di Pierangelo Sapegno
Dice: «C’è un vecchio detto
popolare che ripete: se il tuo cavallo è morto non cavalcarlo più». A
sentirlo, sembra banale. Però, non è così come
pare. Prendiamo la droga.
Dice: «La guerra alla droga è fallita: abbiamo più morti nella guerra
alle droga che vittime delle sostanze. E allora bisogna cambiare. Se
abbiamo capito che il cavallo è morto, cerchiamone un altro». Peter
Koler, 45 anni, è psicologo e pedagogista. Ma è anche e soprattutto il
direttore del «Centro per la prevenzione delle dipendenze e la
promozione della salute» che da 10 anni lavora per la Provincia di
Bolzano e in collaborazione con molti patner di rete. Non deve lavorare
tanto male, visto che adesso l’hanno chiamato pure la Regione Emilia,
l’Austria e Amburgo.
Solo che da noi le sue idee sembrano
rivoluzionarie. Occorre cambiare l’offerta, dice: «Dobbiamo trovare un
metodo per implementare il mercato all’interno della legalità. Si può
dare la sostanza alle persone che hanno già sviluppato una tendenza,
restando ovviamente dentro a un percorso sanitario. Si deve rilanciare
l’idea di togliere alle mafie quei soldi e quel potere, e trovare un
modo di dare le sostanze a quelle persone, riducendone il bisogno. E con
la cannabis legalizzare la coltivazione privata». Però, questa non è la
legalizzazione della droga. È un’altra cosa ancora. È come se lo Stato
togliesse la droga alle mafie. Poi toccherebbe ai servizi pubblici stare
vicino ai consumatori, accompagnando i loro percorsi di recupero. Con
le nuove regole di una società postmoderna: «Bisogna conviverci con
l’abisso, dobbiamo accettare il rischio. Vietarlo è
inutile».
Lui
il suo l’ha già fatto. E bene, a giudicare dai risultati: da alcuni
anni è in costante calo il consumo fra i giovani degli alcolici, del
tabacco e della cannabis. Hanno cominciato nel 2001 e la cosa strana è
che non se n’è accorto quasi nessuno. Neanche i giornali ne parlano. I
loro successi girano solo attraverso i convegni, come l’ultimo, a
Torino, del Gruppo Abele di don Ciotti. «In ogni caso, da noi il
problema più grave è quello dell’alcol», spiega Koler. «Non abbiamo
gente che fa le feste con l’eroina, e la cocaina è abbastanza nascosta».
La parola d’ordine è sempre la stessa: il divieto non serve. Già nel
2002 era nato il primo progetto, che si chiamava «Lanc», ed era stato
avviato da alcuni centri e circoli giovanili di lingua tedesca in
collaborazione con il Forum Prevenzione. Da allora a oggi, molte cose
sono cambiate, cercando di coinvolgere sempre di più gli altri soggetti
nel progetto. Come fare con l’alcol, senza vietarlo? «Possono bere quel
che vogliono, ma solo a gradazione ridotta», dice Koler. «Abbiamo fatto
questo patto. Tutti gli studi e le ricerche dimostrano che
l’aggressività cresce con l’aumento del livello di gradazione. Le
persone possono consumare l’alcol, ma con responsabilità. È la nostra
campagna: bere responsabile. Abbiamo chiestoai Comuni di organizzare un
servizio di minibus notturno efficientissimo. La Nightline porta in giro
i giovani durante la notte e gli incidenti del sabato sera sono quasi
scomparsi».
Anche con il fumo, la filosofia è la stessa. E ha
avuto così tanto successo che il «programma di riduzione» sta per essere
esportato in Austria e a Reggio Emilia. Si parte dalla solita parola
d’ordine: vietato vietare. E il metodo è di nuovo quello del
coinvolgimento, e della - dio, che brutta parola -
«corresponsabilizzazione». I ragazzi che decidono di partecipare a
queste iniziative «fanno sei incontri di due ore all’interno di percorsi
scolastici». Il risultato? È sorprendente, assicura Koler. I trainer
non gli insegnano mai a smettere di fumare: cercano di farli fumare
meno, ad abituarsi a un minor numero di sigarette, senza rinunciare al
fumo. «Il più delle volte succede che a questo punto sono loro stessi
che vengono da noi per dirci che adesso hanno capito che male fa il
tabacco e che vogliono smettere». È lo stesso sistema che il Forum ha
deciso di adottare con l’ultimo Grande Vizio della società postmoderna:
il gioco. Da una parte una campagna di informazione e dall’altra
l’incontro con i gestori delle sale gioco per convincerli ad accettare
dei corsi: il loro personale potrà uscire soltanto da lì, e verrà così
formato da diversi esperti che lavorano sul campo, psicologi,
pedagogisti, sociologi. In pratica, sarà come mettere degli educatori
nel regno del vizio, dei sacerdoti accanto ai peccatori.
Quello
che si fa col fumo, potrebbe essere fatto con la cannabis, spiega Koler.
Il fatto è che «è inutile dire a un ragazzo che vive in mezzo al
disagio: tu devi smettere. Quello è l’ultimo suo problema. Dobbiamo
fornire buone competenze ai genitori per educare i figli, dargli i mezzi
per farlo, dalla civiltà della vita agli asili nido. La droga non è il
centro del problema».