Inquino e poi bonifico

Gomorra in magna grecia

Shock economy in Calabria

Utente: tobbia
11 / 4 / 2010

il manifesto – domenica 11 aprile 2010
Claudio Dionesalvi- Silvio Messinetti- Crotone

Arsenico, metalli pesanti e amianto sotto scuole e ospedali a Crotone.
35mila tonnellate di ferriti sepolte tra agrumeti e oliveti a Cassano Ionio.
La regione stanzia 3 milioni e mezzo per la bonifica. E vorrebbe affidarla
agli inquinatori.
I comuni danno invece l’appalto a un’altra società, indagata a Genova.


         Ci sono nomi che a Crotone hanno imparato in fretta. Nomi di metalli e minerali. Tossici, maledettamente tossici. Arsenico, cadmio, nichel, germano, mercurio, zinco, si chiamano. Zinco, soprattutto. Ferriti di zinco, per esser precisi. Sono ovunque. Sotto scuole ed ospedali. Con esse si sono costruiti interi palazzi pubblici ed edifici privati. Sono le montagne nere- come l’omonima indagine della Procura della Repubblica di Crotone- che ammorbano un’intera popolazione. Gli inquirenti hanno disposto lo scorso 9 marzo il rinvio a giudizio per 45 persone, tra dirigenti, amministratori e prefetti, coinvolte nello smaltimento illegale delle scorie tossiche provenienti dal vecchio stabilimento Pertusola sud. Come ricostruito dall’indagine, nel 1997 gli alti dirigenti della società Pertusola sud, in odor di fallimento, avevano un problema enorme: liberarsi di 400mila tonnellate di scarti provenienti dal processo produttivo dello stabilimento metallurgico. Si trattava delle scorie di cubilot contenenti metalli altamente cancerogeni e per i quali la legge prevedeva lo smaltimento in apposite discariche. Gli amministratori della società, poco propensi ad accollarsi i costi, pensarono bene che quelle scorie potevano essere spacciate come materiale di riempimento per sottofondi stradali ed altre opere di edilizia. Meglio ancora se fossero state classificate come rifiuti non pericolosi. Da qui il pressing sul Ministero dell’ambiente per far includere il cubilot nel decreto che il governo si apprestava ad emanare. Il 5 febbraio 1998 il decreto Ronchi classificava il cubilot “rifiuto non pericoloso”.
Fu allora che le scorie di cubilot finirono, insieme alla “loppa di alto forno” proveniente dall’Ilva di Taranto in una miscela chiamata “Conglomerato idraulico catalizzato”, il famigerato Cic, con il quale dal 1999 sono stati riempiti i piazzali della scuola elementare San Francesco, l’Itc di Via Acquabona, ma anche centri commerciali, alloggi popolari e villette a schiera, strade e persino il Palazzo della Questura e la banchine del porto di Crotone. Per l’esattezza 18 siti, messi sotto sequestro solo nel 2008. Ora, i 45 rinviati a giudizio dovranno comparire davanti al Gup il prossimo 11 maggio. Con un’accusa pesante: disastro ambientale.
La bonifica del sito di interesse nazionale
Hanno un cattivo odore, le ferriti. E sono “irritanti, nocive, tossiche, corrosive”, come il decreto legislativo 22/97 definisce questi particolari rifiuti derivanti dai processi idrometallurgici dello zinco. E viaggiavano parecchio. Nottetempo, lungo una direttrice ricca di storia e civiltà. Da Crotone a Cassano, lungo le strade della Magna Grecia. Crotone e Cassano accomunate da un passato illustre e da un presente inquinato. E, soprattutto, da una bonifica che tutti aspettano ma che nessuno vede
La città di Crotone, carica di suggestione e vestigia d’altri tempi, simbolo di una Calabria avvelenata, anche se non arrendevole, paga lo scotto pesante di un trascorso industriale con esclusive logiche di profitto e malaffare. Le attività industriali hanno lasciato un’eredità inquinata anche alla luce dei gravi ritardi nella bonifica del sito di interesse nazionale di Crotone e Cassano- Cerchiara, in linea con gli altri 56 siti del programma nazionale di bonifica curato dal ministero dell’Ambiente. Ad oggi, nonostante la contaminazione da metalli pesanti, accertata da numerosi studi e piani di caratterizzazione, nell’area non sono stati fatti grandi passi in avanti. La perimetrazione comprende, infatti, un’area sottostimata rispetto alle reali dimensioni dell’inquinamento, i continui passaggi di competenze hanno rinviato l’attuazione dei progetti di bonifica e causato un grande sperpero di risorse economiche. Gli interventi finora conclusi riguardano esclusivamente opere di messa in sicurezza (cementificazione e isolamento delle discariche e dei rifiuti depositati), cosa ben diversa da interventi di bonifica che permettono la restituzione dei terreni integri e liberi da discariche. Aree finora precluse all’accesso e alla possibilità di utilizzo da cui ripartire per rilanciare la rinascita ambientale, sociale, economica, di Crotone. Ai gravi problemi ambientali si aggiungono quelli sanitari. Si muore a Crotone e più che altrove. Tutto probabilmente correlato alle attività industriali dell’area. Questo ha accertato la perizia, condotta su input della Procura, per verificare l’incidenza sulla salute della contaminazione dei siti avvelenati dai materiali di scarto dell’area industriale. A Crotone si sospetta che, persino, l’acqua sia ammorbata dai metalli.
