Il sogno possibile

di Alfonso Mandia

5 / 10 / 2011

L’articolo “L'alternativa in movimento”, di Luca Casarini, potrebbe e dovrebbe, per come la vedo, costituire la base di partenza per una finalmente ampia e radicale “ristrutturazione”, se così vogliamo impropriamente definirla, delle forme di resistenza, aggregazione, dibattito, progettualità politica, sociale, culturale, in seno ai movimenti di lotta e del rapporto tra questi e chi porta avanti le proprie battaglie quotidiane da “cane sciolto” o nell’ambito di realtà che poco o nulla hanno a che fare con essi.

Certo Il suo ragionamento non è facilmente tramutabile in agire politico toccando, se ce la vogliamo dire tutta, un nervo da sempre scoperto del “movimentismo”.

Di quella parte di esso che si rifiuta ostinatamente di gettarsi finalmente alle spalle  una pratica politica che si rifà a quel certo Pci degli anni settanta che pur di mantenere intatte le proprie posizioni di rendita soffocava le conflittualità interne, espelleva i militanti dissenzienti, e instillava invece nei fedelissimi un devastante senso di superiorità  rispetto a chi non aveva il privilegio di far parte di quello che oggi definiremmo “il cerchio magico” o, per dirla con Casarini,  degli ammessi ai “tavoli tra gruppi dirigenti”, così come di quelle frange di movimento che “dentro il quadro della rappresentanza nella crisi della democrazia si muovono, e intendono farlo da anomalie, per sparigliare le carte”, e che dovranno “anch’essi avere un profilo nuovo, che non ha a che fare né con il minoritarismo, ma nemmeno con la riedizione di esperienze, disastrose peraltro, del passato”, il che vorrà dire avere la capacità e soprattutto la volontà di rielaborare, partendo dalla radice, concetti di resistenza mesozoici e modalità di organizzazione, partecipazione, comprensione, interpretazione e messa in atto dei conflitti, vecchie, decrepite non meno delle agonizzanti classi dirigenziali che stanno tenendo il paese, e di conseguenza tutti noi, in coma farmaceutico da tempo immemore, o delle penose, inesistenti sinistre “politiche”, che altre esperienze disastrose e perdenti stan cercando di ri-presentare, senza il minimo senso del ridicolo, come alternativa, ma che sappiamo bene tutti essere nient’altro che la testimonianza di una sopravvenuta consunzione, culturale, spirituale, materiale, sociale.

Epperò dinanzi ad un contesto in cui la classe industriale e padronale si sta organizzando per entrare direttamente in parlamento, quella politica disegna nuove strategie atte a soffocare gli ultimi aliti di democrazia, imbavagliare la rivolta e salvare le poltrone, e i sindacati, fino a qualche tempo fa sponda sociale di lotte per i diritti costate lacrime e sangue ad un numero incalcolabile di donne e uomini che sono oggi ormai ridotti alla condizione di uffici di rappresentanza dell’autorità costituita, la risposta ed il contrattacco di tutte e tutti coloro che lottano per un’idea altra di vita dovranno essere all’altezza di una guerra che si rivelerà lunga e “sanguinosa”.

Ma perché questo sia possibile dovremo tutti, nessuno escluso, ripensarci e ricostruirci ex novo, abbattere i recinti dei nostri piccoli giardini, lasciarci alle spalle una volta per tutte un’idea di “militanza” che riproduce in più piccolo e più squallido gli stessi meccanismi delle strutture di potere che tutti combattiamo e che nulla ha più a che vedere con le istanze di un movimento di protesta, in costante crescita, la cui potenza dirompente nasce proprio dalla ferma volontà di non accettare più decisioni calate dall’alto di riunioni “riservate” a pochi che però dispongono della vita di tutti, dal rifiuto di esser rappresentato da chicchessia, dalla consapevolezza che proprio l’aver firmato deleghe in bianco, piuttosto che assumersi i propri rischi e le proprie responsabilità, è stata una delle cause principali di tanta devastazione.

E’ venuto il momento di dare senso compiuto al termine “collettivo”, di iscrivere nella lista dei beni comuni da difendere e curare la grande forza che potrebbe dispiegare un intero popolo che si unisce per gettare alle ortiche l’oppressore, da qualunque parte arrivi, qualsiasi sia il vessillo che innalza, di qualsiasi colore egli si ammanti.

Diamoci da fare per costruire un fronte di resistenza che sia davvero collettivo, condiviso, egualitario, sanamente popolare, con partenza “dal basso a sinistra” e arrivo dove volano gli aironi.

I sogni hanno bisogno di spazio per non soffocare, cominciamo a toglierli di mezzo, quei tavoli da dirigenti di cui scrive Luca Casarini, e invece di usarli per riunioni riservate a pochi, costruiamoci barricate che serviranno per proteggere tutti.

Vista l’aria che tira ultimamente, questo potrebbe essere, senza andare troppo in là con la fantasia, un buon secondo passo,

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