Estate in Irlanda del Nord: tempo di violenze lealiste

Notti di pesanti scontri a Belfast dopo le aggressioni contro i cattolici di Short Strand

Utente: saraeva
25 / 6 / 2011

Arriva la stagione estiva e, puntuali, arrivano anche le aggressioni lealiste contro gli irlandesi cattolici. E' accaduto a Short Strand, nei giorni scorsi, in una zona della East Belfast di maggioranza protestante, in cui faticosamente sopravvive una enclave cattolica fatta di poche file di case, contigue a quelle abitate dai protestanti: 5mila cattolici in mezzo a 80mila protestanti. Tra loro solo una piccola via, sono praticamente dirimpettai.

Gli scontri delle notti del 21, 22 e 23 giugno, di cui i media mainstream italiani si sono occupati molto poco o addirittura per niente, hanno visto centinaia di persone scendere in strada, come non succedeva da anni: da una parte i lealisti, protestanti unionisti (fedeli al Regno Unito), dall’altra i nazionalisti cattolici, da sempre vittime di discriminazioni e attacchi in Irlanda del Nord. Tutti molto giovani e tutti irlandesi (oltre che sudditi della Corona inglese, naturalmente). Così come irlandese è la polizia della Northern Ireland, che dopo gli accordi del “Venerdì santo” del 1998, primissimo passo del difficile processo di pace in corso, ha sì cambiato nome (passando da Royal Ulster Constabulary a Police Service of Northern Ireland) ma un po’ meno è cambiata dal punto di vista della composizione interna: se in passato, all’epoca dei famigerati Troubles, era costituita per più del 90% da protestanti, oggi le percentuali sono cambiate ma non in modo proporzionale alla composizione sociale del paese. E soprattutto: dopo decenni di soprusi e vessazioni ai danni degli irlandesi cattolici, la polizia nordirlandese fatica decisamente a conquistare una percezione da parte della popolazione nazionalista che non sia di diffidenza e sfiducia.

Eppure è stata proprio la PSNI ad indicare nell'UVF (Ulster Volunteer Force), organizzazione paramilitare lealista, i responsabili dei nuovi Troubles che hanno incendiato queste prime notti estive di Belfast: secondo i rappresentanti della polizia ad orchestrare il tutto sarebbero stati i paramilitari. Un gruppo che dal 1913 ad oggi è stato protagonista di un numero infinito di omicidi, agguati, violenze di ogni genere nei confronti della popolazione cattolica. Un’organizzazione che per decenni è stata finanziata e sostenuta dalla Corona inglese e dai suoi servizi segreti e che oggi, seppur ridotta nei numeri e nella capacità militare, continua ad alimentare l’odio e gli attacchi settari contro i cattolici.

Le poche decine di case cattoliche di Short Strand, che in passato hanno resistito a situazioni di tensione e di violenza inaudite (finestre sprangate e abitanti completamente isolati all’interno, agguati e uccisioni a sangue freddo), nelle notti scorse sono diventate ancora una volta il bersaglio di molotov, pietre, bottiglie e tentativi di sfondamento. E la tensione è esplosa. Durante gli scontri è stato ferito anche un reporter, con un colpo d’arma da fuoco che sembrerebbe sia stato sparato da uno degli uomini dell’UVF.

Il Sinn Féin, partito repubblicano un tempo braccio politico dell’IRA e oggi parte del parlamento nordirlandese di Stormont, in un tempestivo comunicato stampa del 21 giugno si è “congratulato coi residenti che si sono opposti all’attacco settario e hanno difeso la loro comunità”. Tra loro sembra ci fossero anche alcuni dissidenti repubblicani, contrari agli accordi del Venerdì santo e sparuti rappresentanti delle numerose ma isolate correnti della lotta armata che rivendicano l’eredità dell’IRA: i primi arresti successivi ai riots avrebbero colpito proprio due di loro, accusati di aver sparato colpi d'arma da fuoco. Intanto il primo ministro nordirlandese Peter Robinson lancia appelli perché la situazione torni "alla normalità" (in una terra in cui probabilmente, ad oggi, non è mai esistita) e incontra ufficiosamente i rappresentanti dell’UVF per cercare una mediazione capace di riportare la calma.