L’antica Kroton
È una bomba ecologica, quella della ex Pertusola. La fabbrica di rifiuti tossici conserva, tra lamiere e scheletri di ferro, circa un milione di tonnellate di scorie. Lo stabilimento della Pertusola Sud, progettato nel 1928 e attivo dagli anni ’30, ha cessato la produzione nel 1999 e, ad oggi, il definitivo smantellamento non è stato completato. Dell’altro grande impianto del colosso dell’industria chimica, gestita dall’allora gruppo Montedison, e operante dagli anni ’40 agli anni ’80, è rimasta solo in funzione la Sasol che produce zeoliti per la detergenza. Gli altri impianti, responsabili della produzione di fertilizzanti azotati e di fosforo, hanno imbevuto per anni il terreno di sostanze chimiche e ancora attendono gli interventi di bonifica.
Sulla carta, la bonifica a Crotone l’attendono dal 2001, anno in cui l’area industriale della città viene inserita tra i siti di interesse nazionale. Il progetto di bonifica comprende gli stabilimenti industriali Pertusola e Montedison, la discarica di Tufolo, la fascia costiera a ridosso della zona industriale e i comuni di Cassano allo Ionio e Cerchiara Calabra. La discarica di Tufolo copre una superficie di 7 ettari ed è stata in attività fino al 2000. I rifiuti (speciali, sanitari, urbani, quelli dell’alluvione del 1996, i fanghi di depurazione civile) occupano un volume di 99mila metri cubi e risultano abbancati per oltre 20 metri e, come se non bastasse, la discarica non ha alcun presidio ambientale (barriere impermeabili di fondo, sistemi di smaltimento delle acque superficiali). La fascia costiera nei pressi dell’area industriale è interessata da discariche abusive di 300mila metri cubi di rifiuti speciali e pericolosi in un’area complessiva di 87mila metri quadri. Rientrano nella perimetrazione dell’area anche i siti di Cassano allo Ionio e Cerchiara Calabra. Dove, fino al 1998, venivano smaltiti illegalmente le ferriti di zinco della Pertusola.
Ma la vicenda più grottesca, in questa Gomorra della Magna Grecia, riguarda l’area archeologica. Quella dell’antica Kroton. Un sesto del sito di interesse nazionale Crotone e Cassano- Cerchiara è, infatti, un’area archeologica di inestimabile valore. Archeologia industriale e archeologia di un’antica civiltà. Sepolta da metalli velenosi e abbandonata a sé stessa. L’area archeologica, adiacente l’ex Montedison, non presenta, infatti, alcuna recinzione ed è possibile l’accesso di chiunque. C’e chi raccoglie funghi, chi cicoria, chi olive. E ci sono gli animali che pascolano. Sopra montagne di veleni, brucando erba che ha radici direttamente nei fanghi chimici.
È lecito supporre che tali prodotti finiscano sulle nostre tavole con grave rischio per la salute. Nonostante l’ordinanza del sindaco e il sequestro giudiziario dell’area, l’accesso a detti terreni rimane ancora libero. Chi coltivava o pascolava abusivamente non è stato denunciato. Nessuno sforzo è stato fatto per stabilire un sistema di tracciabilità di questi prodotti.
Le ferriti di Cassano
Quando lo sguardo si solleva dal terreno, viene voglia di mettersi ad urlare contro il cielo. Sembra quasi che le montagne del Pollino osservino impietosite la piana di Sibari, il più incantevole dei paesaggi della Magna Grecia. Nessun angolo di Mediterraneo è mai stato aggredito a tradimento come questo. Negli anni novanta, per aggirare gli elevati costi dello smaltimento negli impianti a norma, 35mila tonnellate di ferriti di zinco provenienti dalla Pertusola sud di Crotone, gruppo ENI, sono state sotterrate abusivamente qui, in mezzo ad agrumeti, pescheti ed uliveti, nelle zone di Prainetta, Capraro e Tre Ponti, nei comuni di Cassano, Cerchiara e chissà dove. Mancherebbero all’appello infatti altre 120mila tonnellate di scorie. La gente della piana è abituata a mormorare. Si racconta di intere famiglie morte di cancro. Abitavano nei pressi delle zone contaminate. Non è abituato a parlare sottovoce invece il dottor Antonio Alfano. Da queste parti, lui e i suoi colleghi medici di base hanno rilevato una diffusione