un'intensa attività di informazione e sensibilizzazione dell'opinione pubblica.

Nell’ultimo anno si è registrata la presenza di una nuova tipologia di migranti ovvero quella dei Richiedenti Asilo e dei profughi di guerra.
La sibaritide vede crescere l’incidenza percentuale di popolazione straniera e allo stesso tempo le differenze di bisogno rendono molto più complesso la gestione del fenomeno migratorio.
I Richiedenti Asilo e possibili Rifugiati presenti nel 80% dei casi è in attesa della convocazione oppure ha avuto un foglio di via in seguito ad un diniego da parte delle Commissioni per il riconoscimento dello Status di Rifugiato a Crotone o Lampedusa e che successivamente non hanno lasciato il territorio. Il restante 20% ha difficoltà a raggiungere punti d’informazione e di contatto con le autorità e i servizi del territorio.
Nella prassi si verifica che all’uscita dai centri di permanenza o di accoglienza il migrante inizia la ricerca invano di altre soluzioni per regolarizzare la propria posizione (senza la minima conoscenza della lingua italiana), e lo fa iniziando con la ricerca di un lavoro per provvedere al suo sostentamento, ed è qui che inizia il calvario. Infatti i clandestini rappresentano i lavoratori più sfruttabili e ricattabili per il lavoro nero; sin dall’uscita dai centri iniziano quindi ad essere vittime del cosiddetto “caporalato”(non sempre organizzato) che gli utilizza come manodopera sul territorio stesso o gli indirizza verso i territori dove e meno probabile essere perseguiti dalla legge. Le difficoltà aumentano in proporzione al maggiore isolamento dei territori dove i lavoratori dimorano e lavorano, infatti nella pianura di Sibari data la sua vastità numerose sono le zone fuori da qualsiasi controllo e prive di qualsiasi tipo di servizio. Quindi troviamo una molteplicità di difficoltà che vanno dal non utilizzo di acqua potabile e servizi igienici alla mancanza di ogni tutela dei diritti, come per esempio la presenza di potenziali Richiedenti Asilo e Rifugiati che non riescono ad avere informazioni e a formalizzare la richiesta che è di competenza della Questura di Cosenza e dista 70 km dalla sibaritide.
Questo dimostra il fallimento di una politica di accoglienza costosa e inefficace che ripone fiducia nei CIE/CPT e nei CARA che dopo l’identificazione e la detenzione dei migranti gli abbandona al loro destino, rispetto all’efficacia degli SPRAR che come dimostrano i risultati raggiunti a Cosenza dalla Kasbah che con ¼ dei costi garantisce accoglienza, orientamento ai servizi fino all’inserimento abitativo, sicuramente più efficace ed efficiente e che garantisce il rispetto dei diritti fondamentali. )
A proposito della prostituzione anche in questo campo ci sono associazioni che si muovono per far uscire le donne immigrate da questa grave situazione di doppio sfruttamento. Molte di loro la mattina lavorano nei campi, la sera si prostituiscono. La sindaca alleatina di Corigliano, Straface, invece di andare incontro alle donne, cercando di stabilizzarle nel lavoro, trovare loro alloggio e tutto ciò che serve , mette la polizia municipale alle loro calcagna. Facendo multe ai clienti sta risanando il bilancio del comune. Ben 150 mila euro le entrate nel bilancio dell’anno precedente. Ed adesso intende anche aumentare le multe a 500 euro a cliente, per reinvestire nella stessa polizia municipale piuttosto che nel recupero delle stesse donne costrette alla prostituzione. La sindaca Straface aveva già dimostrato la propria sensibilità verso gli immigrati annullando al momento stesso della sua elezione la delibera che permetteva ai lavoratori ambulanti di vendere le proprie mercanzie sul lungomare di Corigliano. Nonostante le intenzioni bellicose delal sindaca e della sua giunta nel territorio non si sono registrati atti di razzismo notevoli. I livelli di tolleranza sono abbastanza elevati anche grazie al continuo lavoro delle associazioni che fanno da tramite tra i bisogni dei lavoratori immigrati e le popolazioni nei territori, con iniziative alle quali gli stessi immigrati partecipano molto volentieri a dimostrazione della loro volontà di integrazione piena. Ma l’ombra nera di Rosarno fa un po’ paura a tutti.