Il 25 settembre del 2005 muore Federico Aldrovandi durante un “controllo” di Polizia

I “sonni tranquilli” degli assassini

Dopo quasi 4 anni, i quattro poliziotti responsabili della morte del diciottenne Federico Aldrovandi ricevono la condanna a 3 anni e 6 mesi per “eccesso colposo”

10 / 7 / 2009

Federico AldrovandiDopo quasi 4 anni, fra depistaggi, insabbiamenti, perizie, controperizie e dibattimenti, la sentenza di primo grado, emessa il 6 luglio dal giudice del Tribunale di Ferrara, Francesco Maria Caruso, ha visto la condanna a 3 anni e 6 mesi per “eccesso colposo” dei quattro poliziotti, allora in servizio presso la sezione volanti della Questura di Ferrara, responsabili della morte del diciottenne Federico Aldrovandi durante un “controllo” di Polizia avvenuto la notte del 25 settembre del 2005.

La sentenza ristabilisce solo in parte quello che la coscienza sociale aveva già ampiamente sancito.
Per la legge i quattro poliziotti – Monica Segatto, residente a Padova; Paolo Forlani di Ferrara; Enzo Pontani di Occhiobello (Rovigo); Luca Pollastri di Ferrara – sono colpevoli di aver ecceduto nelle pratiche di immobilizzazione di Federico e anche di aver infierito su di lui (arrivando a rompere due manganelli) oltre ad aver omesso il proprio soccorso.
Più semplicemente, per noi, che amiamo chiamare le cose con il loro nome, si tratta di omicidio!
Non è certo un bestemmia, pertanto, dare degli “assassini” a coloro che si sono resi responsabili della morte di una persona, in questo caso ancora più vigliaccamente perché causata col vantaggio numerico e con una brutalità spropositata contro un ragazzo appena maggiorenne, la cui unica “colpa” è stata quella di rincasare tardi ed aver incontrato quattro sadici in divisa, come se ne incontrano tanti per strada della stessa tipologia. Bande armate che fanno valere il monopolio della violenza di cui dispongono nonché la loro deviata concezione di una giustizia che non è, e non può essere, la giustizia dei popoli e degli individui.
Una cosa nessuno la può negare: se Federico non avesse incontrato quel giorno quei quattro poliziotti ora sarebbe ancora vivo! Come tanti altri che hanno subito la sua stessa sorte in tutti questi anni.
Non è dire uno sproposito descrivere la polizia come una loggia omertosa dove abusi come quello accaduto vengono coperti in vario modo, con la tacita approvazione della maggioranza degli affiliati, ma è soltanto dire la verità: quella dei fatti, quella che palesemente si è rivelata anche con questa vicenda che forse avrà aperto un po’ di occhi sulla natura di certe istituzioni reputate necessarie ed indispensabili. La stessa verità manifesta già emersa anche nel caso delle coperture avvenute sui pestaggi del G8 di Genova da parte delle più alte cariche di polizia e Governo.
Proprio in epoca in cui si parla tanto di “sicurezza” ci piacerebbe si dicesse di cosa si sta parlando. Non certo della tranquillità e del benessere delle persone comuni, poiché sapere che in qualsiasi momento c’è la probabilità di essere passibili di un “controllo” di polizia come quello subito da Federico lascia dentro di sé un senso di insicurezza piuttosto. Ma forse si parla solo della sicurezza dei padroni, e allora dovremmo contentarci di vedere le nostre città trasformate in set da film di guerra, con tanto di ronde e militari per strada, ed attendere il prossimo prevedibile morto ammazzato, l’ennesimo omicidio di Stato.
Parole forti, le nostre? Può darsi, ma di fronte a tanta arroganza, che pretende di smarcarsi dalle critiche e di avere ragione anche in presenza di un fatto così grave, quando addirittura uno dei condannati (Pontani) alla lettura della sentenza dichiara che dormirà “sonni tranquilli”, le uniche forme di giusta reazione, così la pensiamo, sono la rabbia ed il disprezzo.
Rabbia e disprezzo che non possono non crescere nei confronti di tutti coloro che continuano a nascondere ed omettere, di chi continua a sostenere gli assassini ancora oggi, come continuano a fare i sindacati di polizia che mai hanno smesso di attaccare la famiglia di Federico, una famiglia orgogliosamente tenace nell’esigere rispetto verso il proprio amato e a cui, per questo, va la nostra stima. Sindacati e poliziotti che ignorano cosa sia la sensibilità umana ed anche la vergogna, che ancora oggi chiedono al ministero di pagare le spese processuali al posto dei condannati; che si dicono amareggiati per la condanna di quattro dei loro, che in fondo, come dice Stefano Paoloni del Sap, hanno “agito in buona fede”, come in buona fede, secondo la logica di queste persone, avranno quindi agito i massacratori di Genova al G8 del 2001.