impressionante di malattie tumorali. C’è pure un Comitato spontaneo per l’ambiente e la salute, molto attivo. Il portavoce Peppe Carrozza ricorda che nel 2006 uno studio del Commissario per l’Emergenza Ambientale ha riscontrato la presenza nel sottosuolo di metalli pesanti fino a 12 metri di profondità. Per Alfredo Campanella del direttivo provinciale PRC, che se ne occupa da 15 anni, “questa è un’odissea”. Anche la parlamentare Angela Napoli ipotizza che le ferriti siano state utilizzate nel cassanese, come a Crotone, per costruire edifici pubblici. La più autorevole delle voci è quella dello scrittore Pasquale Golia che ha dedicato alla vicenda due intensi capitoli del suo libro “Giornalista di periferia”, edito da La Rondine. Da anni Golia scava nelle carte giudiziarie e nelle verità nascoste.
La situazione odierna è tutt’altro che chiara. Regione e ministero dell’Ambiente hanno destinato tre milioni e 450mila euro alla bonifica. Secondo il ministero, è un’operazione che dovrebbe svolgere la Syndial, gruppo ENI. Quella stessa ENI che ha avvelenato Crotone. E la sagra delle beffe non finisce qui. Perché la gara d’appalto, bandita dai comuni, è stata vinta dalla Ecoge di Genova. In terra ligure, nel giugno scorso il suo presidente, Mamone, è stato coinvolto nell’operazione “Pandora” con l’accusa di “associazione a delinquere finalizzata alla turbativa d’asta”. Ecoge si è sempre dichiarata estranea a qualsiasi ipotesi accusatoria, ribadendo la limpidezza delle proprie attività ed escludendo ogni possibile contatto con ambienti delinquenziali. Nella Sibaritide ha affidato in subappalto la caratterizzazione dei terreni contaminati dalle scorie alla società “Ambiente” di Carrara. Costo dei lavori: 257.700 euro.
E così piove sul bagnato e sulle ferriti. Stando alle previsioni del comune di Cassano, presto le popolazioni che abitano nella Sibaritide dovrebbero ricevere costose informazioni su una verità che conoscono bene già da anni. Infatti, erano previste per il 31 marzo le “determinazioni analitiche” relative ai terreni sottoposti a rilevamenti. Entro la metà di aprile, dovrebbe essere resi noti anche i risultati ufficiali delle analisi sulle aree circostanti. I teloni di contenimento, oggi deteriorati dall’incuria e dal tempo, testimoniano che tutti sanno dove sono le ferriti. Non sono visibili né transenne né segnali di pericolo. Su una recinzione è appeso un foglietto largo venti centimetri recante la scritta: “area sottoposta a sequestro”.
In passato, la vicenda ha attraversato i tribunali calabresi. All’inizio, l’arresto dell’allora assessore regionale Sergio Stancato e di qualche funzionario. L’inchiesta è stata poi divisa in due tronconi, uno dei quali dedicato al reato ambientale, che non ha coinvolto il livello politico. Dopo un tortuoso ed estenuante procedimento seguito per Legambiente dagli avvocati Rodolfo Ambrosio e Francesco Martorelli, è avvenuta la derubricazione del reato. Infine, la prescrizione.
Recentemente, ai piedi del Pollino, anche la procura di Castrovillari ha aperto un nuovo fascicolo. L’accusa: omessa bonifica. Indagati i responsabili legali della Syndial, gruppo ENI.
Il sindaco di Cassano allo Ionio, Gianluca Gallo, ribadisce che a partire dalla primavera del 2008, “ad aggrovigliare nuovamente il corso delle attività di risanamento sono intervenute alcune indecisioni della Regione Calabria e l’ondivago comportamento della Syndial”. La società “ha presentato ricorso al Tar Calabria all’indomani della decisione, assunta in sede di conferenza di servizi, di demandare a Regione e Comuni l’attuazione del piano di risanamento”. Inoltre, Gallo ricorda che “nel gennaio del 2009, quasi dimenticando di aver essa stessa già affidato al Comune di Cassano il compito di avviare la bonifica, proprio la Regione siglò un’intesa con Syndial, salvo poi ritornare sui propri passi. Con detto accordo si demandava alla Syndial il compito di procedere da sé alla bonifica, così ponendo il Comune e gli amministratori cassanesi nell’impossibilità di procedere autonomamente coi fondi già stanziati dallo stesso ministero dell’Ambiente che ci diffidò ad andare avanti, scrivendoci che se avessimo agito spendendo i fondi ministeriali in pendenza della disponibilità della Syndial a provvedere da sé alla bonifica, saremmo stati passibili addirittura di denuncia alla Corte dei Conti”.
Dunque, stavolta la Calabria e i Calabresi c’entrano poco. È solo l’ennesimo caso di “shock economy”: l’economia dei disastri! E a 2500 anni da un’antica inimicizia, Crotonesi e Sibariti sono uniti nella disgrazia.