Gli aforismi sono come i ragni: camminano sui muri.
E’ sorprendente quante cose si possono imparare leggendo sui muri di una
città: i muri, se non lasciati brutalmente spogli, sanno narrare storie
di genti comuni e di popoli in lotta, possono suggerire utili consigli
di vita ad un passante sconosciuto, o ancora fornire ad un turista quei
curiosi dettagli di vicende urbane che sfuggono pure alla più aggiornata
guida del Touring.
Una sera, passeggiando nel centro storico in compagnia, ci imbattemmo in
una citazione di Oscar Wilde della quale non ricordo i dettagli ma che
ci permise di avviare una coinvolgente discussione sulla condizione
della donna nell’ età vittoriana, discussione che si prolungò poi per
tutta la serata, e dalla quale ho imparato a prestare più attenzione a
quelle anonime scritte che popolano le pareti.
I muri sanno essere ironici, scherzosi, saggi, talvolta possono anche
offendere e provocare sdegno, ma di certo non è la loro capacità
espressiva che può essere messa in discussione, anche se gran parte
della cittadinanza continua stranamente a considerare abominevole l’
idea di sporcare dei mattoni con uno slogan antifascista mentre ritiene
un azione di tutto rispetto abbattere foreste ogni giorno per far
pubblicare nuovi libri a Bruno Vespa. “Boicotta la stampa, leggi sui
muri”, diceva giustamente un muro nel bagno del polo, talmente pieno di
pensieri e citazioni che a leggerlo tutto ti teneva impegnato per un’
intera cagata.
Ho ora davanti a me quello stencil rosso, cubitale, che incrocio ogni
mattina davanti al municipio mentre sfreccio in bicicletta per recarmi a
lezione.
UNA RISATA
VI SEPPELLIRA’
Un classico direte voi, quasi banale. Una di quelle frasi che puoi
trovare ovunque laddove c’ è un poveraccio giustamente incazzato con
qualcuno meno povero di lui. Una frase tuttavia che ho sempre apprezzato
particolarmente, per la giusta prospettiva in cui riporta le idee, per
la direzione in cui suggerisce di incanalare quell’incazzatura
quotidiana che ci lascia altrimenti impotenti. Perchè la rivolta è un
atto fondamentalmente ironico, e la satira l’ ha sempre saputo che il
potere, per abbatterlo, devi innanzitutto deriderlo.
Proseguo sulla mia bicicletta, attraverso le folle di turisti troppo
attenti a seguire la bandierina della guida per accorgersi del palazzo
ottocentesco alla loro destra, svolto nel vicolo per tagliare un po’,
mentre la puzza di piscio satura l’ aria e un beffardo occhio
elettronico controlla che tutto proceda secondo i piani. Arrivo in
facoltà, davanti alla rastrelliera un’ altra storica epigrafe lasciata
da studenti ben poco meritevoli.
NEL PIANO DI STUDI
INSERISCI LA LOTTA
Mi ricordo ancora quell’ autunno, indimenticabile. Fu nella prima
notte di occupazione che qualcuno uscì e la scrisse. Non passarono due
settimane prima che l’ amministrazione centrale venisse a toglierlo
riverniciando tutta la parete. Tuttavia pare che abbiano usato una
strana vernice, una sorta di inchiostro simpatico, perchè pochi giorni
dopo la scritta riapparve, lì, nello stesso punto e con le stesse
parole. Allora la cancellarono ancora, perchè un muro sporco non si
addice ad un università che crolla a pezzi, ma la scritta puntualmente
riapparve, e così ancora per un po’, fintanto che capirono che non è con
una vernice invisibile che puoi mettere a tacere un muro.
Il fatto è che avere i muri bianchi è ritenuto dall’ amministrazione
comunale un requisito fondamentale per la gestione della città: ogni
muro deve essere candido, scintillante come una vetrina. Ma a noi i muri
scintillanti non piacciono, perchè dietro alle vetrine ci si mettono le
merci e noi le merci non le vogliamo fare.
Che siamo considerati tutti delle merci è ormai cosa che non ci
stupisce, così come non ci stupisce che ogni giorno, in un angolo
sperduto della metropoli, ci sia chi muore di fame e di decoro urbano,
abbandonato in solitudine come una merce fallata, poco adatta ad essere
esposta in una vetrina scintillante. Si, di decoro si muore.
“Per il bene della città”, diceva continuamente il sindaco il giorno
dell’ inaugurazione del nuovo piano, ma ancora non mi è chiaro se per
“città” intendesse esclusivamente le piastrelle della pavimentazione o
se anche le anime che le calpestano.
Fa proprio al caso quell’altra scritta, Via Notari, angolo con Borgo Largo.
LE COSE BELLE DELLA
VITA NON SONO COSE
Un concetto a quanto pare non molto facile da digerire in un paese che considera la vita di una vetrina quasi importante quanto quella umana.
E’ venerdì sera, a quell’ora in cui inizi a sentire la necessità di
una giacchetta, e come a tutte le ore si corre, l’ uno a fianco
dell’altro ma senza guardarsi troppo negli occhi. Da sotto il portico la
voce di un violino randagio sembra voler rallentare il tempo, quasi
implorando i passanti di fermarsi anche solo per un istante, quanto
necessario per disobbedire alle leggi silenziose di una strada
rigorosamente a senso unico. Sulle gradinate chitarre e birre tengono
compagnia ad un gruppo di studenti alle prese con un altra serata da far
passare, mentre alcuni di loro sono impegnati a conversare con un
giovane venditore ambulante senegalese, incuriositi forse dai suoi
racconti su terre da loro mai viste.