Un poliziotto stesso, Ispettore capo della Digos, denuncia in una lettera il clima di pesante intimidazione all’interno della Questura di Ferrara, dove è stato fatto oggetto di minacce perché amico della famiglia Aldrovandi e perché, evidentemente, si è fatto scappare pubblicamente qualcosa che non avrebbe dovuto dire, indebolendo l’implicito patto di complicità tra camerati; patto per cui altri poliziotti, tra cui figure di spicco della Questura e della Digos, sono indagati in un secondo processo per favoreggiamento.
Di fronte alla giustificazione dell’operato dei quattro poliziotti da parte dei loro colleghi; di fronte alla sentenza che ha condannato i quattro, come ha reagito il Questore, Salvatore Longo (per chi desiderasse saperlo: ex responsabile della sicurezza all’interno del CPT di Torino dove sono rinchiuse decine di immigrati con l’unica “colpa” di non avere i giusti documenti in tasca)? Dicendosi sereno! E, in secondo luogo, rinnovando implicitamente il proprio appoggio ai quattro poliziotti riconfermandoli in servizio: due di loro – ora a godersi le ferie pagate! – all’Ufficio Personale e alla Vigilanza ed un altro (Paolo Forlani) all’Ufficio Immigrazione, dove potrà finalmente sfogare le proprie frustrazioni sulle persone più deboli e disagiate. Mentre l’unica donna poliziotto ha chiesto il trasferimento a Padova.
Addirittura l’operato di questi poliziotti è stato così gradito che uno di loro, il Forlani, è perfino stato mandato all’Aquila per il G8, dove se proprio vorrà menare le mani lo potrà fare su qualche manifestante.
Beh, ci pare che di ragioni per incazzarsi ce ne siano anche troppe. Se tutto questo fosse successo in un altro paese sarebbe successo il putiferio ma l’Italia, e specialmente Ferrara (certo, con qualche rara eccezione), non smettono di stupirci per la passività con cui assecondano ogni nefandezza.
Il Questore ricorda che fino alla sentenza definitiva, che il sistema penale italiano prevede al 3° grado di giudizio, una persona accusata di un reato è comunque presunto innocente.
Ma allora perché questa presunzione di innocenza non vale per i tanti sventurati che marciscono in carcere e che, forse non tutti lo sanno, per oltre il 50% sono in attesa non di una sentenza definitiva ma addirittura del processo di 1° grado! È questa la giustizia che secondo un’espressione simbolica dovrebbe valere per tutti!? O non vale piuttosto di meno per chi non può permettersi un buon avvocato e non indossa una divisa!?
E così quei bravi poliziotti, che hanno ucciso un ragazzo di 18 anni, rimarranno in servizio ancora a lungo, forse fino alla pensione, al massimo vedendosi trasferiti in altra Questura dove si renderanno protagonisti di qualche altra condotta “in buona fede”.
Non chiedeteci, perciò, di essere indulgenti, di distinguere tra le “poche mele marce” e il resto di poliziotti che fanno “il loro dovere” con onestà professionale; troppe volte abbiamo visto e sentito di poliziotti (e carabinieri, e finanzieri, e militari, ecc…) che hanno manganellato, molestato, violentato, ucciso. Abbiamo visto con i nostri occhi visi e teste spaccate, denti e ossa rotte alle manifestazioni, sangue per terra, cariche brutali, occhi questurini accecati dall’odio per le “zecche”, così gli “sbirri” chiamano chi secondo loro è meritevole di una “lezione”.
Troppe volte ci hanno portato in questura, ci hanno velatamente o apertamente minacciato, o hanno minacciato nostri amici e conoscenti e denunciato e criminalizzato chiunque altra persona pratichi un percorso di lotta per raggiungere una società migliore, magari promettendo di farci bere del piscio perché “tanto siete tutti dei cessi!”.
Troppe volte abbiamo letto o sentito di immigrati pestati a sangue da questi cavalieri dell’ordine, che evidentemente non gradivano il colore della loro pelle. Troppe volte abbiamo visto apparentamenti espliciti con i fascisti: basta avere la malaugurata sventura di finire in qualcuno degli uffici della Digos di Ferrara per vedere esposti adesivi della Decima Mas, le SS italiane.
Troppe volte abbiamo sentito di morti ammazzati in carcere perché “bastonati di brutto” dai secondini, un costume assai in voga tra le guardie penitenziarie che vivono di prevaricazioni ed ingiustizie continue in danno di chi è privato della libertà e spogliato di ogni diritto, occultati allo sguardo pubblico come gli immigrati nei CIE (ex CPT) e gli internati negli istituti psichiatrici.
Troppe volte, in definitiva, abbiamo visto gli agenti di tutte le polizie accanirsi contro i deboli ed inchinarsi di fronte ai potenti.
Non chiedeteci di fare finta di niente.


Anarchici ferraresi
LUGLIODUEMILAENOVE