Sulla morte di Stefano Eduardo Soto, ucciso da un coetaneo a Genova

I giovani violenti e la canea degli sciacalli

Dopo la morte di Eduardo non si faranno attendere gli sciacalli di turno, pronti a scatenare una guerra contro gli stranieri e i centri sociali autogestiti

22 / 12 / 2009

L’uccisione per accoltellamento di un giovane di 17 anni domenica sera davanti o dentro al centro sociale Zapata è senz’altro un fatto orribile e insopportabile ancor più di qualsiasi altra morte perché si tratta dell’uccisione di un giovane. Sicuramente atroce per i familiari e amici, una tale tragedia colpisce anche chi cerca di aiutare i giovani a evitare di scivolare nello scontro per costruirsi qualche possibilità di sopravvivenza pacifica in una congiuntura economica e politica fra le più sfavorevoli ai giovani.

Come sempre in occasione di questo genere di fatti, assai prevedibile è la canea scatenata dai soliti sciacalli che ovviamente non provano alcun dolore per la morte di Stefano Eduardo Perez Soto. Ma sono molto interessati ad attribuirne l’assassinio alle “gangs” o “bande criminali sudamericane”, al “bullismo” e magari ai “sovversivi” dello Zapata. L’occasione è ghiotta: in un solo colpo razzisti/neo-fascisti potranno scatenarsi per incitare alla guerra contro gli immigrati e contro i centri sociali che immancabilmente saranno dipinti come ricettacoli di “violenti delinquenti”; insomma i perfetti “nemici di turno” utili al consenso per un governo che –a parole- è per l’igiene, la morale, il decoro, l’ordine, l’obbedienza e il crocefisso.

Ebbene, sarebbe ora che i democratici reagissero fermamente per respingere le speculazioni dei sciacalli che sono i primi responsabili di quegli ingredienti della violenza che pervadono la società contemporanea. In passato, come oggi, in tutti i periodi storici e in tutte le città di tutti i paesi, sia che si tratti di giovani immigrati dell’interno o magari di un altro quartiere, sia che si tratti di stranieri,  purtroppo, le violenze fra giovani o dei giovani verso altri sono sempre esplose. Peraltro, come potrebbe raccontare qualsiasi anziano che non bara sul passato (ma questo non deve rincuorare), oggi ci sono meno violenze di quante se ne scatenavano negli anni ’50, ’60 e ’70. Ma perché, come, quando e dove si produce un accoltellamento di un giovane da parte di un altro coetaneo? Gli esperti avranno sicuramente risposte esaurienti, secondo loro. Con molta onestà intellettuale sarebbe invece più corretto dire che le cause e le ragioni, i meccanismi e le dinamiche, i ‘moventi’, possono essere molteplici e disparati e, comunque, anche dopo indagini di ogni sorta  nessuno può conoscerli del tutto e quindi per rispetto stiamoci zitti (ovviamente questo non vale per la giustizia penale che si spera non sia influenzata da pregiudizi). Altra cosa è invece cercare di capire il contesto sociale e politico di un tale fatto. E allora come non riconoscere che è proprio all’interno del conflitto dell’integrazione che si situano anomie, devianze, delinquenza e quindi le violenze. L’inserimento e poi l’integrazione, anche di chi viene dalle campagne vicine, non sono un pranzo di gala, una festa fra parrocchiani o fra compagni di lavoro. Peggio ancora, in un paese in cui l’integrazione è di fatto osteggiata istituzionalmente (si pensi al calvario per avere e poi per mantenere il permesso di soggiorno), in cui i giovani stranieri –anche quelli nati in Italia- alla maggiore età rischiano di essere espulsi perché la legge non li prevede, un paese in cui il razzismo è sdoganato e di fatto legittimato persino da membri del governo. Aggiungiamo che l’unica possibilità di socializzazione offerta solo in parte ad alcuni di questi giovani è unicamente quella proposta -a fatica e con scarsissimi mezzi e tanta volontà- dai ragazzi dei centri sociali che per questo meriterebbero un encomio speciale da parte delle amministrazioni locali. Decenni di studi in tutti i paesi di vecchia e nuova immigrazione mostrano, infatti, che dal punto di vista di un’integrazione pacifica, l’aspetto cruciale riguarda appunto la possibilità di accedere a spazi e momenti di socializzazione per tutti. Ma questo non basta né per i giovani stranieri né per i giovani italiani meno fortunati che sono altrettanto non-integrati. Si tratta, infatti, di quel popolo giovanile che non ha certezza dello statuto giuridico (gli stranieri per primi), non ha neanche un minimo di tutela rispetto ai rischi di supersfruttamento, di razzismo e quindi di violenze fisiche o simboliche. Quando queste si subiscono continuamente ogni giorno, sul posto di lavoro, sui trasporti, nei vari momenti della vita quotidiana, finiscono per schiacciare e annullare totalmente la persona, oppure la caricano di odio e tensione inducendola poi a sfogarsi anche su ... un fratello, così come il lavoratore frustrato e massacrato da ritmi pazzeschi torna a casa e picchia la moglie e  figli, a meno che vada a ‘sfogarsi’ allo stadio o da qualche altra parte. Insomma, la vita associata degli esseri umani (o integrazione sociale) è un conflitto aggravato da chi la osteggia o addirittura la combatte e difende le economie sommerse o semi-al-nero dove i giovani non possono intravedere futuro. La violenza dei giovani e dei minorenni è sempre il riflesso di ciò che hanno seminato con pervicacia o persino accanimento gli adulti che gestiscono i vari poteri. E oggi questi cercano solo la loro prosperità fregandosene della posterità, appunto del futuro, cioè dei giovani italiani e stranieri che, come i ragazzi delle periferie delle città francesi o inglesi, si configurano come una posterità inopportuna rispetto alle logiche del massimo profitto: a loro si riserva degrado, droga, violenza come ai neri negli slums americani.