Tra i progetti del comune c’ era anche quello di militarizzare la piazza
durante la notte, forse per via di tutta quella confusione scomposta
che non piace a chi si fa chiamare forza dell’ ordine, o forse per tutte
quelle risate sparse che riempiono l’ aria durante le serate
primaverili. Perchè le risate non piacciono a tutti. Le risate
seppelliscono il potere.
Pulizia, ordine, sicurezza, tre parole apparentemente innocue, anzi
possiamo dire generalmente apprezzate. Ma pulita era anche la Germania
auspicata da una certa persona intollerante verso gli impuri e gli
improduttivi, ordinate sono le file dei militi in marcia verso il fronte
destinati ad una sorte sicura. Sicura come la morte.
Per sentirsi sicuri si è disposti a sacrificare tanto, tanto quanto la
libertà di vagabondare per le vie del centro senza avere qualcuno che ti
segua giorno e notte.
La piazzetta del borgo sfida per numero di telecamere un set di
Hollywood, con la differenza che queste non si mettono in pausa neanche
per un fine primo tempo. Lì in quella piazzetta, sotto gli occhi
guardinghi delle telecamere e quelli ignavi dei passanti, si è consumata
una brutale violenza ai danni di una minorenne da parte di un branco di
“ragazzi per bene”. Mi ricordo ancora quanto rimasi esterrefatto quando
mi fecero osservare che ogni volta che una telecamera riprende un
crimine dimostra il suo fallimento di deterrente, effettivamente non ci
avevo mai pensato.
A pensarci è tutto così assurdo, così come è assurdo che da tutta la
serata quei due loschi figuri si aggirino tranquillamente per la piazza
armati fino ai denti, e che tutti si sentano comunque al sicuro solo
perchè questi portano un uniforme. Sarà che io ho un altro concetto di
sicurezza, che è quello che si ha quando stai con gli amici, quella
sensazione di convivialità che può darti una folla aperta, ibrida e
meticcia, nella quale poter trovare il tuo spazio in mezzo alle
diversità dei tuoi simili.
Se effettivamente un casco blu dia sicurezza o meno potremmo chiederlo
ad Ahmad, a cui tremano le gambe dalla paura al solo sentire parlare di
“pacchetti sicurezza”, oppure a Bruno, che l’altra notte si è preso un
paio di manganellate in cambio di un paio di grammi di allegria di
troppo che portava nella sacca. Dicono sia ricoverato con trauma
cerebrale, anche se sarebbe bello sapere come sono andate esattamente le
cose quella sera, ma caso vuole che in quel momento gli occhi
elettronici stessero guardando da tutt’altra parte.
Polizia che non a caso fa rima con pulizia.
Ce lo dicono tutti i giorni che vorrebbero una città pulita, e anche questo a noi proprio non va giù.
Quando vuoi pulire casa è perchè ritieni che ci sia dello sporco da
eliminare, e quindi lo sporco lo prendi e lo sposti in un cestino o in
un sacco dell’immondizia fuori dal tuo campo visivo, cosicchè tu possa
fare finta che non esista più.
Ma se non si sta parlando di una stanza piena di soprammobili bensì di
una città vissuta da corpi liberi allora va a finire che per pulire si
intende confinare nel cestino della periferia giovani donne responsabili
di non essersi adattate agli abiti e alle condotte imposte dalla
predominante etica ecclesiastica, o ancor peggio accogliere navi di
viaggiatori disperati in campi profughi dediti ad una abominevole
raccolta umana differenziata.
A volte mi sospendo, dimentico dove sono e provo ad immaginare il giorno
in cui qualcosa succederà, quando prima o poi tutti questi cestini
saranno stracolmi e allora strariperanno riversando sulla strada il loro
contenuto accumulato negli anni, scarto dopo scarto, ordinanza dopo
ordinanza, pulizia dopo pulizia. Strariperanno le periferie, stanno già
straripando le carceri, quel giorno la fiumana sarà impossibile da
controllare, nessuna diga potrà arginare la corrente e allora sì che le
strade diventeranno come piacciono a noi, sporche e colorate come la
vita, imbrattate come i muri della città che ci appartiene, e tutto
verrà seppellito da una fragorosa ed indecente risata.
Ieri mattina, giù al porto, pare che abbiano arrestato un furfantello
proprio mentre stava cercando di uscire dal supermercato con qualche
alimentare nascosto sotto la giubba.
E’ un italiano, disoccupato e attanagliato dalla crisi, perchè è facile
stare dalla parte dei buoni fintanto che non ti manca il pane sotto i
denti. Pare addirittura che fosse uno di quelli che fino a pochi giorni
fa reclamava a gran voce il rimpatrio di tutti tunisini che vengono qui a
sottrarci i lavori che noi “non vogliamo più fare”. Forse, se avesse
letto qualche muro in più, avrebbe capito che il vero delitto, semmai, è
il non rubare quando si ha fame.
NOTA: I nomi e i luoghi di questo racconto sono elementi di pura fantasia. Tuttavia, ogni riferimento a persone esistenti o a fatti realmente accaduti non è affatto casuale.