Il pensiero unico secondo la scienza

6 / 6 / 2015

Il pensiero unico secondo la scienza,

articolo di Patrizia Cordone.

 Ormai si dispone della mappatura completa del patrimonio genetico finanziata anche dai governi, le cui motivazioni ufficiali, affatto pacificanti, di questi e di altri studi pertinenti, assicurerebbero vantaggi all’individuazione di cure e terapie di gravi malattie. Inediti connubi disciplinari compaiono miranti alla costruzione del superuomo, secondo il pensiero unico. Gli argomenti dell’articolo seguente sono tratti da “L’uomo oltre l’uomo", di Francis Fukuyama.

  William Haseltine, amministratore delegato della Human Genome Society, prevede l’acquisizione scientifica del mantenimento inalterato delle funzioni dell’organismo prossime all’immortalità; altre personalità dell’ambiente scientifico perseguono studi attinenti terapie e cure di alcune malattie; parecchi altri ricercatori perseguono lo studio dell’acquisizione di tecniche e di modalità della manipolazione del comportamento umano. In alcuni casi, come quest’ultimo, gli scenari futuribili potrebbero sortire conseguenze serie al quadro politico mondiale.  Attualmente la biologia molecolare, le neuroscienze, la genetica comportamentale, l’antropologia, la psichiatria e la neurofarmacologia  stanno svolgendo studi anche interdipendenti, le cui implicazioni politiche temibili non escludono aprioristicamente affatto la manipolazione del comportamento umano ed il controllo globale della popolazione. Pertanto a fronte di questa prospettiva imperativa è l’adozione di scelte etiche nonché lo sbarramento dei limiti a ricerche e ritrovati molecolari destinati non a finalità di salvaguardia della salute, bensì a presunti miglioramenti della specie. Si sa dei potenziali usi selettivi delle scoperte della genomica, cioè della comprensione del funzionamento dei singoli geni, la quale potrebbe consentire la combinazione chimica dei farmaci “comportamentali” (pagg.28-29).

  Tra i soggetti maggiormente a rischio ci sono i bambini, se non addirittura i feti, suscettibili di manipolazioni genetiche. Assunto che il diritto di famiglia conferisce ai genitori la liceità della scelta educativa, forse la stessa sarebbe estendibile finanche all’assunzione decisionale genitoriale delle caratteristiche genetiche della figliolanza. Allora il quesito conseguente non è peregrino: se ad un’educazione impropria ricevuta il figlio diventato adulto può ribellarsi con la definizione dei propri dettami, a fronte invece di una dotazione genetica artificiale quali scelte potrà compiere? Alcuni, tra questi Gregory Stock e John Campbell propongono l’attivazione del patrimonio genetico indotto artificialmente da implementazione con il consenso del minore diventato adulto. Infatti non irrilevante risvolto della manipolazione genetica pertiene la selezione dei geni, i quali diverranno persone in base a parametri acutizzanti le differenze e gli svantaggi sociali, con la costruzione, non certo creazione, di generazioni razziali secondo un non meglio precisato miglioramento genetico (pagg.107, 252-253, 213, 216). A tale riguardo va segnalato lo Human Genome Project, il quale, beneficiato da finanziamenti degli Usa e da parte di altri governi, ha compilato la sequenza completa del genoma  umano pubblicata assieme alla Celera Genomics, compagnia privata dello stesso ambito. In tal caso rimarchevole appare la collaborazione tra biologia ed informatica, costituente una nuova disciplina di ricerca denominato “bioinformatica”, la quale ha consentito allo Human Genome Project la registrazione e l’analisi delle componenti del dna (pag.104).

Del resto lo studio del patrimonio genetico non è fine a se stesso, né necessariamente per il rinvenimento di rimedi terapeutici, dal momento che sempre è stato tentato lo studio della sua influenza sul comportamento, sin dagli albori della sua storia, con una parentesi del ventesimo secolo contrassegnata dall’enfasi delle cause culturali ed ambientali. Infatti, ancora prima delle leggi razziali nazi-fasciste e con le debite differenze, nel 1924 negli Usa era approvato l’Immigration act, regolante l’afflusso restrittivo in generale, tuttavia a favore di immigrati provenienti dal nord Europa, considerati un miglioramento della qualità razziale statunitense. Ed ancora, per la mobilitazione della prima guerra mondiale fu varato un programma di misurazione dell’intelligenza rilevante la capacità cognitiva determinata dall’appartenenza etnica e razziale. Nella storia, seppure con denominazioni diverse, sia quella definita come la genetica comportamentale che l’antropologia transculturale,  hanno sempre insistito lo studio accanito delle differenze individuabili per poi escluderle socialmente oppure tentare l’appiattimento di tali diversità verso un unico modello (pagg.30-35). Le radici del controllo del comportamento, del pensiero unico e della malintesa globalizzazione sono comuni allo stesso disegno.

Articolo di Patrizia Cordone.

5 giugno 2015