Ma, a meno che Robinson non faccia il miracolo, non sarà facile sopire la tensione. Dal luglio al settembre di ogni anno il protagonista delle cronache nordirlandesi diventa l’Ordine d’Orange, storica organizzazione lealista nata e vissuta per difendere i privilegi dei protestanti e per schiacciare la popolazione cattolica. Gli orangisti, con ossessiva e violenta ritualità, danno vita ogni estate a diversi appuntamenti pubblici, il più noto dei quali è la “parata orangista” del 12 luglio a Portadown, con cui viene ricordata la vittoria dell’inglese Guglielmo d’Orange contro la resistenza irlandese nel 1690 e che ogni anno pretende di sfilare in Garvaghy Road, strada cattolica della cittadina. Negli ultimi anni la pericolosità della parata del 12 luglio, che in passato inevitabilmente dava il via a numerose e feroci aggressioni “a cielo aperto” contro i cattolici (con la polizia che stava a guardare),  si è decisamente depotenziata, ma resta un momento di alta tensione e di forte provocazione nei confronti dei cattolici.

A fare da sfondo alle azioni e alle prese di posizione delle diverse organizzazioni unioniste, in particolare dell’UVF e degli Orangisti (che però oggi siedono in parlamento), continua ad essere la strenua difesa dei privilegi protestanti e il sostanziale rifiuto di una parità, tanto difficile quanto necessaria, tra cattolici e protestanti. Nei decenni scorsi, ogni volta che la Corona inglese ha concesso qualche spiraglio nelle trattative con le rappresentanze repubblicane, Orangisti e paramilitari lealisti hanno dato vita a proteste violentissime, mettendo a ferro e fuoco le città dell’Ulster e bersagliando senza tregua la popolazione cattolica (sempre, se serve ricordarlo, con la complicità della polizia nordirlandese e dell’esercito britannico presente nelle sei contee).

È in questo contesto che, oggi, nascono e crescono i giovani nazionalisti. In una Belfast che di recente ha visto rinascere le zone del centro, piene di turisti, studenti e negozi, ma che nei quartieri continua a restare una città assediata, non più dall’esercito britannico ma dalla povertà, dalla disoccupazione, dal degrado e dalla violenza. Negli ultimi anni sono cresciuti tantissimo i casi di suicidio tra i cattolici, e in modo particolare tra giovani e giovanissimi. Tanto che nella West Belfast, la parte della città a maggioranza cattolica, è nato un centro di ascolto e supporto per le famiglie dei suicidi. Lo “smantellamento” dell’IRA, dal 1998 in poi, ha lasciato un vuoto nei quartieri cattolici: è venuta meno l’organizzazione che di fatto, con tutti i suoi enormi ed evidenti limiti, stabiliva e gestiva l’ordine, in modo anche molto violento. Impossibile, ad esempio, spacciare quando l’Irish Republican Army era ancora in attività: dopo un paio di avvertimenti il “colpevole” veniva fatto sparire. Oggi sono molti i ragazzi che spacciano, e tutti gli altri non hanno altra alternativa al pub del quartiere, unico spazio “pubblico” in un vuoto culturale (oltre che economico) devastante. E la crisi economica non ha certo aiutato.

Lontani il progetto e il sogno di un’Irlanda unita, difficile da capire il faticosissimo processo di pace in corso, i giovani nazionalisti sono l’emblema di un paese distrutto da decenni di guerra e ingiustizia, che continua a trascinarsi un’eredità più che pesante con cui fare i conti: in bilico tra la speranza di un futuro in qualche modo migliore e il rischio (e la paura) di un ritorno al passato, si battono per difendere la propria identità, la propria incolumità e i propri diritti. In queste notti di scontri e resistenza a fare da protagonista, più che un progetto politico, è stato certamente il disagio di una generazione che vive sulla propria pelle la totale incertezza non solo del futuro ma anche del presente: una precarietà di vita che suggerisce di collegare la rabbia dei giovani repubblicani nordirlandesi a quella dei loro coetanei (e non solo) di tutta Europa.

Sara Agostinelli

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